Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 10/2021)
ANNO B – 14 novembre 2021
XXXIII Domenica del Tempo ordinario
Daniele 12,1-3 • Salmo 15 • Ebrei 10,11-14.18 • Marco 13,24-32
(Visualizza i brani delle Letture)
XXXIII Domenica del Tempo ordinario
Daniele 12,1-3 • Salmo 15 • Ebrei 10,11-14.18 • Marco 13,24-32
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NELLE MANI DI DIO
La storia di cui siamo protagonisti non poche volte evidenzia la nostra impotenza a determinare un diverso corso degli eventi. Proprio la consapevolezza di un limite con cui fatichiamo a stare a contatto, fa scattare in noi due meccanismi di difesa che suonano come un tentativo di esorcizzare la paura della morte: da una parte il volerla fare da padroni sul tempo mediante il possedere e l'operare, dall'altra il trascorrere il tempo in modo spensierato e trasgressivo. Non viviamo, forse, nell'illusione che un'agenda ricca di appuntamenti coincida con l'importanza che rivestiamo nella vita sociale? Non ci accade di voler evitare la fatica del pensare col procurarci ogni volta sensazioni nuove e sempre più forti?
In un simile modo di affrontare la gestione del tempo, il rischio è quello di non riuscire a discernere ciò che il Signore va dicendo alla nostra storia. E che cosa ripete ancora il Signore? Che la nostra storia non ha in sé stessa la sua ragion d'essere. Per questo, attenzione a «lasciare a sé stesso il nostro presente». Nulla avrebbe valore oltre la sua stessa realizzazione. Tutto si equivarrebbe, tanto il bene quanto il male, tutto sarebbe relativo e ciascuno diverrebbe criterio ultimo per stabilire ciò che vale la pena perseguire o tralasciare. Se tutto è senza prospettiva e nulla ha seme di eternità, perché amare? Perché voler bene? Perché legarsi a qualcuno? Perché non uccidere se questo può essere garanzia di una mia migliore affermazione?
Il Vangelo, invece, ricorda che siamo incamminati verso un compimento che il Signore stesso realizzerà, com'è vero che «le sue parole non passeranno». Potrà crollare, e senz'altro crollerà tutto quanto oggi noi riteniamo immutabile (il sole, la luna, le stelle), ma di certo la sua promessa non verrà meno.
I cristiani non leggono nulla come frutto di una sorte sempre più minacciosa. In tutto leggono l'invito a prendere coscienza della inconsistenza di tante nostre realizzazioni, di fronte alle quali stanno senza mai volerle assolutizzare. Tutto è destinato a dissolversi e tutto di noi va innestato su quell'albero fecondo che è la vicenda di Gesù, la vita e la morte, il presente e il futuro.
Tutto attorno a te può portare i tratti della desolazione, ma lo sguardo coglie già la prima gemma sulla pianta. Per questo, ripete Gesù: «Imparate dal fico».E perché ciò possa accadere, occorre essere persone di speranza. Per sperare bisogna aver incontrato e conosciuto il Padre del Signore Gesù Cristo. Quel Dio al quale abbiamo detto nel Salmo responsoriale: «Nelle tue mani è la mia vita». Se posso dire la mia vita è nelle tue mani, la paura è vinta. Non la sofferenza, perché la nascita di un mondo nuovo è sempre dolorosa, ma la paura sì.
La liturgia della Parola ci annuncia da una parte di astri che cadono e dall'altra di stelle che si accendono: «I saggi splenderanno come il firmamento...». Possono anche crollare i nostri punti di riferimento, ma non vengano mai a mancarci queste presenze luminose, gli uomini che sanno sperare. Quegli uomini che non hanno permesso a nulla e a nessuno di strappare dai loro occhi l'immagine della foglia primaverile del fico.
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