Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 2/2024)
ANNO B – 4 febbraio 2024
V Domenica del Tempo ordinario
Giobbe 7,1-4.6-7 • Salmo 143 • 1 Corinzi 9,16-19.22-23 • Marco 1,29-39
(Visualizza i brani delle Letture)
V Domenica del Tempo ordinario
Giobbe 7,1-4.6-7 • Salmo 143 • 1 Corinzi 9,16-19.22-23 • Marco 1,29-39
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IL DIO MALATO D'AMORE
Gesù non ha annunciato l'Evangelo del Regno iniziando dai centri del potere e del sapere. Non s'è rivolto ai privilegiati ma agli ammalati, non ai gaudenti ma ai sofferenti. Ha incontrato l'essere umano reale in quella specifica condizione nella quale ogni potere perde valore e ogni sapere non ha più alcun senso, perché il gemito della sofferenza annulla ogni ambizione e l'assoluto non senso del dolore rende vana ogni sapienza.
Dapprima,nella casa di Simone e Andrea, Gesù guarisce la suocera di Simone dalla febbre, e giunta la sera, alla porta della stessa casa, guarisce "tutti i malati e gli indemoniati" di Cafarnao, che quella sera diventa la capitale dei dolori dell'umanità. Gesù prima ha cura della singola persona e facendosi prossimo a lei si fa prossimo a "tutti i malati". Prima una persona poi la folla, adire che per curare le malattie di tutti occorre saper curare la malattia di una sola persona. Una persona come tutti, tutti come una persona, Gesù guarisce instancabilmente, restituisce loro la vita senza contarli.
Nel racconto della guarigione della suocera di Pietro colpisce la ferialità della situazione e la semplicità dei gesti di Gesù. Avvicinandosi all'ammalata, senza dire una parola, Gesù comunica che la malattia non deve far paura ed è necessario superare ogni barriera culturale e ogni pregiudizio religioso nei confronti del malato e della malattia. Ma soprattutto le si avvicina perché la cura inizia facendosi prossimo a chi è malato. Farsi vicino, farla alzare, prenderle la mano sono gesti familiari, amicali, umani. A ben guardare la successione delle azioni non seguono l'ordine cronologico: l'azione del guaritore (afferrare la mano) dovrebbe precedere l'effetto (farla alzare). Invertendo l'ordine l'evangelista Marco mette in rilievo il verbo egheiro (alzare), che alla lettera significa "svegliare". È uno dei verbi utilizzati da Marco per la risurrezione di Gesù, e prima quella della figlia di Giairo e di un ragazzo epilettico. La guarigione della suocera di Pietro ha un valore esemplare della natura, portata e significato evangelico di tutte le guarigioni operate da Gesù. «La febbre la lasciò ed ella li serviva»: la guarigione conduce al servizio, a quella diaconia che segna l'intera esistenza cristiana perché ha segnato quella di Gesù, il servo che è a servizio di chi serve.
Tramontato il sole «gli portavano tutti i malati e gli indemoniati». Questa folla indistinta di malati è il simbolo dell'umanità malata portata a Gesù. E anche di tutte le malattie di cui l'umanità soffre. Il vero annuncio evangelico non è tanto e solo che Gesù guarisce ogni malato, ma è l'annuncio che Dio è malato d'amore per l'umanità sofferente. La malattia di Dio è l'amore per chi è malato di piccole o grandi malattie, curabili o incurabili, fisiche o spirituali, reali o immaginarie. Gesù è l'immagine visibile di un Dio malato d'amore che ha cura dei malati, un Dio che prende su di sé ogni sofferenza fisica o morale.
Gesù guarisce i malati perché lui è malato d'amore e tutto quello che ha fatto l'ha fatto per i malati come lui, lui che è stato «l'uomo dei dolori che ben conosce il soffrire» (Is 53,3). Lui che «ha preso le nostre infermità» (Is 53,4) è stato la somma delle sofferenze, dei mali. È nel mezzo delle nostre malattie che il Christus patiens ci tende la mano. È al cuore della nostra mortalità che ci afferra per rialzarci.
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