XXVII Domenica del Tempo ordinario (A)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 9/2023)


ANNO A – 8 ottobre 2023
XXVII Domenica del Tempo ordinario

Isaia 5,1-7 • Salmo 79 • Filippesi 4,6-9 • Matteo 21,33-43
(Visualizza i brani delle Letture)


«QUESTI CRISTIANI DEL CAPRETTO»

Fatichiamo non poco a far la parte degli affittuari, di chi, cioè, ha in uso un luogo, porta avanti un impegno o intesse relazioni senza viverli, però, come la propria patrimoniale. Dimentichiamo spesso di essere pellegrini in cammino verso una meta e non residenti stanziali e, perciò, confondiamo la tappa con il traguardo. Siamo ospiti della vita per un tempo, non padroni indiscussi di ciò che è solo primizia.
Vorremmo tutti affrancarci dal dover dipendere da qualcuno e, in certi casi, è legittimo. Discutibile, invece, è il modo in cui raggiungere l'obiettivo. I contadini della parabola, infatti, mal sopportano di portare avanti un lavoro per conto di altri, per questo, dimenticando il senso di quanto era stato loro partecipato, tentano di riscrivere il proprio contratto eliminando la parte contraente. Beneficiari unici per la brama di possedere.
L'aver ricevuto in usufrutto la vigna che è la vita, la comunità cristiana, la fede stessa non è finalizzato a un utile per sé, anzitutto, ma a condividere lo stesso sentire che scorre nel cuore di Dio che tutto ci ha donato.
E, invece, tanto i contadini della parabola quanto noi, a far la conta di che cosa ce ne può venire dal pacchetto religioso, su quale eredità mettere le mani. «Questi cristiani del capretto», come amava ripetere padre Turoldo.
Alla ricerca di una eredità o impegnati a portare il frutto atteso dal Padre, possedere o condividere, accumulare o partecipare, apparire o essere, appropriarsi o essere fecondi, gioire perché altri partecipano delle nostre stesse possibilità o invidiare perché sembra ci sia tolto qualcosa?
Dio affida a chiunque la sua vigna e anche quando dovesse accadere che l'uomo non riconosca i suoi inviati a riscuotere il dovuto, eccolo lì pronto a rilanciare l'offerta. È davvero ostinato il nostro Dio, non getta mai la spugna anche di fronte all'evidenza. Fino alla fine, altrimenti non ci spiegheremmo le parole di perdono sulla bocca del Figlio in croce: «Non sanno quello che fanno».
Ci ha provato in tutti i modi a dar fiducia, per questo ha creduto opportuno giocare un'ulteriore carta, quella risolutiva, il figlio. E, invece...
Non c'è storia umana che finisca così: solitamente, la prevaricazione richiama altra violenza. Non così nella storia con Dio: a colpi inferti, amore ricambiato. L'uomo è sempre scusato. Tant'è che saranno gli interlocutori stessi di Gesù a comminarsi la pena di perire miseramente, non già il Signore per il quale chiunque di noi resta sempre interlocutore privilegiato se solo lo vuole.
Perché questa ostinazione da parte del Signore? Perché l'uomo resta sempre immagine di Dio e la vigna resta sempre la vigna anche se qualcuno ne ha fatto carne da macello. Per questo il Padre non cessa di uscire in cerca di chi accetti di riceverla di nuovo dalle sue mani perché sia il luogo in cui far ripartire il progetto delle origini.
Dio non passa il suo tempo a escogitare piani vendicativi ma a scovare uomini e donne capaci di fidarsi del suo desiderio di comunione.
E se il nostro progressivo assottigliarci come comunità cristiana fosse da leggere il passaggio ad altri per la nostra incapacità di portare i frutti attesi?


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