VII Domenica del Tempo ordinario (A)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 2/2023)


ANNO A – 19 febbraio 2023
VII Domenica del Tempo ordinario

Levitico 19,1-2.17-18 • Salmo 102 • 1 Corinzi 3,16-23 • Matteo 5,38-48
(Visualizza i brani delle Letture)


RISANARE I CONFLITTI

La cronaca registra sovente un modo di essere uomini che radica in quella convinzione secondo la quale, per essere tali, bisogna farsi valere. Questo significa essere uomini?
"Come il Padre...": ecco a cosa siamo chiamati. Essere "come il Padre". La vita cristiana non è una sorta di navigazione a vista: esiste un modello di rotta ben preciso ed è il Padre.
È accaduto a tutti di essere vittime di un sopruso di fronte al quale, come per un istinto naturale, abbiamo avvertito una sorta di diritto alla vendetta. La convinzione che soggiace all'esercizio di un tale diritto è quella di arrivare all'eliminazione dell'ingiustizia, mentre così non è. Non basta, infatti, distribuire equamente il male (a torto, torto) perché esso perda la sua forza. A vincerlo non è altro male, ma solo il bene.
Il porgere l'altra guancia non è un gesto remissivo ma invito rivolto all'altro perché si chieda da dove nasce la sua violenza e a che cosa può portare. Il porgere l'altra guancia è scegliere un percorso umano che non passa attraverso la strada che l'altro ha intrapreso precedentemente usando violenza.
Questa è la sfida che ci sta davanti: un percorso di umanizzazione che arrivi a tenere distinte colpa e persona. Il ricambiare violenza con violenza equivale a incasellare l'altro in uno schema riduttivo secondo cui "tu sei la tua colpa". Forse che il Padre fa questo con noi?
L'amore per il nemico corrisponde all'esercizio tanto difficile quanto non scontato di non rinchiudere l'altro nell'immagine che egli mi ha mostrato: l'altro è molto di più del gesto malvagio che può aver compiuto. Nessuno è omologabile alla sua violenza come non lo è alla sua colpa.
Più avanti, proprio nel vangelo di Matteo, Gesù ribadirà che il problema all'interno di un contenzioso non è tanto arrivare a stabilire chi abbia ragione e chi torto. L'obiettivo non è averla vinta: decisivo, infatti, sarà chiedersi come guadagnare un fratello, come ristabilire una relazione, come non perdere il rapporto con l'altro. A tema non c'è il danno (come accade nel nostro modo di amministrare la giustizia), ma la relazione.
Certo, si può obiettare, non tutti i conflitti si riescono a sanare. Alcune relazioni restano sospese. Alcune situazioni non si ricomporranno facilmente qui sulla terra: in questo caso l'unico atteggiamento possibile è il non perpetuare la violenza reiterandola. Sarà necessario accettare che le strade si dividano con questa convinzione: scelgo di lasciarti vivere come tu scegli di lasciarmi vivere, stando a debita distanza. Perché ciò accada è necessario assumere l'impegno di non ferirsi nuovamente.
C'è un silenzio – e il Vangelo ce lo testimonia durante la passione di Gesù – che vorrebbe essere un ultimo tentativo perché l'altro prenda coscienza della sua situazione e scelga di intraprendere un nuovo percorso. Forse capiamo così anche perché Gesù, sulla croce, non dica: «Io vi perdono», ma «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Chi non è consapevole del male che può aver compiuto, con difficoltà è disposto ad accogliere parole di perdono. Gesù prega perché non è riuscito a far prendere coscienza di che cosa fosse veramente in gioco in quella vicenda.


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