Tempo ordinario (B) [2] - 2024



Parola che si fa vita


Commenti e Testimonianze sulla Parola (da Camminare insieme)

Con la Domenica di Pasqua termina la pubblicazione dei commenti a cura di Camminare insieme.
Per ora, continuerò la pubblicazione con i commenti alla Parola di papa Francesco.





"Parola-sintesi" proposta per ogni domenica,
corredata da un commento e da una testimonianza.


Santissima Trinità (26 maggio 2024)
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20)

Corpus Domini (2 giugno 2024)
Prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro (Mc 14,22)

10a domenica del tempo ordinario (9 giugno 2024)
Perché chi fa la volontà di dio, costui per me è fratello, sorella e madre (Mc 3,35)

11a domenica del tempo ordinario (16 giugno 2024)
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la parola (Mc 4,33)

12a domenica del tempo ordinario (23 giugno 2024)
Maestro, non ti importa che siamo perduti? (Mc 4,38)

13a domenica del tempo ordinario (30 giugno 2024)
Non temere, soltanto abbi fede (Mc 5,36)

14a domenica del tempo ordinario (7 luglio 2024)
Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono (Mc 6,1)

15a domenica del tempo ordinario (14 luglio 2024)
Dava loro potere sugli spiriti impuri (Mc 6,7)

16a domenica del tempo ordinario (21 luglio 2024)
E si mise a insegnare loro molte cose (Mc 6,34)

17a domenica del tempo ordinario (28 luglio 2024)
Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? (Gv 6,5)

18a domenica del tempo ordinario (4 agosto 2024)
Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato (Gv 6,29)

19a domenica del tempo ordinario (11 agosto 2024)
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno (Gv 6,51)

Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2024)
Beata colei che ha creduto (Lc 1,45)

20a domenica del tempo ordinario (18 agosto 2024)
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui (Gv 6,56)

21a domenica del tempo ordinario (25 agosto 2024)
È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla (Gv 6,63)

22a domenica del tempo ordinario (1 settembre 2024)
Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo (Mc 7,23)

23a domenica del tempo ordinario (8 settembre 2024)
Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti (Mc 7,37)

24a domenica del tempo ordinario (15 settembre 2024)
Va dietro a me satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mc 8,33)

25a domenica del tempo ordinario (22 settembre 2024)
Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me (Mc 8,37)

26a domenica del tempo ordinario (29 settembre 2024)
Chi non è contro di noi è per noi (Mc 9,40)

27a domenica del tempo ordinario (6 ottobre 2024)
Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma (Mc 10,5)

28a domenica del tempo ordinario (13 ottobre 2024)
Impossibile agli uomini, ma non a Dio! (Mc 10,27)

29a domenica del tempo ordinario (20 ottobre 2024)
Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore (Mc 10,43)

30a domenica del tempo ordinario (27 ottobre 2024)
Rabunì, che io veda di nuovo! (Mc 10,51)

31a domenica del tempo ordinario (3 novembre 2024)
Amare il prossimo come sé stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici (Mc 12,33)

32a domenica del tempo ordinario (10 novembre 2024)
Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri (Mc 12,43)

33a domenica del tempo ordinario (17 novembre 2024)
Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte (Mc 13,29)

Cristo Re - 34a domenica del tempo ordinario (24 novembre 2024)
Il mio regno non è di questo mondo (Gv 18,36)


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Santissima Trinità (26 maggio 2024)
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20)

Con la sua ascensione, il Signore risorto attira lo sguardo degli Apostoli - e anche il nostro sguardo - alle altezze del Cielo per mostrarci che la meta del nostro cammino è il Padre. Lui stesso aveva detto che se ne sarebbe andato per prepararci un posto in Cielo. Tuttavia, Gesù rimane presente e operante nelle vicende della storia umana con la potenza e i doni del suo Spirito; è accanto a ciascuno di noi: anche se non lo vediamo con gli occhi, Lui c'è! Ci accompagna, ci guida, ci prende per mano e ci rialza quando cadiamo. Gesù risorto è vicino ai cristiani perseguitati e discriminati; è vicino ad ogni uomo e donna che soffre. È vicino a tutti noi!
Gesù, quando ritorna al Cielo, porta al Padre un regalo: le sue piaghe. Il suo corpo è bellissimo, senza lividi, senza le ferite della flagellazione, ma conserva le piaghe. Quando ritorna dal Padre gli mostra le piaghe e gli dice: "Guarda Padre, questo è il prezzo del perdono che tu dai". Quando il Padre guarda le piaghe di Gesù ci perdona sempre, non perché noi siamo buoni, ma perché Gesù ha pagato per noi. Guardando le piaghe di Gesù, il Padre diventa più misericordioso. È una cosa bella questa che ci spinge a non avere paura di chiedere perdono; il Padre sempre perdona, perché guarda le piaghe di Gesù, guarda il nostro peccato e lo perdona.
Ma Gesù è presente anche mediante la Chiesa, che Lui ha inviato a prolungare la sua missione. L'ultima parola di Gesù ai discepoli è il comando dipartire: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). È un mandato preciso, non è facoltativo! La comunità cristiana è una comunità "in uscita", "in partenza". Di più: la Chiesa è nata "in uscita". E voi mi direte: ma le comunità di clausura? Sì, anche quelle, perché sono sempre "in uscita" con la preghiera, con il cuore aperto al mondo, agli orizzonti di Dio. E gli anziani, i malati? Anche loro, con la preghiera e l'unione alle piaghe di Gesù.
Ai suoi discepoli missionari Gesù dice: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Da soli, senza Gesù, non possiamo fare nulla! Nell'opera apostolica non bastano le nostre forze, le nostre risorse, le nostre strutture, anche se sono necessarie. Senza la presenza del Signore e la forza del suo Spirito il nostro lavoro, pur ben organizzato, risulta inefficace. E così andiamo a dire alla gente chi è Gesù.

(Francesco, Regina coeli 1 giugno 2014)


Testimonianza di Parola vissuta

LA POTENZA DELLA PREGHIERA

Mio papà si ammalava spesso, perché beveva tutti i giorni e questa situazione faceva molto male alla nostra famiglia. Mi sentivo piccolo davanti a questa situazione, quindi ho deciso di affidare questa situazione nelle mani di Dio.
Ho cominciato a pregare tutte le notti fino ad addormentarmi pregando Gesù per papà. La situazione ad un certo punto è andata peggiorando fino a che lui è dovuto essere ricoverato per la grave situazione.
Mentre papà era in ospedale e la mamma rimaneva accanto a lui, mi sono proposto di vivere più intensamente le parole del Vangelo, aiutato anche dagli altri ragazzi del gruppo, questo mi permetteva di sentirmi più tranquillo in mezzo a quel dolore.
A volte pensavo che Dio non mi stava ascoltando, non capivo, ma continuavo a pregare.
Piano piano il mio papà ha cominciato a migliorare e ha smesso di bere e di fumare.
Dopo ho capito che Dio mi aveva ascoltato.

Sebastian - Caraibi

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Corpus Domini (2 giugno 2024)
Prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro (Mc 14,22)

Nella Ultima Cena Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue mediante il pane e il vino, per lasciarci il memoriale del suo sacrificio di amore infinito. E con questo "viatico” ricolmo di grazia, i discepoli hanno tutto il necessario per il loro cammino lungo la storia, per estendere a tutti il regno di Dio. Luce e forza sarà per loro il dono che Gesù ha fatto di sé, immolandosi volontariamente sulla croce. E questo Pane di vita è giunto fino a noi! Non finisce mai lo stupore della Chiesa davanti a questa realtà. Uno stupore che alimenta sempre la contemplazione, l'adorazione e la memoria. Ce lo dimostra un testo molto bello della Liturgia: «Per non disgregarvi, mangiate questo vincolo di comunione; per non svilirvi, bevete il prezzo del vostro riscatto».
Cosa significa, oggi, questo "disgregarci” e "svilirci”?
Noi ci disgreghiamo quando non siamo docili alla Parola del Signore, quando non viviamo la fraternità tra di noi, quando gareggiamo per occupare i primi posti, quando non troviamo il coraggio di testimoniare la carità, quando non siamo capaci di offrire speranza. Così ci disgreghiamo. L'Eucaristia ci permette di non disgregarci, perché è vincolo di comunione, segno vivente dell'amore di Cristo che si è umiliato e annientato perché noi rimanessimo uniti. Partecipando all'Eucaristia e nutrendoci di essa, noi siamo inseriti in un cammino che non ammette divisioni. Il Cristo presente in mezzo a noi, nel segno del pane e del vino, esige che la forza dell'amore superi ogni lacerazione, e al tempo stesso che diventi comunione anche con il più povero, sostegno per il debole, attenzione fraterna a quanti fanno fatica a sostenere il peso della vita quotidiana, e sono in pericolo di perdere la fede.
E poi, l'altra parola: che cosa significa oggi per noi "svilirci”, ossia annacquare la nostra dignità cristiana? Significa lasciarci intaccare dalle idolatrie del nostro tempo: l'apparire, il consumare, l'io al centro di tutto; ma anche l'essere competitivi, l'arroganza come atteggiamento vincente, il non dover mai ammettere di avere sbagliato o di avere bisogno. Tutto questo ci svilisce, ci rende cristiani mediocri, tiepidi, insipidi, pagani.
Gesù ha versato il suo Sangue come prezzo e come lavacro, perché fossimo purificati da tutti i peccati: per non svilirci, guardiamo a Lui, abbeveriamoci alla sua fonte, per essere preservati dal rischio della corruzione. E allora sperimenteremo la grazia di una trasformazione: noi rimarremo sempre poveri peccatori, ma il Sangue di Cristo ci libererà dai nostri peccati e ci restituirà la nostra dignità.

(Francesco, Omelia 4 giugno 2015)


Testimonianza di Parola vissuta

FARE IL PRIMO PASSO

Ho scoperto, poco dopo il nostro matrimonio, che mio marito era in una banda di rapinatori. Organizzarono un furto che fallì e lui si prese una condanna di 13 anni.
Ero così sconvolta che decisi di separarmi e di non rivederlo mai più. Pensavo soprattutto alla nostra bambina. Per circa sei anni non ebbi più notizie di lui. Poi cominciai con altri a vivere il Vangelo e vedevo tante cose sotto una luce nuova, anche il mio matrimonio. C'era un sacramento che legava me e mio marito e ora Dio mi chiedeva di fare il primo passo verso di lui. Gli scrissi per fargli sapere mie notizie e fargli sentire che non lo rifiutavo più. Poi cominciai regolarmente ad andare a trovarlo in carcere e portargli il necessario: cibo, vestiti, medicine... Non sapeva capacitarsi di come io e mia figlia, che aveva lasciato piccolissima, fossimo ritornate a lui, non capiva il perché delle mie attenzioni. Riuscii così a dirgli della scoperta del Vangelo e del mio impegno di seguire Gesù.

S.G

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10a domenica del tempo ordinario (9 giugno 2024)
Perché chi fa la volontà di dio, costui per me è fratello, sorella e madre (Mc 3,35)

Il Vangelo di questa domenica ci mostra due tipi di incomprensione che Gesù ha dovuto affrontare: quella degli scribi e quella dei suoi stessi familiari.
La prima incomprensione. Gli scribi erano uomini istruiti nelle Sacre Scritture e incaricati di spiegarle al popolo. Alcuni di loro vengono mandati da Gerusalemme in Galilea, dove la fama di Gesù cominciava a diffondersi, per screditarlo agli occhi della gente. E questi scribi arrivano con un'accusa precisa e terribile: «Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni». Cioè il capo dei demoni è quello che spinge Lui; che equivale a dire più o meno: "Questo è un indemoniato". Infatti Gesù guariva molti malati, e loro vogliono far credere che lo faccia non con lo Spirito di Dio, ma con quello del Maligno, con la forza del diavolo. Gesù reagisce con parole forti e chiare, non tollera questo, perché quegli scribi, forse senza accorgersene, stanno cadendo nel peccato più grave: negare e bestemmiare l'Amore di Dio che è presente e opera in Gesù.
Il Vangelo ci parla anche di un'altra incomprensione, molto diversa, nei confronti di Gesù: quella dei suoi familiari. Questi erano preoccupati, perché la sua nuova vita itinerante sembrava loro una pazzia. Infatti, Egli si mostrava così disponibile per la gente, soprattutto per i malati e i peccatori, al punto da non avere più nemmeno il tempo di mangiare. I suoi familiari, dunque, decidono di riportarlo a Nazareth, a casa. Arrivano nel posto dove Gesù sta predicando e lo mandano a chiamare. Gli viene detto: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Egli risponde: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?», e guardando le persone che stavano intorno a Lui per ascoltarlo aggiunge: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». Gesù ha formato una nuova famiglia, non più basata sui legami naturali, ma sulla fede in Lui, sul suo amore che ci accoglie e ci unisce tra noi, nello Spirito Santo. Tutti coloro che accolgono la parola di Gesù sono figli di Dio e fratelli tra di loro. Accogliere la parola di Gesù ci fa fratelli tra noi, ci rende la famiglia di Gesù. Sparlare degli altri, distruggere la fama degli altri, ci rende la famiglia del diavolo. Quella risposta di Gesù non è una mancanza di rispetto verso sua madre e i suoi familiari. Anzi, per Maria è il più grande riconoscimento, perché proprio lei è la perfetta discepola che ha obbedito in tutto alla volontà di Dio.

(Francesco, Angelus, 10 giugno 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

NON AFFANNARCI PER IL DOPO…

Un compagno di scuola mi ha chiesto di aiutarlo in matematica. Un giorno, mentre ero a casa sua, mi sono ricordato che avevo un appuntamento dal dottore alle sette e questo mio compagno continuava a chiedermi spiegazioni.
Mi è venuto in mente Gesù che dice di non affannarsi per il dopo... Ho cercato di aiutarlo con calma, senza guardare continuamente l'orologio e alla fine ero in ritardo. Ma mentre uscivo ho incontrato un altro amico in bicicletta, che mi ha dato un passaggio e mi ha permesso di arrivare giusto in tempo.

Aldo – 12 anni

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11a domenica del tempo ordinario (16 giugno 2024)
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la parola (Mc 4,33)

Il Vangelo di oggi è formato da due parabole molto brevi: quella del seme che germoglia e cresce da solo, e quella del granello di senape. Attraverso queste immagini tratte dal mondo rurale, Gesù presenta l'efficacia della Parola di Dio e le esigenze del suo Regno, mostrando le ragioni della nostra speranza e del nostro impegno nella storia.
Nella prima parabola l'attenzione è posta sul fatto che il seme, gettato nella terra, attecchisce e si sviluppa da solo, sia che il contadino dorma sia che vegli. Egli è fiducioso nella potenza interna al seme stesso e nella fertilità del terreno. Nel linguaggio evangelico, il seme è simbolo della Parola di Dio, la cui fecondità è richiamata da questa parabola. Come l'umile seme si sviluppa nella terra, così la Parola opera con la potenza di Dio nel cuore di chi la ascolta. Dio ha affidato la sua Parola alla nostra terra, cioè a ciascuno di noi con la nostra concreta umanità. Questa Parola, se viene accolta, porta certamente i suoi frutti, perché Dio stesso la fa germogliare e maturare attraverso vie che non sempre possiamo verificare e in un modo che noi non sappiamo.
La seconda parabola utilizza l'immagine del granello di senape. Pur essendo il più piccolo di tutti i semi, è pieno di vita e cresce fino a diventare «più grande di tutte le piante dell'orto». E così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante. Per entrare a farne parte bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle proprie capacità, ma nella potenza dell'amore di Dio; non agire per essere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che predilige i semplici e gli umili. Quando viviamo così, attraverso di noi irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è piccolo e modesto in una realtà che fa fermentare l'intera massa del mondo e della storia.
Da queste due parabole ci viene un insegnamento importante: il Regno di Dio richiede la nostra collaborazione, ma è soprattutto iniziativa e dono del Signore. La nostra debole opera, apparentemente piccola di fronte alla complessità dei problemi del mondo, se inserita in quella di Dio non ha paura delle difficoltà. La vittoria del Signore è sicura: il suo amore farà spuntare e farà crescere ogni seme di bene presente sulla terra. Questo ci apre alla fiducia e alla speranza, nonostante i drammi, le ingiustizie, le sofferenze che incontriamo. Il seme del bene e della pace germoglia e si sviluppa, perché lo fa maturare l'amore misericordioso di Dio.

(Francesco, Angelus, 14 giugno 2015)


Testimonianza di Parola vissuta

NON GIUDICARE

Lavoro come medico in ospedale al reparto diabetici. Il rapporto con il primario non è facile. Tutti trovano da ridire sul suo conto: è quanto mai pignolo a proposito di ordine e di precisione e anche per una piccola distrazione sgrida e rimprovera. Ero tentata di associarmi a queste lamentele, ma mi sono imposta di minimizzare le critiche, di scusarle, come dice Gesù: "Non giudicate...".
Un giorno l'ho combinata grossa: mi sono dimenticata di lasciare scritta una consegna per un esame da fare a un paziente. I miei colleghi e gli infermieri mi hanno preparata alla sfuriata. Infatti il primario mi ha chiesto subito dell'esame saltato. Ho detto con semplicità che è stata colpa mia, senza cercare scuse. Con una delicatezza mai vista prima mi dice sorridendo che l'ho combinata grossa e di stare un po' più attenta e che in fin dei conti si può rimediare.
Ho pensato che sta ritornando a me ciò che cerco di dare: il primario ha usato con me la stessa arma che spesso avevo usato con lui.

A.R.

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12a domenica del tempo ordinario (23 giugno 2024)
Maestro, non ti importa che siamo perduti? (Mc 4,38)

Nella liturgia di oggi si narra l'episodio della tempesta sedata da Gesù. La barca su cui i discepoli attraversano il lago è assalita dal vento e dalle onde ed essi temono di affondare. Gesù è con loro sulla barca, eppure se ne sta a poppa sul cuscino e dorme. I discepoli, pieni di paura, gli urlano: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?».
E tante volte anche noi, assaliti dalle prove della vita, abbiamo gridato al Signore: "Perché resti in silenzio e non fai nulla per me?". Soprattutto quando ci sembra di affondare, perché l'amore o il progetto nel quale avevamo riposto grandi speranze svanisce; o quando siamo in balìa delle onde insistenti dell'ansia; oppure quando ci sentiamo sommersi dai problemi o persi in mezzo al mare della vita, senza rotta e senza porto. Sono tanti i momenti nei quali ci sentiamo in una tempesta, ci sentiamo quasi finiti.
In queste situazioni e in tante altre, anche noi ci sentiamo soffocare dalla paura e, come i discepoli, rischiamo di perdere di vista la cosa più importante. Sulla barca, infatti, anche se dorme, Gesù c'è, e condivide con i suoi tutto quello che sta succe-dendo. Il suo sonno, se da una parte ci stupisce, dall'altra ci mette alla prova. Il Signore è lì, presente; infatti, attende – per così dire – che siamo noi a coinvolgerlo, a invocarlo, a metterlo al centro di quello che viviamo. Il suo sonno provoca noi a svegliarci. Perché, per essere discepoli di Gesù, non basta credere che Dio c'è, che esiste, ma bisogna mettersi in gioco con Lui, bisogna anche alzare la voce con Lui.
Il Vangelo racconta che i discepoli si avvicinano a Gesù, lo svegliano e gli parlano. Ecco l'inizio della nostra fede: riconoscere che da soli non siamo in grado di stare a galla, che abbiamo bisogno di Gesù come i marinai delle stelle per trovare la rotta. La fede comincia dal credere che non bastiamo a noi stessi, dal sentirci bisognosi di Dio. Quando vinciamo la tentazione di rinchiuderci in noi stessi, quando superiamo la falsa religiosità che non vuole scomodare Dio, quando gridiamo a Lui, Egli può operare in noi meraviglie. È la forza mite e straordinaria della preghiera, che opera miracoli.
Gesù, pregato dai discepoli, calma il vento e le onde. E pone loro una domanda, una domanda che riguarda anche noi: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». I discepoli si erano fatti catturare dalla paura, perché erano rimasti a fissare le onde più che a guardare a Gesù. E la paura ci porta a guardare le difficoltà, i problemi brutti e non a guardare il Signore, che tante volte dorme.
Chiediamo la grazia di una fede che non si stanca di cercare il Signore, di bussare alla porta del suo Cuore.

(Francesco, Angelus, 20 giugno 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

VIVERE IL PRESENTE

Domenica mattina. Fra qualche ora incontrerò di persona un amico che ha una malattia grave. Finora ci siamo sentiti o scritti messaggi. Gli ho promesso che vivo con lui e per lui questa stagione. Pensavo che ciò si esaurisse in un impegno di preghiera, di essere pronto ad aiutarlo con qualche servizio... Invece stamattina, mentre sto scegliendo la camicia da indossare mi rendo conto che dentro di me qualcosa non è come prima: l'estate che si annuncia non sarà come le altre. È come se la malattia dell'amico mi avesse tolto la pregustazione della prossima estate e mi conducesse all'attimo presente, da vivere intensamente e meglio, a non divagarmi con una camicia che annunci l'attesa stagione.
Vivendo bene il mio oggi, posso aiutarlo veramente. Essere tutto e soltanto qui e ora. L'amico, senza saperlo, sta cambiando in me le coordinate del tempo.

Gaetano M.

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13a domenica del tempo ordinario (30 giugno 2024)
Non temere, soltanto abbi fede (Mc 5,36)

Il Vangelo di oggi presenta il racconto della risurrezione di una ragazzina di dodici anni, figlia di uno dei capi della sinagoga, il quale si getta ai piedi di Gesù e lo supplica: «La mia figlioletta sta morendo; vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». In questa preghiera sentiamo la preoccupazione di ogni padre per la vita e per il bene dei suoi figli. Ma sentiamo anche la grande fede che quell'uomo ha in Gesù. E quando arriva la notizia che la fanciulla è morta, Gesù gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!». Dà coraggio questa parola di Gesù! E la dice anche a noi, tante volte: "Non temere, soltanto abbi fede!".
Entrato nella casa, il Signore manda via tutta la gente che piange e grida e si rivolge alla bambina morta, dicendo: «Fanciulla, io ti dico: alzati!». E subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare. Qui si vede il potere assoluto di Gesù sulla morte, che per Lui è come un sonno dal quale ci può risvegliare.
All'interno di questo racconto, l'Evangelista inserisce un altro episodio: la guarigione di una donna che da dodici anni soffriva di perdite di sangue. A causa di questa malattia che, secondo la cultura del tempo, la rendeva "impura", ella doveva evitare ogni contatto umano. Questa donna anonima, in mezzo alla folla che segue Gesù, dice tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E così avviene: il bisogno di essere liberata la spinge ad osare e la fede "strappa", per così dire, al Signore la guarigione.
Questi due episodi – una guarigione e una risurrezione – hanno un unico centro: la fede. Il messaggio è chiaro, e si può riassumere in una domanda: crediamo che Gesù ci può guarire e ci può risvegliare dalla morte? Tutto il Vangelo è scritto nella luce di questa fede: Gesù è risorto, ha vinto la morte, e per questa sua vittoria anche noi risorgeremo. Questa fede, che per i primi cristiani era sicura, può appannarsi e farsi incerta, al punto che alcuni confondono risurrezione con reincarnazione. La Parola di Dio di questa domenica ci invita a vivere nella certezza della risurrezione: Gesù è il Signore, Gesù ha potere sul male e sulla morte, e vuole portarci nella casa del Padre, dove regna la vita. E lì ci incontreremo tutti, tutti noi che siamo qui in piazza oggi, ci incontreremo nella casa del Padre, nella vita che Gesù ci darà.
La Risurrezione di Cristo agisce nella storia come principio di rinnovamento e di speranza. Chiunque è disperato e stanco fino alla morte, se si affida a Gesù e al suo amore può ricominciare a vivere.

(Francesco, Angelus, 28 giugno 2015)


Testimonianza di Parola vissuta

UNA CASA A DISPOSIZIONE

La nostra vita era basata sull'apparire e anche la nostra casa ne era un'espressione: zona residenziale, costruzione bella, arredamento ricco. Più che l'armonia e la funzionalità ci interessava cosa pensassero gli altri. Improvvisamente, per varie vicende legali, abbiamo rischiato di perdere tutto. Ed è stata una grande lezione. La casa ci è rimasta, ma abbiamo capito che dovevamo darle un nuovo significato.
Ora è aperta a tante persone, non più selezionate secondo il livello sociale. Data la vicinanza al mare, d'estate la mettiamo a disposizione per le vacanze di persone che non se lo potrebbero permettere. Ormai non la sentiamo più come un possesso, ma come un bene che può essere utile a tanti.

R.G. - Italia

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14a domenica del tempo ordinario (7 luglio 2024)
Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono (Mc 6,1)

L'odierna pagina evangelica (cfr Mc 6,1-6) presenta Gesù che ritorna a Nazaret e di sabato si mette a insegnare nella sinagoga. Da quando se ne era andato e si era messo a predicare per le borgate e i villaggi vicini, non aveva mai rimesso più piede nella sua patria. È tornato. Pertanto, ci sarà stato tutto il paese ad ascoltare questo figlio del popolo, la cui fama di maestro sapiente e di potente guaritore dilagava ormai per la Galilea e oltre. Ma quello che poteva profilarsi come un successo, si tramutò in un clamoroso rifiuto, al punto che Gesù non poté operare lì nessun prodigio, ma solo poche guarigioni. La dinamica di quella giornata è ricostruita nel dettaglio dall'evangelista Marco: la gente di Nazaret dapprima ascolta, e rimane stupita; poi si domanda perplessa: «da dove gli vengono queste cose», questa sapienza?; e alla fine si scandalizza, riconoscendo in Lui il falegname, il figlio di Maria, che loro hanno visto crescere. Perciò Gesù conclude con l'espressione divenuta proverbiale: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria».
Ci domandiamo: come mai i compaesani di Gesù passano dalla meraviglia all'incredulità? Essi fanno un confronto tra l'umile origine di Gesù e le sue capacità attuali: è un falegname, non ha fatto studi, eppure predica meglio degli scribi e opera miracoli. E invece di aprirsi alla realtà, si scandalizzano. Secondo gli abitanti di Nazaret, Dio è troppo grande per abbassarsi a parlare attraverso un uomo così semplice! È lo scandalo dell'incarnazione: l'evento sconcertante di un Dio fatto carne, che pensa con mente d'uomo, lavora e agisce con mani d'uomo, ama con cuore d'uomo, un Dio che fatica, mangia e dorme come uno di noi. Il Figlio di Dio capovolge ogni schema umano: non sono i discepoli che hanno lavato i piedi al Signore, ma è il Signore che ha lavato i piedi ai discepoli. Questo è un motivo di scandalo e di incredulità non solo in quell'epoca, in ogni epoca, anche oggi.
Il capovolgimento operato da Gesù impegna i suoi discepoli di ieri e di oggi a una verifica personale e comunitaria. Anche ai nostri giorni infatti può accadere di nutrire pregiudizi che impediscono di cogliere la realtà. Ma il Signore ci invita ad assumere un atteggiamento di ascolto umile e di attesa docile, perché la grazia di Dio spesso si presenta a noi in modi sorprendenti, che non corrispondono alle nostre aspettative.
Dio non si conforma ai pregiudizi. Dobbiamo sforzarci di aprire il cuore e la mente, per accogliere la realtà divina che ci viene incontro. Si tratta di avere fede: la mancanza di fede è un ostacolo alla grazia di Dio. Molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse: si ripetono i gesti e i segni della fede, ma ad essi non corrisponde una reale adesione alla persona di Gesù e al suo Vangelo. Ogni cristiano - tutti noi, ognuno di noi - è chiamato ad approfondire questa appartenenza fondamentale, cercando di testimoniarla con una coerente condotta di vita, il cui filo conduttore sempre sarà la carità.

(Francesco, Angelus, 8 luglio 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

PREGIUDIZI E LUIGHI COMUNI CHE CROLLANO

Con una piccola e viva comunità evangelica metodista della nostra città abbiamo deciso di metterci a servizio dei numerosi immigrati del Nord Africa che vivono nel nostro territorio: tunisini che lavorano come braccianti nella sericoltura, senegalesi e marocchini che lavorano come venditori ambulanti... Molti di loro non hanno un pasto caldo durante la settimana. Progettiamo così un servizio di mensa a cui invitiamo gli immigrati che arrivano settimanalmente per la fiera-mercato. A turno facciamo la spesa, cuciniamo, serviamo e consumiamo i pasti con loro. Tra un piatto e l'altro vediamo crollare pregiudizi e luoghi comuni.

S. F. – Italia

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15a domenica del tempo ordinario (14 luglio 2024)
Dava loro potere sugli spiriti impuri (Mc 6,7)

Il Vangelo di oggi (cfr Mc 6,7-13) narra il momento in cui Gesù invia i Dodici in missione. Dopo averli chiamati per nome ad uno ad uno, «perché stessero con lui» ascoltando le sue parole e osservando i suoi gesti di guarigione, ora li convoca di nuovo per «mandarli a due a due» nei villaggi dove Lui stava per recarsi. È una sorta di "tirocinio" di quello che saranno chiamati a fare dopo la Risurrezione del Signore con la potenza dello Spirito Santo.
Il brano evangelico si sofferma sullo stile del missionario, che possiamo riassumere in due punti: la missione ha un centro; la missione ha un volto.
Il discepolo missionario ha prima di tutto un suo centro di riferimento, che è la persona di Gesù. Il racconto lo indica usando una serie di verbi che hanno Lui per soggetto - «chiamò a sé», «prese a mandarli», «dava loro potere», «ordinò», «diceva loro» -, cosicché l'andare e l'operare dei Dodici appare come l'irradiarsi da un centro, il riproporsi della presenza e dell'opera di Gesù nella loro azione missionaria. Questo manifesta come gli Apostoli non abbiano niente di proprio da annunciare, né proprie capacità da dimostrare, ma parlano e agiscono in quanto "inviati", in quanto messaggeri di Gesù.
Questo episodio evangelico riguarda anche noi, e non solo i sacerdoti, ma tutti i battezzati, chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo. E anche per noi questa missione è autentica solo a partire dal suo centro immutabile che è Gesù. Non è un'iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo "in proprio", ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano.
La seconda caratteristica dello stile del missionario è, per così dire, un volto, che consiste nella povertà dei mezzi. Il suo equipaggiamento risponde a un criterio di sobrietà. I Dodici, infatti, hanno l'ordine di «non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura». Il Maestro li vuole liberi e leggeri, senza appoggi e senza favori, sicuri solo dell'amore di Lui che li invia, forti solo della sua parola che vanno ad annunciare. Il bastone e i sandali sono la dotazione dei pellegrini, perché tali sono i messaggeri del regno di Dio, non manager onnipotenti, non funzionari inamovibili, non divi in tournée.
E solo se siamo uniti a Gesù, morto e risorto, riusciamo a trovare il coraggio dell'evangelizzazione.

(Francesco, Angelus, 15 luglio 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

QUANDO GESÙ SI FA PRESENTE

«Ero nell'anticamera del commissario, faceva caldo ed ero molto stanco, quando è arrivato un uomo malvestito, claudicante. Dopo avermi salutato con un filo di voce debole, accorgendosi che mi interessavo a lui, mi ha raccontato la sua storia: era un rifugiato senzatetto, senza amici né famiglia, senza documenti; un "morto vivente", come dicevano i poliziotti che l'avevano fermato.
Nel salutarlo gli ho detto dove abitavo: se fosse venuto, l'avremmo accolto, dato da mangiare, e offerto da dormire. Infatti qualche giorno dopo si è fatto vivo da noi, così abbiamo potuto aiutarlo concretamente prima che si mettesse per la strada di Yaoundé.
Per la nostra famiglia è stato lui, immagine del Cristo sofferente, il dono».

P. B. Costa d’Avorio

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16a domenica del tempo ordinario (21 luglio 2024)
E si mise a insegnare loro molte cose (Mc 6,34)

Il Vangelo di oggi (cfr Mc 6,30-34) ci racconta che gli apostoli, dopo la loro prima missione, ritornano da Gesù e gli riferiscono «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato». Dopo l'esperienza della missione, certamente entusiasmante ma anche faticosa, essi hanno un'esigenza di riposo. E Gesù, pieno di comprensione, si preoccupa di assicurare loro un po' di sollievo e dice: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Ma questa volta l'intenzione di Gesù non si può realizzare, perché la folla, intuendo il luogo solitario dove si sarebbe diretto con la barca insieme ai suoi discepoli, accorse là prima del loro arrivo.
Lo stesso può accadere anche oggi. A volte non riusciamo a realizzare i nostri progetti, perché sopraggiunge un imprevisto urgente che scombina i nostri programmi e richiede flessibilità e disponibilità alle necessità degli altri.
In queste circostanze, siamo chiamati ad imitare quanto ha fatto Gesù: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose». In questa breve frase, l'evangelista ci offre un flash di singolare intensità, fotografando gli occhi del divino Maestro e il suo insegnamento. Osserviamo i tre verbi di questo fotogramma: vedere, avere compassione, insegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore. Lo sguardo di Gesù non è uno sguardo neutro o, peggio, freddo e distaccato, perché Gesù guarda sempre con gli occhi del cuore. E il suo cuore è così tenero e pieno di compassione, che sa cogliere i bisogni anche più nascosti delle persone. Inoltre, la sua compassione non indica semplicemente una reazione emotiva di fronte ad una situazione di disagio della gente, ma è molto di più: è l'attitudine e la predisposizione di Dio verso l'uomo e la sua storia. Gesù appare come la realizzazione della sollecitudine e della premura di Dio per il suo popolo.
Dato che Gesù si è commosso nel vedere tutta quella gente bisognosa di guida e di aiuto, ci aspetteremmo che Egli si mettesse ora ad operare qualche miracolo. Invece, si mise a insegnare loro molte cose. Ecco il primo pane che il Messia offre alla folla affamata e smarrita: il pane della Parola. Tutti noi abbiamo bisogno della parola di verità, che ci guidi e illumini il cammino. Senza la verità, che è Cristo stesso, non è possibile trovare il giusto orientamento della vita. Quando ci si allontana da Gesù e dal suo amore, ci si perde e l'esistenza si trasforma in delusione e insoddisfazione. Con Gesù al fianco si può procedere con sicurezza, si possono superare le prove, si progredisce nell'amore verso Dio e verso il prossimo. Gesù si è fatto dono per gli altri, divenendo così modello di amore e di servizio per ciascuno di noi.

(Francesco, Angelus, 22 luglio 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

UN ACCOMPAGNAMENTO CHE PORTA FRUTTO

Antonio era finito in carcere per traffico di droga: in realtà era stato un compagno di viaggio a mettergliela nello zaino, dove la polizia l'aveva trovata. E lui ora era capitato insieme a delinquenti senza assistenza giuridica. Ci siamo messi in contatto con la madre, siamo andati spesso a trovarlo e gli abbiamo procurato un bravo avvocato. Dopo mesi, il processo, che abbiamo seguito con un gruppo di amici. Prima della sentenza, abbiamo pregato insieme. Antonio era sereno. Quando i giudici hanno dichiarato la sua innocenza, nell'aula c'è stata un'esplosione di gioia. Ora vogliamo aiutarlo a riprendere una vita normale, dopo la dura esperienza vissuta.

A.F. - Argentina

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17a domenica del tempo ordinario (28 luglio 2024)
Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?.(Gv 6,5)

Il Vangelo di oggi (cfr Gv 6,1-15) presenta il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Vedendo la grande folla che lo aveva seguito nei pressi del lago di Tiberiade, Gesù si rivolge all'apostolo Filippo e domanda: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». I pochi denari che Gesù e gli apostoli possiedono, infatti, non bastano per sfamare quella moltitudine. Ed ecco che Andrea, un altro dei Dodici, conduce da Gesù un ragazzo che mette a disposizione tutto quello che ha: cinque pani e due pesci; ma certo - dice Andrea - sono niente per quella folla. Bravo questo ragazzo! Coraggioso. Anche lui vedeva la folla, e vedeva i suoi cinque pani. Dice: "Io ho questo: se serve, sono a disposizione". Questo ragazzo ci fa pensare… Quel coraggio… I giovani sono così, hanno coraggio. Dobbiamo aiutarli a portare avanti questo coraggio. Eppure Gesù ordina ai discepoli di far sedere la gente, poi prende quei pani e quei pesci, rende grazie al Padre e li distribuisce, e tutti possono avere cibo a sazietà. Tutti hanno mangiato quello che volevano.
Con questa pagina evangelica, la liturgia ci induce a non distogliere lo sguardo da quel Gesù che domenica scorsa, nel Vangelo di Marco, vedendo «una grande folla, ebbe compassione di loro». Anche quel ragazzo dei cinque pani ha capito questa compassione, e dice: "Povera gente! Io ho questo…". La compassione lo ha portato a offrire quello che aveva. Oggi infatti Giovanni ci mostra nuovamente Gesù attento ai bisogni primari delle persone. L'episodio scaturisce da un fatto concreto: la gente ha fame e Gesù coinvolge i suoi discepoli perché questa fame venga saziata. Questo è il fatto concreto. Alle folle, Gesù non si è limitato a donare questo - ha offerto la sua Parola, la sua consolazione, la sua salvezza, infine la sua vita -, ma certamente ha fatto anche questo: ha avuto cura del cibo per il corpo. E noi, suoi discepoli, non possiamo far finta di niente. Soltanto ascoltando le più semplici richieste della gente e ponendosi accanto alle loro concrete situazioni esistenziali si potrà essere ascoltati quando si parla di valori superiori.
L'amore di Dio per l'umanità affamata di pane, di libertà, di giustizia, di pace, e soprattutto della sua grazia divina, non viene mai meno. Gesù continua anche oggi a sfamare, a rendersi presenza viva e consolante, e lo fa attraverso di noi. Pertanto, il Vangelo ci invita ad essere disponibili e operosi, come quel ragazzo che si accorge di avere cinque pani… Di fronte al grido di fame - ogni sorta di "fame" - di tanti fratelli e sorelle in ogni parte del mondo, non possiamo restare spettatori distaccati e tranquilli. L'annuncio di Cristo, pane di vita eterna, richiede un generoso impegno di solidarietà per i poveri, i deboli, gli ultimi, gli indifesi. Questa azione di prossimità e di carità è la migliore verifica della qualità della nostra fede, tanto a livello personale, quanto a livello comunitario.

(Francesco, Angelus, 29 luglio 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

LA GIOIA NEL CONDIVIDERE

Da noi le scuole non sono uguali per tutti. Io lavoro in una scuola per bambini ricchi, che hanno tutto. Un giorno ho fatto loro una proposta: ognuno avrebbe dovuto portare un giocattolo in buone condizioni, da regalare ai bambini di una scuola frequentata da bambini poveri. Con un pullman, insegnanti e alunni siamo andati a consegnare loro i doni. È stata una vera festa. Molti genitori sono venuti a congratularsi per l'iniziativa, manifestando il desiderio che il nostro impegno continui per il bene dei loro figli e per abbattere le barriere.

A.I. - Brasile

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18a domenica del tempo ordinario (4 agosto 2024)
Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato.(Gv 6,29)

La scena iniziale del Vangelo, nella Liturgia odierna, ci presenta alcune barche in movimento verso Cafarnao: la folla sta andando a cercare Gesù. Potremmo pensare che sia una cosa molto buona, eppure il Vangelo ci insegna che non basta cercare Dio, bisogna anche chiedersi il motivo per cui lo si cerca. Infatti, Gesù afferma: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». La gente, infatti, aveva assistito al prodigio della moltiplicazione dei pani, ma non aveva colto il significato di quel gesto: si era fermata al miracolo esteriore, si era fermata al pane materiale: soltanto lì, senza andare oltre, al significato di questo.
Ecco allora una prima domanda che possiamo farci tutti noi: perché cerchiamo il Signore? Perché cerco io il Signore? Quali sono le motivazioni della mia fede, della nostra fede? Abbiamo bisogno di discernere questo, perché tra le tante tentazioni, che noi abbiamo nella vita ce n'è una che potremmo chiamare tentazione idolatrica. È quella che ci spinge a cercare Dio a nostro uso e consumo, per risolvere i problemi, per avere, grazie a Lui, quello che da soli non riusciamo a ottenere, per interesse. Ma in questo modo la fede rimane superficiale… miracolistica. Al centro di questa fede immatura non c'è Dio, ci sono i nostri bisogni. È giusto presentare al cuore di Dio le nostre necessità, ma il Signore, che agisce ben oltre le nostre attese, desidera vivere con noi anzitutto una relazione d'amore. E l'amore vero è disinteressato, è gratuito: non si ama per ricevere un favore in cambio! Questo è interesse; e tante volte nella vita noi siamo interessati.
Ci può aiutare una seconda domanda, quella che la folla rivolge a Gesù: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». È come se la gente, provocata da Gesù, dicesse: "Come fare per purificare la nostra ricerca di Dio? Come passare da una fede magica, che pensa solo ai propri bisogni, alla fede che piace a Dio?". E Gesù indica la strada: risponde che l'opera di Dio è accogliere Colui che il Padre ha mandato, cioè accogliere Lui stesso, Gesù. Non è aggiungere pratiche religiose o osservare speciali precetti; è accogliere Gesù, è accoglierlo nella vita, è vivere una storia d'amore con Gesù. Sarà Lui a purificare la nostra fede. Da soli non siamo in grado. Ma il Signore desidera con noi un rapporto d'amore: prima delle cose che riceviamo e facciamo, c'è Lui da amare. C'è una relazione con Lui che va oltre le logiche dell'interesse e del calcolo.
Questo vale nei riguardi di Dio, ma vale anche nelle nostre relazioni umane e sociali: quando cerchiamo soprattutto il soddisfacimento dei nostri bisogni, rischiamo di usare le persone e di strumentalizzare le situazioni per i nostri scopi. E una società che mette al centro gli interessi invece delle persone è una società che non genera vita. L'invito del Vangelo è questo: piuttosto che essere preoccupati soltanto del pane materiale che ci sfama, accogliamo Gesù come il pane della vita e, a partire dalla nostra amicizia con Lui, impariamo ad amarci tra di noi. Amore gratuito e senza calcoli, senza usare la gente, con gratuità, con generosità, con magnanimità.

(Francesco, Angelus, 1 agosto 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

FIDUCIA NEL PADRE

Sono passata in Comune e la signorina era meravigliata che riuscissimo a vivere con i pochi soldi della pensione. Potremmo infatti chiedere un sussidio, ma per ora non lo vogliamo. Mio marito dà qualche lezione di musica e così ce la facciamo. Ho detto alla signorina che siamo cristiani e abbiamo fiducia nel Padre.
Mi sono accorta che aveva le lacrime agli occhi: "Signora, mi ha detto, io non ho mai sentito nessuno parlare con una fede così grande. Sa che mi ha commossa?".
A volte si è un po' titubanti, non si osa, ma io non voglio lasciarmi frenare. Un nostro canto dice: Nessuno mi ha parlato di Gesù. Io vorrei essere una persona alla quale Gesù dice: "Tu hai parlato di me!".

Margherita C.

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19a domenica del tempo ordinario (11 agosto 2024)
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno (Gv 6,51)

Nel Vangelo della Liturgia odierna, Gesù continua a predicare alla gente che ha visto il prodigio della moltiplicazione dei pani. E invita quelle persone a fare un salto di qualità: dopo aver rievocato la manna, con cui Dio aveva sfamato i padri nel lungo cammino attraverso il deserto, ora applica il simbolo del pane a sé stesso. Dice chiaramente: «Io sono il pane della vita».
Che cosa significa pane della vita? Per vivere c'è bisogno di pane. Chi ha fame non chiede cibi raffinati e costosi, chiede pane. Chi è senza lavoro non chiede stipendi enormi, ma il "pane" di un impiego. Gesù si rivela come il pane, cioè l'essenziale, il necessario per la vita di ogni giorno, senza di Lui la cosa non funziona. Non un pane tra tanti altri, ma il pane della vita. In altre parole, noi, senza di Lui, più che vivere, vivacchiamo: perché solo Lui ci nutre l'anima, solo Lui ci perdona da quel male che da soli non riusciamo a superare, solo Lui ci fa sentire amati anche se tutti ci deludono, solo Lui ci dà la forza di amare, solo Lui ci dà la forza di perdonare nelle difficoltà, solo Lui dà al cuore quella pace di cui va in cerca, solo Lui dà la vita per sempre quando la vita quaggiù finisce. È il pane essenziale della vita.
"Io sono il pane della vita", dice. Restiamo su questa bella immagine di Gesù.
In questa espressione: "Io sono il pane della vita", riassume veramente tutto il suo essere e tutta la sua missione. Lo si vedrà pienamente alla fine, nell'Ultima Cena. Gesù sa che il Padre gli chiede non solo di dare da mangiare alla gente, ma di dare sé stesso, di spezzare sé stesso, la propria vita, la propria carne, il proprio cuore perché noi possiamo avere la vita. Queste parole del Signore risvegliano in noi lo stupore per il dono dell'Eucaristia. Nessuno in questo mondo, per quanto ami un'altra persona, può farsi cibo per lei. Dio lo ha fatto, e lo fa, per noi.
Nel Vangelo, però, anziché stupirsi, la gente si scandalizza, si strappa le vesti. Pensano: "Questo Gesù noi lo conosciamo, conosciamo la sua famiglia, come può dire: Sono il pane disceso dal cielo?". Anche noi forse ci scandalizziamo: ci farebbe più comodo un Dio che sta in Cielo senza immischiarsi nella nostra vita, mentre noi possiamo gestire le faccende di quaggiù. Invece Dio si è fatto uomo per entrare nella concretezza del mondo, per entrare nella nostra concretezza, Dio si è fatto uomo per me, per te, per tutti noi, per entrare nella nostra vita. E tutto della nostra vita gli interessa. Gli possiamo raccontare gli affetti, il lavoro, la giornata, i dolori, le angosce, tante cose. Gli possiamo dire tutto perché Gesù desidera questa intimità con noi. Che cosa non desidera? Essere relegato a contorno - Lui che è il pane -, essere trascurato e messo da parte, o chiamato in causa solo quando ne abbiamo bisogno.

(Francesco, Angelus, 8 agosto 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

RICOMINCIARE

Una mattina alla messa vicino a noi siede un uomo sui 30 anni. Al momento dello scambio della pace, ci accorgiamo che piange. Alla fine della Messa, Pedro ci confida che il suo problema non ha soluzioni e ha deciso di suicidarsi.
A diciotto anni – racconta - aveva avuto una relazione dalla quale era nata una bambina. Più tardi si era sposato con un'altra e ora aveva una bella famiglia. La moglie che da sempre aveva accettato questa situazione, poi senza motivo aveva cominciato a dubitare di lui. La vita era diventata insopportabile e così aveva cominciato a ubriacarsi. Pedro non se la sente di tornare a casa sua. Lo invitiamo allora a casa nostra, dove continua a raccontarci il suo dramma.
Più tardi, quando sembra più tranquillo, ci chiede di accompagnarlo da un parente, dove trovare ospitalità. Qualche tempo dopo bussa alla nostra porta una signora. Dice di essere la moglie di Pedro: è venuta a ringraziarci assieme ai figli perché suo marito è tornato a casa.

F.N. - Cile

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Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2024)
Beata colei che ha creduto (Lc 1,45)

Oggi la Chiesa celebra una delle feste più importanti dedicate alla Beata Vergine Maria: la festa della sua Assunzione. Al termine della sua vita terrena, la Madre di Cristo è salita in anima e corpo al Cielo, cioè nella gloria della vita eterna, nella piena comunione con Dio.
L'odierna pagina del Vangelo (Lc 1,39-56) ci presenta Maria che, subito dopo aver concepito Gesù per opera dello Spirito Santo, si reca dall'anziana parente Elisabetta, anch'essa miracolosamente in attesa di un figlio. In questo incontro pieno di Spirito Santo, Maria esprime la sua gioia con il cantico del Magnificat, perché ha preso piena coscienza del significato delle grandi cose che si stanno realizzando nella sua vita: per mezzo di lei giunge a compimento tutta l'attesa del suo popolo.
Ma il Vangelo ci mostra anche qual è il motivo più vero della grandezza di Maria e della sua beatitudine: il motivo è la fede. Infatti Elisabetta la saluta con queste parole: «Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto». La fede è il cuore di tutta la storia di Maria; lei è la credente, la grande credente; lei sa - e lo dice - che nella storia pesa la violenza dei prepotenti, l'orgoglio dei ricchi, la tracotanza dei superbi. Tuttavia, Maria crede e proclama che Dio non lascia soli i suoi figli, umili e poveri, ma li soccorre con misericordia, con premura, rovesciando i potenti dai loro troni, disperdendo gli orgogliosi nelle trame del loro cuore. Questa è la fede della nostra Madre, questa è la fede di Maria!
Il Cantico della Madonna ci lascia anche intuire il senso compiuto della vicenda di Maria: se la misericordia del Signore è il motore della storia, allora non poteva «conoscere la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita» (Prefazio). Tutto questo non riguarda solo Maria. Le "grandi cose" fatte in lei dall'Onnipotente ci toccano profondamente, ci parlano del nostro viaggio nella vita, ci ricordano la meta che ci attende: la casa del Padre. La nostra vita, vista alla luce di Maria assunta in Cielo, non è un vagabondare senza senso, ma è un pellegrinaggio che, pur con tutte le sue incertezze e sofferenze, ha una meta sicura: la casa di nostro Padre, che ci aspetta con amore. È bello pensare questo: che noi abbiamo un Padre che ci aspetta con amore, e che anche la nostra Madre Maria è lassù e ci aspetta con amore.
Intanto, mentre trascorre la vita, Dio fa risplendere «per il suo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza» (Prefazio.). Quel segno ha un volto, quel segno ha un nome: il volto luminoso della Madre del Signore, il nome benedetto di Maria, la piena di grazia, perché ha creduto nella parola del Signore: la grande credente! Come membri della Chiesa, siamo destinati a condividere la gloria della nostra Madre, perché, grazie a Dio, anche noi crediamo nel sacrificio di Cristo sulla croce e, mediante il Battesimo, siamo inseriti in tale mistero di salvezza.

(Francesco, Angelus, 15 agosto 2015)


Testimonianza di Parola vissuta

SAPER ASCOLTARE…

Una sera, ero solo in magazzino, è entrato un fornitore che ha cominciato a rovesciarmi addosso parole pesanti, volgari. Non capivo il motivo della sua protesta: "Certo, per coprirmi di tutti questi insulti, devi avere dentro una pena molto grossa, vero?". Mi ha guardato impietrito, poi è scoppiato a piangere: aveva un figlio malato e per l'ennesima lite con la moglie viveva fuori casa da due giorni. L'ho incoraggiato a tornare a casa. Il giorno dopo è tornato per ringraziarmi: aveva ricomposto il rapporto con la moglie.

A.T.B. - Italia

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20a domenica del tempo ordinario (18 agosto 2024)
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui (Gv 6,56)

Il brano evangelico di questa domenica (cfr Gv 6,51-58) ci introduce nella seconda parte del discorso che fece Gesù nella sinagoga di Cafarnao, dopo aver sfamato una grande folla con cinque pani e due pesci: la moltiplicazione dei pani. Egli si presenta come «il pane vivo disceso dal cielo», il pane che dà la vita eterna, e aggiunge: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Questo passaggio è decisivo, e infatti provoca la reazione degli ascoltatori, che si mettono a discutere tra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Quando il segno del pane condiviso porta al suo significato vero, cioè il dono di sé fino al sacrificio, emerge l'incomprensione, emerge addirittura il rifiuto di Colui che poco prima si voleva portare in trionfo. Ricordiamoci che Gesù ha dovuto nascondersi perché volevano farlo re.
Gesù prosegue: «Se non mangiate la carne del figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita». Qui insieme alla carne compare anche il sangue. Carne e sangue nel linguaggio biblico esprimono l'umanità concreta. La gente e gli stessi discepoli intuiscono che Gesù li invita ad entrare in comunione con Lui, a "mangiare" Lui, la sua umanità, per condividere con Lui il dono della vita per il mondo. Altro che trionfi e miraggi di successo! È proprio il sacrificio di Gesù che dona se stesso per noi.
Questo pane di vita, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, viene a noi donato gratuitamente nella mensa dell'Eucaristia. Attorno all'altare troviamo ciò che ci sfama e ci disseta spiritualmente oggi e per l'eternità. Ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa, in un certo senso, anticipiamo il cielo sulla terra, perché dal cibo eucaristico, il Corpo e il Sangue di Gesù, impariamo cos'è la vita eterna. Essa è vivere per il Signore: «colui che mangia me vivrà per me», dice il Signore. L'Eucaristia ci plasma perché non viviamo solo per noi stessi, ma per il Signore e per i fratelli. La felicità e l'eternità della vita dipendono dalla nostra capacità di rendere fecondo l'amore evangelico che riceviamo nell'Eucaristia.
Gesù, come a quel tempo, anche oggi ripete a ciascuno di noi: «Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita».
Non si tratta di un cibo materiale, ma di un pane vivo e vivificante, che comunica la vita stessa di Dio. Quando facciamo la comunione riceviamo la vita stessa di Dio. Per avere questa vita è necessario nutrirsi del Vangelo e dell'amore dei fratelli. Dinanzi all'invito di Gesù a nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, potremmo avvertire la necessità di discutere e di resistere, come hanno fatto gli ascoltatori di cui ha parlato il Vangelo di oggi. Questo avviene quando facciamo fatica a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù, ad agire secondo i suoi criteri e non secondo i criteri del mondo. Nutrendoci di questo cibo possiamo entrare in piena sintonia con Cristo, con i suoi sentimenti, con i suoi comportamenti… Perché ricevere la comunione è ricevere questo Cristo vivo, che ci trasforma dentro e ci prepara per il cielo.

(Francesco, Angelus, 19 agosto 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

QUANDO IL CUORE È NELLA PACE

Mattino presto. Davanti al garage trovo un'auto che impedisce al mio furgone di uscire. È chiusa e non riesco a spostarla. Mi verrebbe da rompere il deflettore al proprietario, tanto più che siamo in un parcheggio privato. Ma subito, dentro, una domanda: "È giusto questo?".
Vinco la tentazione di forzare la macchina e più tardi, con l'aiuto di altri, riesco finalmente a spostarla e a partire. Strano, ma durante il viaggio, ho in cuore una gioia e una pace mai provati.

R.B. - Genova

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21a domenica del tempo ordinario (25 agosto 2024)
È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla (Gv 6,63)

Il Vangelo della Liturgia odierna (Gv 6,60-69) ci mostra la reazione della folla e dei discepoli al discorso di Gesù dopo il miracolo dei pani. Gesù ha invitato a interpretare quel segno e a credere in Lui, che è il vero pane disceso dal cielo, il pane della vita; e ha rivelato che il pane che Lui darà è la sua carne e il suo sangue. Queste parole suonano dure e incomprensibili alle orecchie della gente, tanto che, da quel momento - dice il Vangelo -, molti suoi discepoli tornano indietro, cioè smettono di seguire il Maestro. Allora Gesù interpella i Dodici: «Volete andarvene anche voi?», e Pietro, a nome di tutto il gruppo, conferma la decisione di stare con Lui: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo conosciuto e creduto che tu sei il Santo di Dio». Ed è una bella confessione di fede.
Soffermiamoci brevemente sull'atteggiamento di chi si ritira e decide di non seguire più Gesù. Da cosa nasce questa incredulità? Qual è il motivo di questo rifiuto?
Le parole di Gesù suscitano un grande scandalo: Egli sta dicendo che Dio ha scelto di manifestare sé stesso e di attuare la salvezza nella debolezza della carne umana. È il mistero dell'incarnazione. E l'incarnazione di Dio è ciò che suscita scandalo e che rappresenta per quella gente - ma spesso anche per noi - un ostacolo. Infatti, Gesù afferma che il vero pane della salvezza, che trasmette la vita eterna, è la sua stessa carne; che per entrare in comunione con Dio, prima di osservare delle leggi o soddisfare dei precetti religiosi, occorre vivere una relazione reale e concreta con Lui. Perché la salvezza è venuta da Lui, nella sua incarnazione. Questo significa che non bisogna inseguire Dio in sogni e immagini di grandezza e di potenza, ma bisogna riconoscerlo nell'umanità di Gesù e, di conseguenza, in quella dei fratelli e delle sorelle che incontriamo sulla strada della vita. Dio si è fatto carne. E quando noi diciamo questo, nel Credo, il giorno del Natale, il giorno dell'annunciazione, ci inginocchiamo per adorare questo mistero dell'incarnazione. Dio si è fatto carne e sangue: si è abbassato fino a diventare uomo come noi, si è umiliato fino a caricarsi delle nostre sofferenze e del nostro peccato, e ci chiede di cercarlo, perciò, non fuori dalla vita e dalla storia, ma nella relazione con Cristo e con i fratelli. Cercarlo nella vita, nella storia, nella vita nostra quotidiana. E questa è la strada per l'incontro con Dio: la relazione con Cristo e i fratelli.
Anche oggi la rivelazione di Dio nell'umanità di Gesù può suscitare scandalo e non è facile da accettare. È quello che San Paolo chiama la "stoltezza" del Vangelo di fronte a chi cerca i miracoli o la sapienza mondana. E questa "scandalosità" è ben rappresentata dal sacramento dell'Eucaristia: che senso può avere, agli occhi del mondo, inginocchiarsi davanti a un pezzo di pane? Perché mai nutrirsi assiduamente di questo pane? Il mondo si scandalizza.
Di fronte al gesto prodigioso di Gesù che con cinque pani e due pesci sfama migliaia di persone, tutti lo acclamano e vogliono portarlo in trionfo, farlo re. Ma quando Lui stesso spiega che quel gesto è segno del suo sacrificio, cioè del dono della sua vita, della sua carne e del suo sangue, e che chi vuole seguirlo deve assimilare Lui, la sua umanità donata per Dio e per gli altri, allora non piace, questo Gesù ci mette in crisi. Anzi, preoccupiamoci se non ci mette in crisi, perché forse abbiamo annacquato il suo messaggio! E chiediamo la grazia di lasciarci provocare e convertire dalle sue "parole di vita eterna".

(Francesco, Angelus, 22 agosto 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

«L'ABBIAMO CHIAMATA AMATA»

Una nostra vicina è morta dando alla luce una bambina. Tutte le persone del rione venivano per vederla. Poiché alcuni gridavano piangendo, la piccola sussultava spaventata. Un parente di lei allora ci ha chiesto di portarla via: essendo noi di un'altra tribù, in casa nostra sarebbe stata più tranquilla. Poi, passato un po' di tempo, il marito e il fratello della defunta ci hanno supplicato di tenerla con noi. Mia moglie ed io abbiamo acconsentito e i nostri figli subito hanno cominciato ad occuparsi di lei.
L'abbiamo chiamata Amata.

J.R.K. - Camerun)

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22a domenica del tempo ordinario (1 settembre 2024)
Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo (Mc 7,23)

Il Vangelo della Liturgia di oggi mostra alcuni scribi e farisei stupiti dall'atteggiamento di Gesù. Sono scandalizzati perché i suoi discepoli prendono cibo senza compiere prima le tradizionali abluzioni rituali. Pensano tra sé: "Questo modo di fare è contrario alla pratica religiosa".
Anche noi potremmo chiederci: perché Gesù e i suoi discepoli trascurano queste tradizioni? In fondo non sono cose cattive, ma buone abitudini rituali, semplici lavaggi prima di prendere cibo. Perché Gesù non ci bada? Perché per Lui è importante riportare la fede al suo centro. Nel Vangelo lo vediamo continuamente: questo riportare la fede al centro. Ed evitare un rischio, che vale per quegli scribi come per noi: osservare formalità esterne mettendo in secondo piano il cuore della fede. Anche noi tante volte ci "trucchiamo" l'anima. La formalità esterna e non il cuore della fede: questo è un rischio. È il rischio di una religiosità dell'apparenza: apparire per bene fuori, trascurando di purificare il cuore. C'è sempre la tentazione di "sistemare Dio" con qualche devozione esteriore, ma Gesù non si accontenta di questo culto. Gesù non vuole esteriorità, vuole una fede che arrivi al cuore. Infatti, subito dopo, richiama la folla per dire una grande verità: «Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro». Invece, è «dal di dentro, dal cuore» che nascono le cose cattive. Queste parole sono rivoluzionarie, perché nella mentalità di allora si pensava che certi cibi o contatti esterni rendessero impuri. Gesù ribalta la prospettiva: non fa male quello che viene da fuori, ma quello che nasce da dentro.
Questo riguarda anche noi. Spesso pensiamo che il male provenga soprattutto da fuori: dai comportamenti altrui, da chi pensa male di noi, dalla società. Quante volte incolpiamo gli altri, la società, il mondo, per tutto quello che ci accade! È sempre colpa degli "altri": è colpa della gente, di chi governa, della sfortuna, e così via. Sembra che i problemi arrivino sempre da fuori. E passiamo il tempo a distribuire colpe; ma passare il tempo a incolpare gli altri è perdere tempo. Si diventa arrabbiati, acidi e si tiene Dio lontano dal cuore. Come quelle persone del Vangelo, che si lamentano, si scandalizzano, fanno polemica e non accolgono Gesù. Non si può essere veramente religiosi nella lamentela: la lamentela avvelena, ti porta alla rabbia, al risentimento e alla tristezza, quella del cuore, che chiude le porte a Dio.
Domandiamo nella preghiera la grazia di non sprecare tempo a inquinare il mondo di lamentele, perché questo non è cristiano. Gesù ci invita piuttosto a guardare la vita e il mondo a partire dal nostro cuore. Se ci guardiamo dentro, troveremo quasi tutto quello che detestiamo fuori. E se, con sincerità, chiederemo a Dio di purificarci il cuore, allora sì che cominceremo a rendere più pulito il mondo. Perché c'è un modo infallibile per vincere il male: iniziare a sconfiggerlo dentro di sé. L'accusa di noi stessi. Quanti di noi, nella giornata, in un momento della giornata o in un momento della settimana, sono capaci di accusare sé stessi dentro? "Sì, questo mi ha fatto questo, quell'altro… quello una barbarità…". Ma io? Io faccio lo stesso, o io lo faccio così... È una saggezza: imparare ad accusare sé stessi.

(Francesco, Angelus, 29 agosto 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

BASTEREBBE ASCOLTARE E VIVERE LA PAROLA

Scrive un mio amico prete: "Intere generazioni di adolescenti dormono di giorno e vivono di notte. Vestono tutti di nero, privi di colore e ti guardano con occhi bui".
Eppure basterebbe ascoltare la Parola e viverla e subito passerebbero dalla morte alla vita. C'è infatti possibilità di risurrezione per tutti, non c'è morte che abbia una parola definitiva: Dio è sempre più grande. La vita eterna che promette non è solo futura: inizia qui e ora, quando la Parola trova una fessura nei muri di gomma e accende l'amore, il dono di sé, la relazione generosa e autentica. Lo Spirito santo infatti ci precede, è in ogni cuore e attende solo di portare luce e vita.

don Mario M., Italia

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23a domenica del tempo ordinario (8 settembre 2024)
Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti (Mc 7,37)

Il Vangelo di questa domenica riferisce l'episodio della guarigione miracolosa di un sordomuto, operata da Gesù. Gli portarono un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. Egli, invece, compie su di lui diversi gesti: prima di tutto lo condusse in disparte lontano dalla folla. In questa occasione, come in altre, Gesù agisce sempre con discrezione. Non vuole fare colpo sulla gente, Lui non è alla ricerca della popolarità o del successo, ma desidera soltanto fare del bene alle persone. Con questo atteggiamento, Egli ci insegna che il bene va compiuto senza clamori, senza ostentazione, senza "far suonare la tromba". Va compiuto in silenzio.
Quando si trovò in disparte, Gesù mise le dita nelle orecchie del sordomuto e con la saliva gli toccò la lingua. Questo gesto rimanda all'Incarnazione. Il Figlio di Dio è un uomo inserito nella realtà umana: si è fatto uomo, pertanto può comprendere la condizione penosa di un altro uomo e interviene con un gesto nel quale è coinvolta la propria umanità. Al tempo stesso, Gesù vuol far capire che il miracolo avviene a motivo della sua unione con il Padre: per questo, alzò lo sguardo al cielo. Poi emise un sospiro e pronunciò la parola risolutiva: «Effatà», che significa "Apriti". E subito l'uomo venne sanato: gli si aprirono gli orecchi, gli si sciolse la lingua. La guarigione fu per lui un'«apertura» agli altri e al mondo.
Questo racconto del Vangelo sottolinea l'esigenza di una duplice guarigione. Innanzitutto la guarigione dalla malattia e dalla sofferenza fisica, per restituire la salute del corpo; anche se questa finalità non è completamente raggiungibile nell'orizzonte terreno, nonostante tanti sforzi della scienza e della medicina. Ma c'è una seconda guarigione, forse più difficile, ed è la guarigione dalla paura. La guarigione dalla paura che ci spinge ad emarginare l'ammalato, ad emarginare il sofferente, il disabile. E ci sono molti modi di emarginare, anche con una pseudo pietà o con la rimozione del problema; si resta sordi e muti di fronte ai dolori delle persone segnate da malattie, angosce e difficoltà. Troppe volte l'ammalato e il sofferente diventano un problema, mentre dovrebbero essere occasione per manifestare la sollecitudine e la solidarietà di una società nei confronti dei più deboli.
Gesù ci ha svelato il segreto di un miracolo che possiamo ripetere anche noi, diventando protagonisti dell'«Effatà», di quella parola "Apriti" con la quale Egli ha ridato la parola e l'udito al sordomuto. Si tratta di aprirci alle necessità dei nostri fratelli sofferenti e bisognosi di aiuto, rifuggendo l'egoismo e la chiusura del cuore. È proprio il cuore, cioè il nucleo profondo della persona, che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Egli si è fatto uomo perché l'uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, possa ascoltare la voce di Dio, la voce dell'Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell'amore, traducendolo in gesti di generosità e di donazione di sé.

(Francesco, Angelus, 9 settembre 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

LE SORPRESE DI CHI AMA

Per il matrimonio di mia nipote avrei avuto bisogno di un vestito adatto, ma in quel periodo non potevo permettermi questa spesa. Ho messo in comune questa piccola preoccupazione con alcune amiche e la risposta non si è fatta aspettare: con grande amore hanno raccolto fra loro il denaro occorrente per l'abito nuovo. La sera stessa un'altra amica, di ritorno dal Kenya, mi ha raccontato la sua esperienza in quel paese dove la gente vive in grande povertà. Mentre l'ascoltavo e guardavo le foto che aveva portato, ho avvertito chiaramente che Gesù mi chiedeva di donare a lei la somma ricevuta. Più tardi c'era una riunione di condominio. Quella sera si sarebbero tirati a sorte i nomi dei quattro incaricati per l'anno seguente. Essendo un compito assai impegnativo, nessuno ambiva ad esso. Si tirano le sorti e... il mio nome è fra i quattro! Per amore degli altri, ho deciso di accettare. Ma ecco una lieta sorpresa: chi aveva assunto quell'incarico non avrebbe dovuto pagare le spese di condominio per tutto quell'anno. La somma era sei volte superiore a quella data all'amica del Kenya.

L.S. - Portogallo

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24a domenica del tempo ordinario (15 settembre 2024)
Va dietro a me satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mc 8,33)

Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che, in cammino verso Cesarea di Filippo, interroga i discepoli: «La gente, chi dice che io sia?». Essi rispondono quello che diceva la gente: alcuni lo ritengono Giovanni Battista redivivo, altri Elia o uno dei grandi Profeti. La gente apprezzava Gesù, lo considerava un "mandato da Dio", ma non riusciva ancora a riconoscerlo come il Messia, quel Messia preannunciato ed atteso da tutti. Gesù guarda gli apostoli e domanda ancora: «Ma voi, chi dite che io sia?». Ecco la domanda più importante, con cui Gesù si rivolge direttamente a quelli che lo hanno seguito, per verificare la loro fede. Pietro, a nome di tutti, esclama con schiettezza: «Tu sei il Cristo». Gesù rimane colpito dalla fede di Pietro, riconosce che essa è frutto di una grazia, di una grazia speciale di Dio Padre. E allora rivela apertamente ai discepoli quello che lo attende a Gerusalemme, cioè che «il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto … venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».
Sentito questo, lo stesso Pietro, che ha appena professato la sua fede in Gesù come Messia, è scandalizzato. Prende in disparte il Maestro e lo rimprovera. E come reagisce Gesù? A sua volta rimprovera Pietro per questo, con parole molto severe: «Va' dietro a me, Satana!" - gli dice Satana! - "Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Gesù si accorge che in Pietro, come negli altri discepoli - anche in ciascuno di noi! - alla grazia del Padre si oppone la tentazione del Maligno, che vuole distoglierci dalla volontà di Dio. Annunciando che dovrà soffrire ed essere messo a morte per poi risorgere, Gesù vuol far comprendere a coloro che lo seguono che Lui è un Messia umile e servitore. È il Servo obbediente alla parola e alla volontà del Padre, fino al sacrificio completo della propria vita. Per questo, rivolgendosi a tutta la folla che era lì, dichiara che chi vuole essere suo discepolo deve accettare di essere servo, come Lui si è fatto servo, e avverte: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Mettersi alla sequela di Gesù significa prendere la propria croce - tutti l'abbiamo… - per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall'egoismo e dal peccato. Si tratta di operare un netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio "io" e i propri interessi al centro dell'esistenza: questo non è ciò che Gesù vuole da noi! Invece, Gesù ci invita a perdere la propria vita per Lui, per il Vangelo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica. Siamo certi, grazie a Gesù, che questa strada conduce alla fine alla risurrezione, alla vita piena e definitiva con Dio. Decidere di seguire Lui, il nostro Maestro e Signore che si è fatto Servo di tutti, esige di camminare dietro a Lui e di ascoltarlo attentamente nella sua Parola.

(Francesco, Angelus, 13 settembre 2015)


Testimonianza di Parola vissuta

UNA BATTAGLIA PER LA GIUSTIZIA

Alla notizia della mia gravidanza, l'azienda nella quale lavoro mi ha assicurato che avrebbe regolato la mia posizione lavorativa. Invece, dopo qualche mese, nulla di fatto. Questo significava: niente permessi, nessuna indennità di gravidanza, nessuna garanzia per il futuro. Ho dato le dimissioni e nel frattempo un amico di famiglia mi ha offerto di assumermi nel suo studio professionale. Si trattava di un'assunzione fittizia, poiché non avrei di fatto lavorato, ma mi sarebbero stati riconosciuti i diritti delle madri lavoratrici. Ho preparato i documenti necessari, ma la mia coscienza non mi lasciava tranquilla: ero uscita dalla legalità ed ora stavo organizzando un furto nei confronti dello Stato. No, un 'figlio di Dio' non poteva comportarsi così: dovevo affidare a Lui questa intricata situazione. Mi sono trovata a combattere una battaglia per la giustizia anche con i miei parenti, che non accettavano la mia decisione di mollare tutto. E invece la Provvidenza è intervenuta puntuale e 'giusta': un corso professionale per mio marito, un lettino e la carrozzina per il bambino in arrivo, persino un nuovo lavoro per me.

M.L. - Sicilia

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25a domenica del tempo ordinario (22 settembre 2024)
Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me (Mc 8,37)

Il Vangelo della Liturgia odierna narra che, lungo il cammino verso Gerusalemme, i discepoli di Gesù discutevano su chi «tra loro fosse più grande». Allora Gesù rivolse loro una frase forte, che vale anche per noi oggi: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». Se tu vuoi essere il primo, devi andare in coda, essere l'ultimo, e servire tutti. Mediante questa frase lapidaria, il Signore inaugura un capovolgimento: rovescia i criteri che segnano che cosa conta davvero. Il valore di una persona non dipende più dal ruolo che ricopre, dal successo che ha, dal lavoro che svolge, dai soldi in banca; la grandezza e la riuscita, agli occhi di Dio, hanno un metro diverso: si misurano sul servizio. Non su quello che si ha, ma su quello che si dà. Vuoi primeggiare? Servi. Questa è la strada.
Oggi la parola "servizio" appare un po' sbiadita, logorata dall'uso. Ma nel Vangelo ha un significato preciso e concreto. Servire non è un'espressione di cortesia: è fare come Gesù, il quale, riassumendo in poche parole la sua vita, ha detto di essere venuto «non per farsi servire, ma per servire». Dunque, se vogliamo seguire Gesù, dobbiamo percorrere la via che Lui stesso ha tracciato, la via del servizio. La nostra fedeltà al Signore dipende dalla nostra disponibilità a servire. E questo, lo sappiamo, costa, perché "sa di croce". Ma, mentre crescono la cura e la disponibilità verso gli altri, diventiamo più liberi dentro, più simili a Gesù. Più serviamo, più avvertiamo la presenza di Dio. Soprattutto quando serviamo chi non ha da restituirci, i poveri, abbracciandone le difficoltà e i bisogni con la tenera compassione: e lì scopriamo di essere a nostra volta amati e abbracciati da Dio.
Gesù, proprio per illustrare questo, dopo aver parlato del primato del servizio, compie un gesto. Abbiamo visto che i gesti di Gesù sono più forti delle parole che usa. E qual è il gesto? Prende un bambino e lo pone in mezzo ai discepoli, al centro, nel luogo più importante. Il bambino, nel Vangelo, non simboleggia tanto l'innocenza, quanto la piccolezza. Perché i piccoli, come i bambini, dipendono dagli altri, dai grandi, hanno bisogno di ricevere. Gesù abbraccia quel bambino e dice che chi accoglie un piccolo, un bambino, accoglie Lui. Ecco anzitutto chi servire: quanti hanno bisogno di ricevere e non hanno da restituire. Accogliendo chi è ai margini, trascurato, accogliamo Gesù, perché Egli sta lì. E in un piccolo, in un povero che serviamo, riceviamo anche noi l'abbraccio tenero di Dio.
Interpellati dal Vangelo, facciamoci delle domande: io, che seguo Gesù, mi interesso a chi è più trascurato? Oppure, come i discepoli quel giorno, vado in cerca di gratificazioni personali? Intendo la vita come una competizione per farmi spazio a discapito degli altri oppure credo che primeggiare significa servire? E, concretamente: dedico tempo a qualche "piccolo", a una persona che non ha i mezzi per contraccambiare? Mi occupo di qualcuno che non può restituirmi o solo dei miei parenti e amici? Sono domande che noi possiamo farci.

(Francesco, Angelus, 19 settembre 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

IL MIO "SACERDOZIO REGALE"

Medico in Madagascar, in un periodo di particolare difficoltà per adattarmi ad un ambiente e ad una cultura sconosciuti, ho riscoperto nel lavoro a contatto con i malati il mio "sacerdozio regale".
Il camice bianco che indosso potrebbe paragonarsi ai paramenti sacri; il lettino delle visite a un altare; l'apparecchio della pressione, lo stetoscopio e il registro delle annotazioni alle suppellettili sacre; la vittima: Gesù in ogni malato o persona sofferente. E il sacerdote? Io stesso, identificato con l'ammalato di turno! Ieri ne ho visitato uno che era stato un personaggio in vista, un prefetto rispettato da tutti. Con i cambiamenti politici e l'età, era diventato povero. Sono entrato nella sua modesta casa dove l'ho trovato triste e sofferente. L'ho visitato, mi sono interessato a lui e alle medicine che prendeva… Alla fine si è messo a piangere! Ho potuto solo dirgli nel mio povero malgascio: «Andriamanitra dia fitiavana!» («Dio è Amore!»).
Sono andato via con la certezza che Dio "era passato" in quella casa proprio attraverso quel sentirmi incapace.

Ciro - Madagascar

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26a domenica del tempo ordinario (29 settembre 2024)
Chi non è contro di noi è per noi (Mc 9,40)

Il Vangelo di questa domenica ci presenta uno di quei particolari molto istruttivi della vita di Gesù con i suoi discepoli. Questi avevano visto che un uomo, il quale non faceva parte del gruppo dei seguaci di Gesù, scacciava i demoni nel nome di Gesù, e perciò volevano proibirglielo. Giovanni, con l'entusiasmo zelante tipico dei giovani, riferisce la cosa al Maestro cercando il suo appoggio; ma Gesù, al contrario, risponde: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Giovanni e gli altri discepoli manifestano un atteggiamento di chiusura davanti a un avvenimento che non rientra nei loro schemi, in questo caso l'azione, pur buona, di una persona "esterna" alla cerchia dei seguaci. Invece Gesù appare molto libero, pienamente aperto alla libertà dello Spirito di Dio, che nella sua azione non è limitato da alcun confine e da alcun recinto. Gesù vuole educare i suoi discepoli, anche noi oggi, a questa libertà interiore.
Ci fa bene riflettere su questo episodio, e fare un po' di esame di coscienza. L'atteggiamento dei discepoli di Gesù è molto umano, molto comune, e lo possiamo riscontrare nelle comunità cristiane di tutti i tempi, probabilmente anche in noi stessi. In buona fede, anzi, con zelo, si vorrebbe proteggere l'autenticità di una certa esperienza, tutelando il fondatore o il leader dai falsi imitatori. Ma al tempo stesso c'è come il timore della "concorrenza", che qualcuno possa sottrarre nuovi seguaci, e allora non si riesce ad apprezzare il bene che gli altri fanno: non va bene perché "non è dei nostri", si dice. È una forma di autoreferenzialità. Anzi, qui c'è la radice del proselitismo. E la Chiesa - diceva Papa Benedetto - non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, cioè cresce per la testimonianza data agli altri con la forza dello Spirito Santo.
La grande libertà di Dio nel donarsi a noi costituisce una sfida e una esortazione a modificare i nostri atteggiamenti e i nostri rapporti. È l'invito che ci rivolge Gesù oggi. Egli ci chiama a non pensare secondo le categorie di "amico/nemico", "noi/loro", "chi è dentro/chi è fuori", "mio/tuo", ma ad andare oltre, ad aprire il cuore per poter riconoscere la sua presenza e l'azione di Dio anche in ambiti insoliti e imprevedibili e in persone che non fanno parte della nostra cerchia. Si tratta di essere attenti più alla genuinità del bene, del bello e del vero che viene compiuto, che non al nome e alla provenienza di chi lo compie. E - come ci suggerisce la restante parte del Vangelo di oggi - invece di giudicare gli altri, dobbiamo esaminare noi stessi, e "tagliare" senza compromessi tutto ciò che può scandalizzare le persone più deboli nella fede.

(Francesco, Angelus, 30 settembre 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

BASTEREBBE ASCOLTARE E VIVERE LA PAROLA

Per servizio sono stato a controllare il ristorante aperto da una ragazza cinese. Insieme al collega dovevo verificare se tutto fosse a posto. C'era il fratello della ragazza. Noto con meraviglia che al collo porta una catenina con la croce. "Sei cristiano?", gli chiedo. "Sono cristiano evangelico", risponde. Controlliamo il ristorante, tutto a posto. Qualche giorno dopo, mi ritrovo a passare da quelle parti. Rivedo il giovane evangelico. Mi chiede: "Ma tu vai in chiesa?". "Certo". "Tutte le domeniche?". "Anche durante la settimana, se posso", gli rispondo. Il giovane è sbalordito: un vigile che frequenta la chiesa!
Nasce così un'amicizia. Qualche tempo dopo il vigile gli propone se per caso gli farebbe piacere leggere un commento a una frase della Scrittura. È d'accordo. Così ogni mese gli passa il foglio col commento alla Parola proposta nel mese. La madre lo guarda, ed è contenta: "Ti comporti così perché sei un vero cristiano", commenta.

Marco P., vigile urbano

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27a domenica del tempo ordinario (6 ottobre 2024)
Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma (Mc 10,5)

Il Vangelo di questa domenica ci offre la parola di Gesù sul matrimonio. Il racconto si apre con la provocazione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito a un marito ripudiare la propria moglie, così come prevedeva la legge di Mosè. Gesù anzitutto, con la sapienza e l'autorità che gli vengono dal Padre, ridimensiona la prescrizione mosaica dicendo: «Per la durezza del vostro cuore egli - cioè l'antico legislatore - scrisse per voi questa norma». Si tratta cioè di una concessione che serve a tamponare le falle prodotte dal nostro egoismo, ma non corrisponde all'intenzione originaria del Creatore.
E qui Gesù riprende il Libro della Genesi: «Dall'inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola». E conclude: «Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Nel progetto originario del Creatore, non c'è l'uomo che sposa una donna e, se le cose non vanno, la ripudia. No. Ci sono invece l'uomo e la donna chiamati a riconoscersi, a completarsi, ad aiutarsi a vicenda nel matrimonio.
Questo insegnamento di Gesù è molto chiaro e difende la dignità del matrimonio, come unione di amore che implica la fedeltà. Ciò che consente agli sposi di rimanere uniti nel matrimonio è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo. Se invece prevale nei coniugi l'interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere.
Ed è la stessa pagina evangelica a ricordarci, con grande realismo, che l'uomo e la donna, chiamati a vivere l'esperienza della relazione e dell'amore, possono dolorosamente porre gesti che la mettono in crisi. Gesù non ammette tutto ciò che può portare al naufragio della relazione. Lo fa per confermare il disegno di Dio, in cui spiccano la forza e la bellezza della relazione umana. La Chiesa, da una parte non si stanca di confermare la bellezza della famiglia come ci è stata consegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione; nello stesso tempo, si sforza di far sentire concretamente la sua vicinanza materna a quanti vivono l'esperienza di relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa.
Il modo di agire di Dio stesso con il suo popolo infedele - cioè con noi - ci insegna che l'amore ferito può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono. Perciò alla Chiesa, in queste situazioni, non è chiesta subito e solo la condanna. Al contrario, di fronte a tanti dolorosi fallimenti coniugali, essa si sente chiamata a vivere la sua presenza di amore, di carità e di misericordia, per ricondurre a Dio i cuori feriti e smarriti.

(Francesco, Angelus, 7 ottobre 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

UN AMORE CHE NON PRETENDE

La preoccupazione di vedere sistemata mia figlia mi ha fatto ripensare a tutta la mia vita. Dopo il primo matrimonio, fallito nel giro di pochi mesi, pensavo che il secondo sarebbe stato il punto di arrivo. Ma quando è nata una bambina non sospettavo che non avrebbe avuto un padre: il mio compagno, infatti, dedito all'alcol, non riusciva a vivere in famiglia, diceva che io e la figlia gli toglievamo l'aria. Ho sopportato per un po', finché lui ha tagliato la corda come un ladro. Ora anche mia figlia è andata via di casa. Non ci capiamo molto. Mi chiedo dove ho sbagliato. Un giorno un sacerdote nell'omelia ha spiegato che l'amore vero non attende di essere ricambiato.
Forse questo è stato il mio errore?

W.F.- Germania

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28a domenica del tempo ordinario (13 ottobre 2024)
Impossibile agli uomini, ma non a Dio! (Mc 10,27)

Il Vangelo di oggi, tratto dal cap. 10 di Marco, è articolato in tre scene, scandite da tre sguardi di Gesù.
La prima scena presenta l'incontro tra il Maestro e un tale che - secondo il passo parallelo di Matteo - viene identificato come "giovane". L'incontro di Gesù con un giovane. Costui corre verso Gesù, si inginocchia e lo chiama «Maestro buono». Quindi gli chiede: «Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?», cioè la felicità. "Vita eterna" non è solo la vita dell'aldilà, ma è la vita piena, compiuta, senza limiti. Che cosa dobbiamo fare per raggiungerla? La risposta di Gesù riassume i comandamenti che si riferiscono all'amore verso il prossimo. Al riguardo quel giovane non ha nulla da rimproverarsi; ma evidentemente l'osservanza dei precetti non gli basta, non soddisfa il suo desiderio di pienezza. E Gesù intuisce questo desiderio che il giovane porta nel cuore; perciò la sua risposta si traduce in uno sguardo intenso pieno di tenerezza e di affetto. Così dice il Vangelo: «fissò lo sguardo su di lui, lo amò». Si accorse che era un bravo ragazzo… Ma Gesù capisce anche qual è il punto debole del suo interlocutore, e gli fa una proposta concreta: dare tutti i suoi beni ai poveri e seguirlo. Quel giovane però ha il cuore diviso tra due padroni: Dio e il denaro, e se ne va triste. Questo dimostra che non possono convivere la fede e l'attaccamento alle ricchezze. Così, alla fine, lo slancio iniziale del giovane si smorza nella infelicità di una sequela naufragata.
Nella seconda scena l'evangelista inquadra gli occhi di Gesù, e stavolta si tratta di uno sguardo pensoso, di avvertimento: «Volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». Allo stupore dei discepoli, che si domandano: «E chi può essere salvato?», Gesù risponde con uno sguardo di incoraggiamento - è il terzo sguardo - e dice: la salvezza è, sì, «impossibile agli uomini, ma non a Dio!». Se ci affidiamo al Signore, possiamo superare tutti gli ostacoli che ci impediscono di seguirlo nel cammino della fede. Affidarsi al Signore. Lui ci darà la forza, Lui ci dà la salvezza, Lui ci accompagna nel cammino.
E così siamo arrivati alla terza scena, quella della solenne dichiarazione di Gesù: In verità vi dico: chi lascia tutto per seguirmi avrà la vita eterna nel futuro e il centuplo già nel presente. Questo "centuplo" è fatto dalle cose prima possedute e poi lasciate, ma che si ritrovano moltiplicate all'infinito. Ci si priva dei beni e si riceve in cambio il godimento del vero bene; ci si libera dalla schiavitù delle cose e si guadagna la libertà del servizio per amore; si rinuncia al possesso e si ricava la gioia del dono. Quello che Gesù diceva: "Si è più beati nel dare che nel ricevere".
Il giovane non si è lasciato conquistare dallo sguardo di amore di Gesù, e così non ha potuto cambiare. Solo accogliendo con umile gratitudine l'amore del Signore ci liberiamo dalla seduzione degli idoli e dalla cecità delle nostre illusioni. Il denaro, il piacere, il successo abbagliano, ma poi deludono: promettono vita, ma procurano morte. Il Signore ci chiede di distaccarci da queste false ricchezze per entrare nella vita vera, la vita piena, autentica, luminosa.

(Francesco, Angelus, 11 ottobre 2015)


Testimonianza di Parola vissuta

UNA FEDE CHE SA AFFIDARSI

La nostra auto non aveva superato l'ispezione annuale obbligatoria e non valeva la pena ripararla. Ora però la vita diventava più difficile non solo per le spese giornaliere ma anche perché abbiamo una figlia autistica che non può viaggiare con i mezzi pubblici né camminare per lunghi tratti di strada.
Con la fede di chiedere e ottenere, insieme ai bambini abbiamo pregato per avere un'altra auto. Alcuni mesi dopo, alcuni amici della parrocchia ci annunciano di aver trovato per noi un'auto usata ma in ottime condizioni. Ancora una volta non ci è mancato l'aiuto di Dio.

R. C.- Gran Bretagna

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29a domenica del tempo ordinario (20 ottobre 2024)
Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore (Mc 10,43)

L'odierna pagina evangelica descrive Gesù che, ancora una volta e con grande pazienza, cerca di correggere i suoi discepoli convertendoli dalla mentalità del mondo a quella di Dio. L'occasione gli viene data dai fratelli Giacomo e Giovanni, due dei primissimi che Gesù ha incontrato e chiamato a seguirlo. Ormai hanno fatto parecchia strada con Lui e appartengono proprio al gruppo dei dodici Apostoli. Perciò, mentre sono in cammino verso Gerusalemme, dove i discepoli sperano con ansia che Gesù, in occasione della festa di Pasqua, instaurerà finalmente il Regno di Dio, i due fratelli si fanno coraggio, si avvicinano e rivolgono al Maestro la loro richiesta: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù sa che Giacomo e Giovanni sono animati da grande entusiasmo per Lui e per la causa del Regno, ma sa anche che le loro aspettative e il loro zelo sono inquinati, dallo spirito del mondo. Perciò risponde: «Voi non sapete quello che chiedete». E mentre loro parlavano di "troni di gloria" su cui sedere accanto al Cristo Re, Lui parla di un «calice» da bere, di un «battesimo» da ricevere, cioè della sua passione e morte. Giacomo e Giovanni, sempre mirando al privilegio sperato, dicono di slancio: sì, «possiamo»! Ma, anche qui, non si rendono veramente conto di quello che dicono. Gesù preannuncia che il suo calice lo berranno e il suo battesimo lo riceveranno, cioè che anch'essi, come gli altri Apostoli, parteciperanno alla sua croce, quando verrà la loro ora. Però - conclude Gesù - «sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Come dire: adesso seguitemi e imparate la via dell'amore "in perdita", e al premio ci penserà il Padre celeste. La via dell'amore è sempre "in perdita", perché amare significa lasciare da parte l'egoismo, l'autoreferenzialità, per servire gli altri.
Gesù poi si accorge che gli altri dieci Apostoli si arrabbiano con Giacomo e Giovanni, dimostrando così di avere la stessa mentalità mondana. E questo gli offre lo spunto per una lezione che vale per i cristiani di tutti i tempi, anche per noi. Dice così: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti». È la regola del cristiano. Il messaggio del Maestro è chiaro: mentre i grandi della Terra si costruiscono "troni" per il proprio potere, Dio sceglie un trono scomodo, la croce, dal quale regnare dando la vita: «Il Figlio dell'uomo - dice Gesù - non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
La via del servizio è l'antidoto più efficace contro il morbo della ricerca dei primi posti; è la medicina per gli arrampicatori, questa ricerca dei primi posti, che contagia tanti contesti umani e non risparmia neanche i cristiani, il popolo di Dio, neanche la gerarchia ecclesiastica. Perciò, come discepoli di Cristo, accogliamo questo Vangelo come richiamo alla conversione, per testimoniare con coraggio e generosità una Chiesa che si china ai piedi degli ultimi, per servirli con amore e semplicità.

(Francesco, Angelus, 21 ottobre 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

AMARE È ANCHE SAPERSI ACCETTARE

Avevo grossi problemi nel rapporto con mio padre, tanto che pensavo di andare via da casa, nonostante i miei 16 anni. Dopo averne parlato con gli amici della parrocchia, ho capito meglio che dovevo volere più bene a mio padre, senza aspettarmi niente da lui. Pochi giorni dopo questa decisione, sono rimasto in casa a lavorare con lui. Ore di silenzio. Alla fine del lavoro, mi ha fatto una confidenza: aveva notato che da un certo tempo mi comportavo con lui in modo diverso dai miei fratelli. «Capisco che tu avresti voluto un padre tenero, ma ti chiedo di accettarmi così come sono».
Per me è stato come se avessimo fatto un patto.

M.T. - Belgio

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30a domenica del tempo ordinario (27 ottobre 2024)
Rabunì, che io veda di nuovo! (Mc 10,51)

Il Vangelo della Liturgia di oggi narra di Gesù che, uscendo da Gerico, ridona la vista a Bartimeo, un cieco che mendica lungo la strada. È un incontro importante. Bartimeo aveva perso la vista, ma non la voce! Infatti, quando sente che sta per passare Gesù, inizia a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». I discepoli e la folla sono infastiditi dalle sue grida e lo rimpro-verano perché taccia. Ma lui urla ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù sente, e subito si ferma. Dio ascolta sempre il grido del povero, e non è per nulla disturbato dalla voce di Bartimeo, anzi, si accorge che è piena di fede, una fede che non teme di insistere, di bussare al cuore di Dio, malgrado l'incomprensione e i rimproveri. E qui sta la radice del miracolo. Infatti Gesù gli dice: «La tua fede ti ha salvato».
La fede di Bartimeo traspare dalla sua preghiera. Non è una preghiera timida, convenzionale. Anzitutto chiama il Signore "Figlio di Davide": cioè lo riconosce Messia, Re che viene nel mondo. Poi lo chiama per nome, con confidenza: "Gesù". Non ha paura di Lui, non prende le distanze. E così, dal cuore, grida al Dio amico tutto il suo dramma: "Abbi pietà di me!". Soltanto quella preghiera: "Abbi pietà di me!". Non gli chiede qualche spicciolo come fa con i passanti. No. A Colui che può tutto chiede tutto. Alla gente chiede degli spiccioli, a Gesù che può fare tutto, chiede tutto: "Abbi pietà di me, abbi pietà di tutto ciò che sono". Non chiede una grazia, ma presenta sé stesso: chiede misericordia per la sua persona, per la sua vita. Non è una richiesta da poco, ma è bellissima, perché invoca la pietà, cioè la compassione, la misericordia di Dio, la sua tenerezza.
Bartimeo non usa tante parole. Dice l'essenziale e si affida all'amore di Dio, che può far rifiorire la sua vita compiendo ciò che è impossibile agli uomini. Per questo al Signore non chiede un'elemosina, ma manifesta tutto, la sua cecità e la sua sofferenza, che andava al di là del non poter vedere. La cecità era la punta dell'iceberg, ma nel suo cuore ci saranno state ferite, umiliazioni, sogni infranti, errori, rimorsi. Lui pregava con il cuore. E noi? Quando domandiamo una grazia a Dio, mettiamo nella preghiera anche la nostra propria storia, le ferite, le umiliazioni, i sogni infranti, gli errori, i rimorsi?
Chiediamoci: "Come va la mia preghiera?". È coraggiosa, ha l'insistenza buona di quella di Bartimeo, sa "afferrare" il Signore che passa, oppure si accontenta di fargli un salutino formale ogni tanto, quando mi ricordo? Quelle preghiere tiepide che non aiutano per niente. E poi: la mia preghiera è "sostanziosa", mette a nudo il cuore davanti al Signore? Gli porto la storia e i volti della mia vita? Oppure è anemica, superficiale, fatta di rituali senza affetto e senza cuore? Quando la fede è viva, la preghiera è accorata: non mendica spiccioli, non si riduce ai bisogni del momento. A Gesù, che può tutto, va chiesto tutto. Egli non vede l'ora di riversare la sua grazia e la sua gioia nei nostri cuori, ma purtroppo siamo noi a mantenere le distanze, forse per timidezza o pigrizia o incredulità.

(Francesco, Angelus, 24 ottobre 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

LA PREGHIERA FATTA COL CUORE

Papa Francesco nel suo commento al Vangelo di questa domenica, sopra riportato, ha continuato raccontando questa esperienza: «Mi viene in mente quella storia - che io ho visto - di quel papà a cui i medici avevano detto che la sua bambina di nove anni non passava la notte; era in ospedale. E lui ha preso un bus ed è andato a settanta chilometri al santuario della Madonna. Era chiuso e lui, aggrappato alla cancellata, passò tutta la notte pregando: "Signore, salvala! Signore, dalle la vita!". Pregava la Madonna, tutta la notte gridando a Dio, gridando dal cuore. Poi al mattino, quando tornò in ospedale, trovò la moglie che piangeva. E lui pensò: "È morta". E la moglie disse: "Non si capisce, non si capisce, i medici dicono che è una cosa strana, sembra guarita". Il grido di quell'uomo che chiedeva tutto, è stato ascoltato dal Signore che gli aveva dato tutto».

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31a domenica del tempo ordinario (3 novembre 2024)
Amare il prossimo come sé stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici (Mc 12,33)

Nella Liturgia di oggi, il Vangelo racconta di uno scriba che si avvicina a Gesù e gli domanda: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù risponde citando la Scrittura e afferma che il primo comandamento è amare Dio; da questo poi, per naturale conseguenza, deriva il secondo: amare il prossimo come sé stes si. Udita questa risposta, lo scriba non soltanto la riconosce giusta ma nel farlo, nel riconoscerla giusta, ripete quasi le stesse parole dette da Gesù: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Possiamo domandarci: Perché, nel dare il suo assenso, quello scriba sente il bisogno di ridire le stesse parole di Gesù? Questa ripetizione pare tanto più sorprendente se pensiamo che siamo nel Vangelo di Marco, il quale ha uno stile molto conciso. Che senso ha allora questa ripetizione? Questa ripetizione è un insegnamento, per noi tutti che ascoltiamo. Perché la Parola del Signore non può essere ricevuta come una qualsiasi notizia di cronaca. La Parola del Signore va ripetuta, fatta propria, custodita. La Parola di Dio deve risuonare, echeggiare, e riecheggiare dentro di noi. Quando c'è quest'eco interiore che si ripete, significa che il Signore abita il cuore. E dice a noi, come a quel bravo scriba del Vangelo: «Non sei lontano dal regno di Dio».
Il Signore non cerca tanto degli abili commentatori delle Scritture, cerca cuori docili che, accogliendo la sua Parola, si lasciano cambiare dentro. Ecco perché è così importante familiarizzare con il Vangelo, averlo sempre a portata di mano per leggerlo e rileggerlo, appassionarsene. Quando lo facciamo, Gesù, Parola del Padre, ci entra nel cuore, diventa intimo a noi e noi portiamo frutto in Lui. Prendiamo ad esempio il Vangelo di oggi: non basta leggerlo e capire che bisogna amare Dio e il prossimo. È necessario che questo comandamento, che è il "grande comandamento", risuoni in noi, venga assimilato, diventi voce della nostra coscienza. Allora non rimane lettera morta, nel cassetto del cuore, perché lo Spirito Santo fa germogliare in noi il seme di quella Parola. E la Parola di Dio opera, è sempre in movimento, è viva ed efficace. Così ognuno di noi può diventare una "traduzione" vivente, diversa e originale. Non una ripetizione, ma una "traduzione" vivente, diversa e originale, dell'unica Parola di amore che Dio ci dona.
Oggi, dunque, prendiamo esempio da questo scriba. Ripetiamo le parole di Gesù, facciamole risuonare in noi: "Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutta la forza e il prossimo come me stesso". E chiediamoci: questo comandamento, orienta davvero la mia vita? Questo comandamento trova riscontro nelle mie giornate?

(Francesco, Angelus, 31 ottobre 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

SE SI AMA PER PRIMI

Con una vicina di casa non ci parlavamo da dieci anni: avevamo comperato da lei il terreno sul quale avevamo poi costruito, però per mancanza di onestà abbiamo dovuto pagarglielo due volte. Ogni volta che ci incontravamo era la fine del mondo: discussioni e ingiurie. Quando lei spazzava davanti alla sua porta, metteva la spazzatura davanti alla mia ed aspettava che io uscissi fuori, vedessi la spazzatura e di nuovo incominciava la discussione. Questo si ripeteva continuamente. Da alcuni amici ho sentito dire che se si ama per primi, si vive nella pace e anche i cattivi diventano buoni... Un giorno si è ripetuta la solita scena. Ho pensato allora che quella era la mia occasione per provare. Sono uscita con la scopa, ho raccolto la spazzatura e quando ho finito ho visto che lei era lì, aspettando come sempre la mia reazione. Questa volta però, l'ho guardata, ho sorriso e le ho chiesto come stava. Sorpresa, mi ha risposto con gentilezza, ringraziandomi. Dopo mi ha detto: "Mi scusi signora Rosa, posso raccoglierla io la spazzatura". Ed io: "Non si preoccupi". Da quel giorno, ogni volta che pulisce davanti a casa sua, lo fa anche davanti alla mia. Siamo diventate amiche.

Rosa. B.

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32a domenica del tempo ordinario (10 novembre 2024)
Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri (Mc 12,43)

La scena descritta dal Vangelo della Liturgia odierna si svolge all'interno del Tempio di Gerusalemme. Gesù guarda ciò che succede in questo luogo, il più sacro di tutti, e vede come gli scribi amino passeggiare per essere notati, salutati, riveriti, e per avere posti d'onore. E Gesù aggiunge che «divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere». Nello stesso tempo, i suoi occhi scorgono un'altra scena: una povera vedova, proprio una di quelle sfruttate dai potenti, getta nel tesoro del Tempio «tutto quanto aveva per vivere». Il Vangelo ci mette davanti questo stridente contrasto: i ricchi, che danno il superfluo per farsi vedere, e una povera donna che, senza apparire, offre tutto il poco che ha. Due simboli di atteggiamenti umani.
Gesù guarda le due scene. Ed è proprio questo verbo, "guardare", che riassume il suo insegnamento: da chi vive la fede con doppiezza, come quegli scribi, "dobbiamo guardarci" per non diventare come loro; mentre la vedova dobbiamo "guardarla" per prenderla come modello. Soffermiamoci su questo: guardarsi dagli ipocriti e guardare alla povera vedova.
Anzitutto, guardarsi dagli ipocriti, cioè stare attenti a non basare la vita sul culto dell'apparenza, dell'esteriorità, sulla cura esagerata della propria immagine. Quegli scribi coprivano, con il nome di Dio, la propria vanagloria e, ancora peggio, usavano la religione per curare i loro affari, abusando della loro autorità e sfruttando i poveri. È un monito per ogni tempo e per tutti, Chiesa e società: mai approfittare del proprio ruolo per schiacciare gli altri, mai guadagnare sulla pelle dei più deboli! E vigilare, per non cadere nella vanità, perché non ci succeda di fissarci sulle apparenze, perdendo la sostanza e vivendo nella superficialità.
E per guarire da questa malattia, Gesù ci invita a guardare alla povera vedova. Il Signore denuncia lo sfruttamento verso questa donna che, per fare l'offerta, deve tornare a casa priva persino del poco che ha per vivere. Quanto è importante liberare il sacro dai legami con il denaro! Già Gesù lo aveva detto, in un altro posto: non si può servire due padroni. O tu servi Dio o il denaro. È un padrone, e Gesù dice che non dobbiamo servirlo. Ma, allo stesso tempo, Gesù loda il fatto che questa vedova getta nel tesoro tutto ciò che ha. Non le rimane niente, ma trova in Dio il suo tutto. Non teme di perdere il poco che ha, perché ha fiducia nel tanto di Dio, e questo tanto di Dio moltiplica la gioia di chi dona. Il Signore sempre, davanti alla generosità della gente, va oltre, è più generoso. Ecco allora che Gesù la propone come maestra di fede: lei non frequenta il Tempio per mettersi la coscienza a posto, non prega per farsi vedere, non ostenta la fede, ma dona con il cuore, con generosità e gratuità. Le sue monetine hanno un suono più bello delle grandi offerte dei ricchi, perché esprimono una vita dedita a Dio con sincerità, una fede che non vive di apparenze ma di fiducia incondizionata. Impariamo da lei: una fede senza orpelli esteriori, ma interiormente sincera; una fede fatta di amore umile per Dio e per i fratelli.

(Francesco, Angelus, 7 novembre 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

RICOMINCIARE SI PUÒ

Fino a qualche tempo fa facevo molta fatica a confessarmi. Un giorno, nel dialogo con un prete, ho trovato risposte a domande e dubbi che avevo su questo sacramento. Qualche giorno dopo ho avuto la possibilità di confessarmi. Nel prepararmi sono diventata molto nervosa, perché da due anni non mi confessavo. Mi sembrava infatti sufficiente chiedere perdono direttamente a Dio. Nella mia città poi non si trovano sempre sacerdoti disponibili per la Confessione. Comunque ho preso coraggio e sono andata dal sacerdote. La prima cosa che gli ho detto è stata: "Devi aiutarmi, perché ho perso la pratica della Confessione". Lui ha sorriso e mi sono subito resa conto che tutto sarebbe stato facile. Quando ho cominciato a dire i miei peccati è stato bello, come se facessi pulizia dalla polvere che avevo accumulato da tempo. Uscendo mi sentivo nuova e con tanta voglia di ricominciare.

J. - Argentina

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33a domenica del tempo ordinario (17 novembre 2024)
Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte (Mc 13,29)

Il brano evangelico della liturgia di oggi si apre con una frase di Gesù che lascia sbigottiti: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo». Egli vuole farci capire che tutto in questo mondo, prima o poi, passa. Anche il sole, la luna e le stelle che formano il "firmamento" sono destinati a passare.
Alla fine, però, Gesù dice che cosa non crolla: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Le parole del Signore non passano. Egli stabilisce una distinzione tra le cose penultime, che passano, e le cose ultime, che restano. È un messaggio per noi, per orientarci nelle nostre scelte importanti della vita, per orientarci su che cosa conviene investire la vita. Su ciò che è transitorio o sulle parole del Signore, che rimangono per sempre? Evidentemente su queste. Ma non è facile. Infatti, le cose che cadono sotto i nostri sensi e ci danno subito soddisfazione ci attirano, mentre le parole del Signore, pur belle, vanno oltre l'immediato e richiedono pazienza. Siamo tentati di aggrapparci a quello che vediamo e tocchiamo e ci sembra più sicuro. È umano, la tentazione è quella. Ma è un inganno, perché «il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Ecco dunque l'invito: non costruire la vita sulla sabbia. Quando si costruisce una casa, si scava in profondità e si mettono solide fondamenta. Solo uno sprovveduto direbbe che sono soldi buttati via per qualcosa che non si vede. Il discepolo fedele, per Gesù, è colui che fonda la vita sulla roccia, che è la sua Parola che non passa, sulla fermezza della parola di Gesù: questo è il fondamento della vita che Gesù vuole da noi, e che non passerà.
E ora chiediamoci: qual è il centro, qual è il cuore pulsante della Parola di Dio? Che cosa, insomma, dà solidità alla vita e non avrà mai fine? Ce lo dice San Paolo. Il centro, proprio, il cuore pulsante, quello che dà solidità, è la carità: «La carità non avrà mai fine», dice San Paolo, cioè l'amore. Chi fa il bene investe per l'eternità. Quando vediamo una persona generosa e servizievole, mite, paziente, che non è invidiosa, non chiacchiera, non si vanta, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, questa è una persona che costruisce il Cielo in terra. Magari non avrà visibilità, non farà carriera, non farà notizia sui giornali, eppure quello che fa non andrà perduto. Perché il bene non va mai perduto, il bene rimane per sempre.
La Parola di Dio oggi ci avverte: passa la scena di questo mondo. E rimarrà soltanto l'amore. Fondare la vita sulla Parola di Dio, dunque, non è evadere dalla storia, è immergersi nelle realtà terrene per renderle salde, per trasformarle con l'amore, imprimendovi il segno dell'eternità, il segno di Dio. Ecco allora un consiglio per prendere le scelte importanti. Quando io non so cosa fare, come prendere una scelta definitiva, una scelta importante, una scelta che comporta l'amore di Gesù, cosa devo fare? Prima di decidere, immaginiamo di stare davanti a Gesù, come alla fine della vita, davanti a Lui che è amore. E pensandoci lì, al suo cospetto, alla soglia dell'eternità, prendiamo la decisione per l'oggi. Così dobbiamo decidere: sempre guardando l'eternità, guardando Gesù. Non sarà forse la più facile, non sarà forse la più immediata, ma sarà quella buona.

(Francesco, Angelus, 14 novembre 2021)


Testimonianza di Parola vissuta

L'IMPREVISTO

Viaggio spesso per lavoro, per cui devo farmi un programma dettagliato delle cose da fare, pronto però a cambiare certe mie previsioni. Ho notato infatti, con sorpresa, che l'imprevisto, se colto dalle mani di Dio, risulta poi migliore di ciò che avrei programmato. Questo "far spazio" a lui non solo quando viaggio, ma in tutte le altre circostanze, è una vera scuola a rimanere vigilanti.
Di fronte alla bellezza del suo programma, anche quando mi costa perdere il mio, devo riconoscere che il Regista invisibile sa indicarmi qual è la mia vera realizzazione, la mia felicità.

T. M.

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Cristo Re - 34a domenica del tempo ordinario (24 novembre 2024)
Il mio regno non è di questo mondo (Gv 18,36)

La solennità di Gesù Cristo Re dell'universo, che celebriamo oggi, è posta al termine dell'anno liturgico e ricorda che la vita del creato non avanza a caso, ma procede verso una meta finale: la manifestazione definitiva di Cristo, Signore della storia e di tutto il creato. La conclusione della storia sarà il suo regno eterno. L'odierno brano evangelico ci parla di questo regno, il regno di Cristo, il regno di Gesù, raccontando la situazione umiliante in cui si è trovato Gesù dopo essere stato arrestato nel Getsemani: legato, insultato, accusato e condotto dinanzi alle autorità di Gerusalemme. E poi, viene presentato al procuratore romano, come uno che attenta al potere politico, a diventare il re dei giudei. Pilato allora fa la sua inchiesta e in un interrogatorio drammatico gli chiede per ben due volte se Egli sia un re.
E Gesù dapprima risponde che il suo regno «non è di questo mondo». Poi afferma: «Tu lo dici: io sono re». È evidente da tutta la sua vita che Gesù non ha ambizioni politiche. Ricordiamo che dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasta del miracolo, avrebbe voluto proclamarlo re, per rovesciare il potere romano e ristabilire il regno d'Israele. Ma per Gesù il regno è un'altra cosa, e non si realizza certo con la rivolta, la violenza e la forza delle armi. Perciò si era ritirato da solo sul monte a pregare. Adesso, rispondendo a Pilato, gli fa notare che i suoi discepoli non hanno combattuto per difenderlo. Dice: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei».
Gesù vuole far capire che al di sopra del potere politico ce n'è un altro molto più grande, che non si consegue con mezzi umani. Lui è venuto sulla terra per esercitare questo potere, che è l'amore, rendendo testimonianza alla verità. Si tratta della verità divina che in definitiva è il messaggio essenziale del Vangelo: «Dio è amore» e vuole stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace. E questo è il regno di cui Gesù è il re, e che si estende fino alla fine dei tempi. La storia ci insegna che i regni fondati sul potere delle armi e sulla prevaricazione sono fragili e prima o poi crollano. Ma il regno di Dio è fondato sul suo amore e si radica nei cuori, conferendo a chi lo accoglie pace, libertà e pienezza di vita.
Gesù oggi ci chiede di lasciare che Lui diventi il nostro re. Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, e indica - questo re - la strada all'uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che il regno di Gesù non è di questo mondo. Egli potrà dare un senso nuovo alla nostra vita, a volte messa a dura prova anche dai nostri sbagli e dai nostri peccati, soltanto a condizione che noi non seguiamo le logiche del mondo e dei suoi "re".

(Francesco, Angelus, 25 novembre 2018)


Testimonianza di Parola vissuta

GESÙ NON MAI LONTANO DA NOI

Di tanto in tanto, senza un apparente motivo, arrivano dei pensieri a turbarmi: riguardano in genere episodi spiacevoli della mia vita che sembravano dimenticati, mancanze da parte mia verso persone… Di solito riesco a recuperare la pace ridichiarando a Dio che credo nel suo amore di Padre, riaffidandomi a lui.
Oggi m'è accaduto di vivere proprio uno dei quei momenti, assalita da ricordi negativi; poco dopo le letture della messa sembravano fotografare il mio stato di turbolenza: il brano del Vangelo, infatti, riguardava la tempesta sul lago, con i discepoli allarmati perché la loro barca cominciava a fare acqua mentre Gesù dormiva a poppa. Lo dovettero svegliare perché lui intervenisse, comandando ai venti e alle onde di calmarsi, non senza un piccolo rimprovero ad essi, «uomini di poca fede». Sì, Gesù a volte sembra "dormire" nelle nostre situazioni difficili, ma lo fa per mettere alla prova la nostra fede, per farla crescere. Occorre invece credere che non è mai lontano da noi. Siamo nella stessa barca.

Rosanna – Italia

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