Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 3/2024)
ANNO B, 28-30 marzo 2024
Triduo pasquale
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Giovedì santo
Venerdì santo
Veglia di Pasqua
Triduo pasquale
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Giovedì Santo: Corpo-per-voi
Veglia di Pasqua: «O notte beata»
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28 marzo 2024
Giovedì Santo
CORPO-PER-VOI
All'inizio della celebrazione della Santa Pasqua, la sera in cui si fa memoria dell'ultima Cena, la liturgia ha l'audacia di far ascoltare a ogni comunità cristiana uno dei passaggi più gravi e severi delle lettere di Paolo, nel quale l'Apostolo afferma che in una comunità cristiana è possibile celebrare la cena con un rito e tuttavia non celebrare la "Cena del Kyrios" (1Cor 11,20), una Cena nella quale Gesù Cristo è il Signore.
«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane [...] lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo che è per voi"». Le parole pronunciate da Gesù che si trovano in Paolo si differenziano da quelle dei sinottici per l'espressione «corpo che è per voi», letteralmente corpo-per-voi. Questa espressione paolina indica che nel corpo di Gesù è iscritta la relazione originaria. Non è semplicemente corpo, ma è in sé stesso corpo-per-voi, corpo dato e dunque la relazione di donazione non si aggiunge al corpo di Gesù ma gli appartiene fin dall'origine.
L'eucaristia è il memoriale del corpo-per-voi di Gesù, e per Paolo è questo il criterio con il quale giudicare ogni eucaristia. Corpo-per-voi significa corpo dato, vita spesa fino all'estremo, vita offerta per gli altri. Il corpo-per-voi nega ogni logica individualistica simile a quella dei benestanti della comunità di Corinto che si dimenticano dei membri più poveri. Ogni egoismo, ogni spirito di divisione è smentito dall'accoglienza vicendevole e dalla condivisione totale che caratterizza quella comunione piena che è l'eucaristia.
Ai cristiani di Corinto e oggi a ciascun credente che all'inizio del Triduo santo celebra la memoria dell'ultima Cena, l'Apostolo ricorda che Cristo ha istituito l'eucaristia come memoria passionis, che è memoria di una vita non tenuta per sé ma consegnata, non risparmiata ma donata, non salvata dagli altri ma offerta per la salvezza di tutti.
Paolo ricorda che un cristiano non può pensare di partecipare all'eucaristia se poi vive nella logica di una "propria cena", ossia di una propria vita. Una persona che vive nella logica di salvare la propria vita senza gli altri, prima o poi vivrà contro gli altri e a scapito degli altri. Chi vive solo per sé stesso, per la propria riuscita e il proprio successo, mangerà anche il Corpo del Signore per sé stesso e non per gli altri, nella comunione. Il discepolo di Gesù non può vivere nella logica di un progetto di vita senza sottomettersi a una logica di comunione, che è logica del corpo-per-voi, l'esatto contrario della logica del corpo-per-me. In quanto cristiani e membri della Chiesa, la logica del per-voi, che è logica di koinonía, deve avere il primato nella vita personale e comunitaria.
Si domanda il grande vescovo Basilio di Cesarea: «Cos'è proprio di coloro che mangiano il pane e bevono il calice del Signore? Custodire la memoria incessante di colui che è morto ed è risorto per noi. Cos'è proprio di coloro che custodiscono tale memoria? Non vivere più per sé stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (Regole morali 80,22). Se nutrendosi dell'eucaristia il cristiano diviene custode della «memoria incessante di colui che è morto ed è risorto», lui stesso diventa memoriale della Pasqua di Cristo.
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8 aprile 2023
Veglia di Pasqua
«O NOTTE BEATA»
«O notte beata», ripete più volte il cantore nell'Exultet, il grande canto del messaggero che annuncia la vittoria pasquale. Da sempre noi cristiani celebriamo la Pasqua nella notte, perché Cristo è risorto da morte non al tramonto del sabato, non all'aurora del primo giorno della settimana e neppure nell'ora meridiana quando la luce è al suo apice. È invece nella notte che si è alzato dal buio della tomba. È nella notte che la vita ha trionfato sulla morte come luce che sconfigge le tenebre, come bagliore che illumina l'oscurità. Il Risorto non sopprime la notte, ma fa di essa il tempo e l'ora in cui la sua vita risorge e in essa ogni vita può tornare a vivere.
La Pasqua non toglie nessuna delle notti che l'umanità nei suoi millenni di storia ha attraversato e neppure le notti che ogni essere umano può conoscere. La notte della guerra: quanto il buio acceca le menti dei governanti e «la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli» (Is 60,2). La notte della violenza insensata e del male gratuito, dell'ingiustizia orribile, del dolore innocente e della sofferenza che toglie il respiro. La notte dell'amore tradito, la notte dell'abbandono e della solitudine. La notte della depressione e della disperazione, quell'oscurità che ben conosce chi non ha più nulla e nessuno in cui sperare, offuscamento dello spirito che molte volte conduce alla notte più buia di chi si toglie la vita. Ma soprattutto la notte della morte che rimane, anche dopo l'alba di Pasqua, una radicale ingiustizia.
Noi cristiani celebriamo la risurrezione di Cristo nel cuore della notte perché il Cristo risorto non l'ha eliminata e tantomeno ce l'ha risparmiata. Il Risorto abita la notte insieme a noi, la condivide con noi, avendo lui stesso conosciuto le tenebre più oscure del tradimento dell'amico, del rinnegamento della persona fidata, dell'abbandono dei discepoli e del silenzio di Dio: «Elì, Elì, lemà sabactàni... Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Questa grande notte ci accomuna, ci fa fratelli e sorelle, contemporanei degli uomini e delle donne di ogni tempo e di ogni luogo.
La notte di Pasqua è attraversata dalla polarità tenebra e luce, metafora della polarità umana fondamentale di morte e vita. Opposti radicali che la liturgia pasquale non cerca di negare o di smussare, ma che mantiene tra loro in costante tensione, attraverso veri e propri ossimori com'è il cantare la notte luminosa. La notte è fonte di luce ed è esperienza di un buio illuminato, così come la morte è vinta dal Risorto, ma l'essere umano continua a morire credendo nella vita più forte della morte.
È al cuore del mistero della morte che Cristo è continuamente in atto di risurrezione, così che la morte al cuore stesso della gloria dà la misura della profondità del mistero pasquale. Solo chi vive muore e sono esseri mortali quegli uomini e quelle donne che credono che la morte è stata vinta. Se è vero che Gesù «con la morte calpesta la morte», è altrettanto vero che è stata tutta la sua vita e non solo il suo modo di vivere ad aver sconfitto la morte. Da come ha vissuto la sua vita mortale Gesù ha aperto all'umanità la via a una morte vitale.
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