VI Domenica del Tempo ordinario (B)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 2/2024)


ANNO B – 11 febbraio 2024
VI Domenica del Tempo ordinario

Levìtico 13,1-2.45-46 • Salmo 31 • 1 Corinzi 10,31-11,1 • Marco 1,40-45
(Visualizza i brani delle Letture)


EVANGELICA DISOBBEDIENZA

«Impuro! Impuro!». È questo il grido che, in obbedienza alle prescrizioni della Legge mosaica, ogni lebbroso doveva gridare, allertando le persone che si avvicinavano a lui. La lebbra era ritenuta la più grave forma di impurità fisica. Il lebbroso, l'impuro per eccellenza, sperimentava per mesi e a volte per anni una situazione di morte umana, spirituale, sociale: era un morto che camminava. Tale era valutata la gravità fisica e religiosa del male che era compito esclusivo del sacerdote dichiarare la persona impura ed escluderla da ogni relazione sociale. Ed era ancora il sacerdote a certificare la guarigione e la riammissione alla vita comune. «Impuro! Impuro!», gridando a squarciagola la sua impurità a sé prima che agli altri, il lebbroso accettava la sua esclusione e metteva in guardia gli altri da sé stesso.
Nulla di tutto questo avviene nell'episodio narrato dall'evangelista Marco. «Venne da Gesù un lebbroso», e già solo questa lapidaria formula è Vangelo. Disobbedendo alle prescrizioni mosaiche, norme al tempo stesso religiose e sociali, un uomo colpito da lebbra non accetta la sua esclusione e si avvicina a Gesù. Il quale, a sua volta, non lo rifiuta ma si lascia avvicinare da lui. Così, la lebbra da causa di allontanamento diventa ragione di avvicinamento. Gesù sa che il lebbroso è per antonomasia l'escluso per Legge, ma lui non lo esclude e lo ascolta.
L'uomo non grida «Impuro! Impuro!», ma implora: «Se vuoi puoi purificarmi!». Non denuncia a Gesù la sua impurità, ma invoca da lui la purificazione. Il lebbroso non supplica la guarigione ma la purificazione, rivelando che la malattia che più lo faceva soffrire non era la lebbra ma l'essere agli occhi di tutti impuro. Chiedendo la purificazione chiede di ritrovare il suo posto nella vita comune. Il suo desiderio è uscire dallo stato di morte e tornare alla vita.
Gesù «ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse. Lo voglio, sii purificato». La purificazione operata da Gesù nasce dalla compassione. È generata dapprima da un sentimento profondo, viscerale, che si concretizza in un gesto sul quale l'evangelista Marco insiste descrivendolo con due verbi: stendere la mano e toccarlo. Chi toccava un impuro diventava lui stesso impuro. Gesù mostra di non avere paura del contatto con un impuro, perché non è una malattia della pelle a rendere impuro ma quello che un uomo ha nel cuore.
Dopo il sentimento, ecco la parola: «Lo voglio, sii purificato». «Se vuoi puoi» gli aveva detto il lebbroso e Gesù risponde «Voglio». La purificazione la vuole lui, è il risultato solo della sua volontà e del suo potere. Ed essa si realizza all'istante: «E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato».
Gesù non vuole che ciò che ha fatto vada a vantaggio suo ma dell'uomo che ha reso puro, per questo gli ordina di tacere e di recarsi dal sacerdote come prescrive Mosè. Quell'uomo fa il contrario di quello che Gesù gli ha chiesto: non si reca dal sacerdote e racconta a tutti che è venuto un Rabbi che libera i lebbrosi dai loro mali, diffondendo attorno a sé un incontenibile istinto di liberazione. Gesù ha tolto l'impurità e gli ha dato la libertà. Libertà interiore di una tale dirompenza che l'uomo reso puro è libero anche nei confronti del suo liberatore. Non si esalterà mai a sufficienza questa singolarissima forma evangelica di disobbedienza.


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