Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 4/2022)
ANNO C – 14-16 aprile 2022
Triduo pasquale
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Giovedì santo
Venerdì santo
Veglia di Pasqua
Triduo pasquale
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Giovedì santo
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Giovedì Santo: L'acqua sporca ai piedi dell'altare
Veglia di Pasqua: Più gioiosi nella Pasqua del Signore
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14 aprile 2022
Giovedì Santo
L'ACQUA SPORCA AI PIEDI DELL'ALTARE
Ne avessimo la possibilità e la cosa non risultasse stravagante o l'ultimo espediente di chi si abbandona al vezzo di una creatività liturgica sconsiderata, mi piacerebbe che lasciassimo ai piedi dell'altare il catino con l'acqua sporca che, dopo la lavanda dei piedi, esso ancora raccoglie. Quell'acqua sporca è la nostra vita che il figlio di Dio prende nelle sue mani lavandola con un lavacro di vera e propria purificazione.
Quella sera, il gesto di chinarsi e lavare i piedi degli apostoli non fu l'ultima trovata bizzarra del Signore. Quell'acqua aveva raccolto, certo, la fatica e la polvere accumulata dai piedi dei Dodici, ma ancor più era lì come una reliquia a testimoniare il diverso modo di rapportarsi alla passione del Cristo.
Quell'acqua, infatti, aveva raccolto la fedeltà di Giovanni e il suo acconsentire a che il Signore disponesse di lui fino in fondo affidandogli sua Madre.
Aveva poi raccolto la non falsità di Natanaele ma anche la sua fuga.
Aveva lavato l'entusiasmo di Tommaso nel dirsi pronto a morire con il Maestro ma anche il suo non reggere il corso degli eventi; aveva già lavato come d'anticipo anche il suo mettere condizioni per aprirsi alla fede.
Aveva lavato l'indisponibilità di Giuda a mettersi in sintonia con quanto il Maestro intendeva compiere; aveva lavato la sua incapacità ad accogliere l'ultimo gesto di comunione nel dono del boccone intinto; aveva lavato il suo voler perseguire un progetto di riscatto tutto suo; aveva lavato il suo appropriarsi di un dono che il Padre aveva fatto all'umanità intera; aveva lavato quei piedi che di lì a poco, invece di seguire le orme del Maestro, preferirà lasciare sospesi al vento.
Aveva lavato la sincerità di Pietro disposto a restare l'unico fedele ma anche la sua incapacità a perseverare; aveva lavato il suo non riconoscere il Maestro, il non riconoscersi uno dei suoi; aveva lavato il suo pianto, la sua ritrosia, il suo seguire da lontano la passione del Signore, la sua cocciutaggine ma anche la sua umiltà nell'accogliere il perdono; aveva lavato la sua disponibilità a confermare i fratelli una volta ravveduto.
Stasera lava i miei piedi che intraprendono percorsi sbagliati, le mie fughe quando rincorro miraggi di grandezza, il mio imboccare strade senza sbocco quando mi convinco che esse siano le uniche percorribili.
Lava i miei ritardi nel credere alla sua parola, la mia ritrosia a lasciarmi condurre su sentieri che non conosco, la mia ira, l'incapacità di rispettare i tempi di ognuno, il rifiuto di credere che anche la notte del dolore possa aprirsi a una nuova fecondità a tutta prima insperata, il mio fare la comunione anche quando non sono in comunione.
Nonostante piedi in fuga, a quei piedi sarà affidato l'annuncio di speranza che dovrà raggiungere ogni uomo. A noi questa speranza è giunta proprio tramite quei piedi. Penso a quanti ancora potrà giungere anche attraverso i nostri piedi.
È per questo che vorrei non perdere la memoria di cosa raccoglie quell'acqua che il Signore lascia scivolare con tenerezza sui miei piedi senza trattenerli, lasciandoli liberi di accogliere la fiducia accordata o di rifiutarla. Proprio questo, infatti, attesta cosa significa amare.
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16 aprile 2022
Veglia di Pasqua
PIÙ GIOIOSI NELLA PASQUA DEL SIGNORE
A rileggere la nostra vita registriamo non pochi motivi per accostarla a una sorta di via crucis in cui una condanna ingiusta e tante cadute hanno finito, forse, per farci concludere che meglio sarebbe la morte.
E, invece, no. Non è così. Questa notte ci ricorda che la morte può trattenerci per un momento, ma il Signore ci assicura che essa è soltanto il passaggio necessario attraverso cui è dato di accedere a lui proprio come attraverso le doglie del parto abbiamo avuto la grazia di gustare la luce e godere della vita terrena.
Poiché non siamo attrezzati a far fronte a questo passaggio finiamo per soccombere ancor prima. Tanta vita cristiana si arresta al Venerdì santo o, al massimo, al Sabato santo: si arresta, cioè, all'evidenza dei fatti. Tutto ciò che c'è oltre non è preso per nulla in considerazione solo perché sfugge alla presa della nostra comprensione. Con una certa ragione Nietzsche rimproverava ai cristiani di non essere testimoni di una visione positiva dell'uomo: «I cristiani dovrebbero cantarmi canti migliori perché io impari a credere al loro redentore: più gioiosi dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli!».
Ora, se è vero che ci portiamo la notte nel cuore e, forse, il nostro dolore fatica a sopportare la luce, è altrettanto vero che l'amore è più grande di ogni dolore. Le donne di cui ci narra il Vangelo fanno appello proprio al loro amore senza lasciarsi impietrire dalla perdita di cui pure sentono viva la mancanza. Abbiamo bisogno di apprendere da loro cosa significhi "fare Pasqua".
«Quand'è Pasqua quest'anno?», ci chiediamo solitamente. Trovo molto singolare il fatto che la Pasqua, a differenza del Natale, sia una festa mobile quasi a significare che essa non può ridursi alla odierna ricorrenza annuale. Facciamo Pasqua quando abbiamo ritrovato la voglia di ricominciare, di riprendere a camminare.
Facciamo Pasqua quando non smettiamo di credere che le cose possano cambiare e ci adoperiamo perché questo avvenga senza attendere soluzioni dall'alto.
Facciamo Pasqua quando non è la tristezza ad avere la meglio su di noi, quando il rimpianto cede il posto allo spirito d'iniziativa, quando l'angoscia è vinta dalla speranza, quando la paura è superata dalla fede, quando la commiserazione è vinta dalla condivisione e al lamento viene sostituito l'impegno personale e responsabile.
Facciamo Pasqua quando abbiamo la forza di vivere la vita nuova dei figli di Dio, quando viviamo conformemente alla vocazione cui siamo chiamati.
Fare Pasqua è ciò verso cui un credente mira così da non farsi trovare impreparato all'ultimo passaggio, quando, trasformati di gloria in gloria, vedremo Dio così come egli è.
Fare Pasqua è arrivare a dire con l'apostolo Paolo: «La mia vita la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato sé stesso per me».
Facciamo Pasqua quando non ripieghiamo rassegnati verso il già noto, ma continuiamo a scrutare e camminare lungo i sentieri che Dio va tracciando. Chi cammina nei sentieri di Dio non è risparmiato dall'ora della prova, ma grazie all'aiuto di Dio è in grado di trasformare le difficoltà in risorse.
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