Commemorazione dei fedeli defunti




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 10/2021)


ANNO B – 2 novembre 2021
Commemorazione dei fedeli defunti

Giobbe 19,1-23-27a • Salmo 26 • Romani 5,5-11 • Giovanni 6,37-40
(Visualizza i brani delle Letture)

L'ARTE DI LASCIAR ANDARE

Una sociologa canadese ha definito la nostra come una cultura post-mortale. È come se noi avessimo ucciso la morte, non nel senso che l'abbiamo sconfitta ma nel senso che altaleniamo tra due atteggiamenti che sembrano opposti fra loro: da una parte, non perdiamo occasione per rimuovere quanto richiama la fragilità della nostra esistenza, dall'altra ostentiamo la morte come uno spettacolo.
È mutato persino il linguaggio: non si dice più "morire" ma"ci ha lasciato", "è venuto a mancare". È come se la morte fosse diventata l'ultima realtà impura da non vedere. Nonostante la nostra cosmesi della morte essa, però, non ha perso il suo pungiglione. Non poche volte, proprio perché non elaborata, la morte gode di una forza accresciuta. Se, talvolta, riusciamo ad elaborare i lutti dei nostri cari, difficilmente siamo capaci di mettere a tema il nostro personale morire. Recitiamo tutti una sorta di commedia il cui testo, dall'inizio alla fine, mette a tema una vita senza tramonto, quasi non dovessimo mai congedarci da nulla e da nessuno.
Eppure, per noi credenti, educare alla morte equivale a educare alla vita stessa. Eliminare dall'educazione l'esito finale che attende ogni vita vuol dire non educare affatto.
Esiste un esercizio alla morte? Sì, esiste. Tale lavoro comincia con lo smettere di fare di sé il centro dell'universo secondo uno stile narcisista. Chi è capace di decentrarsi e di interessarsi degli altri stabilisce con le cose un rapporto di non appropriazione. Si tratta di un vero e proprio esercizio declinato come capacità di "lasciar andare".
La nostra esperienza quotidiana ci restituisce non pochi passaggi che ci ricordano quanto siamo fragili. La nostra personale maturità è sempre il risultato di piccole morti che sono un passaggio obbligato. Prendere una decisione, ad esempio, comporta senz'altro un lasciare per entrare in una condizione nuova. Il problema nasce quando, pur avanti negli anni, non abbiamo mai lasciato o lo stadio dell'onnipotenza infantile o quello del narcisismo adolescenziale che continua a guardarsi allo specchio senza accorgersi che la vita scorre. La vita ci sospinge continuamente a esercitare l'arte del lasciar andare e lo fa in varie forme: un insuccesso, un trattamento ingrato o ingiusto, la perdita di una persona cara, una malattia, l'avanzare dell'età. Solitamente sono eventi che noi subiamo, mentre sono materiale prezioso attraverso cui il Padre ci rende conformi all'immagine stessa di Gesù. Il senso della nostra vita, come del nostro continuo morire, è proprio il modellare in noi la stessa immagine del figlio Gesù. Quel che uno è si manifesta quando ha smesso di nascondersi dietro quello che fa. Lasciar andare, ovvero imparare a morire a sé stessi. «La vita non è tolta, ma trasformata», così ci fa pregare il Prefazio I dei defunti.
Come nel giorno della mia nascita, l'aver lasciato il grembo materno ha dischiuso per me l'esperienza dell'amore di chi mi ha generato, così nel giorno della morte, il lasciare questo mondo di sicurezza che io conosco, dischiuderà in pienezza l'esperienza dell'amore di Dio.


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