Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 7/2021)
ANNO B – 11 luglio 2021
XV Domenica del Tempo ordinario
Amos 7,12-15 • Salmo 84 • Efesini 1,3-14 • Marco 6,7-13
(Visualizza i brani delle Letture)
XV Domenica del Tempo ordinario
Amos 7,12-15 • Salmo 84 • Efesini 1,3-14 • Marco 6,7-13
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LO STARE E L'ANDARE
Un giorno, dopo una lunga notte di preghiera, Gesù aveva scelto i Dodici strappandoli alle loro occupazioni perché "stessero con lui". In quella frequentazione assidua avevano accettato di lasciarsi plasmare pensieri e desideri dalla sua Parola. La vita cristiana matura nello stare con il Signore per conoscere chi egli è davvero, il Figlio del Padre e ciò che ha di più caro, rendere ogni uomo partecipe della sua stessa comunione d'amore con il Padre. Dopo aver consentito al Signore di entrare nella loro esistenza ed essi nella sua, i Dodici vanno in obbedienza a un mandato specifico, non da soli ma a due a due. Il Vangelo passa sempre sulla trama di una relazione in cui l'altro è riconosciuto e accolto, stimato e custodito: se la fede è un patrimonio condiviso, il credente non è mai un battitore solitario.
La vita nuova che il Signore dona non è un'esperienza di benessere interiore ma di guarigione dei rapporti: esiste là dove si vivela comunione. Ad annunciare la vicinanza di Dio, perciò, la relazione, non già un proclama, non parole per quanto ispirate e sagge. La relazione, forma prima dell'evangelizzazione. Gesù stesso, nel discorso dell'Ultima Cena, individuerà nell'amore vicendevole il segno dell'appartenenza a lui: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore tra voi» (Gv 13,35).
Agli inviati Gesù consegna il suo stesso potere: debellare ciò che offusca la dignità dell'uomo. L'annunciatore del Vangelo deve aiutare i fratelli a liberarsi dello spirito di cattiveria, di violenza, di ciò che crea dissociazione e devianza, ma potrà farlo solo se egli per primo si sarà lasciato guarire.
Come Gesù stesso aveva detto di sé: «Chi vede me vede il Padre che mi ha mandato», così anche il discepolo. I suoi modi e il suo linguaggio segno e trasparenza della presenza stessa del Signore. Nessun discepolo porta sé stesso; porta, invece, la relazione che lo fa vivere. Porta sé stesso chi parte senza prima aver accettato la fatica dello stare.
Nell'andare, nessun fardello inutile ma solo l'essenzialità di un bastone e di una calzatura comoda per il cammino: il bastone a perenne memoria di ciò che fece Mosè nel dividere le acque e nel far scaturire l'acqua dalla roccia; i sandali a ricordare, invece, che l'inviato è un pellegrino, sempre in cammino verso nuove destinazioni. L'unica tunica necessaria è essere rivestiti di Gesù Cristo, una veste che non potrà conoscere il logorio dell'uso.
La forza dell'annuncio non risiede nel dispiegamento dei mezzi ma nella verità della relazione con il Signore, e lo stare in una situazione di incertezza è ciò che permetterà di sperimentare la Provvidenza che annunciano.
Infatti, non dovranno portare del pane perché l'unico pane necessario è Cristo Signore. Il pane materiale non mancherà, anzi sarà abbondante e lo sarà per tutti. Il non portare mezzi di sussistenza è il segno che la vita non ce la si garantisce da soli: essa la si riceve in dono dal Signore come pure da coloro ai quali si porta il Vangelo.
E se dovesse accadere di non essere accolti, scuotere la polvere dai piedi significherà non custodire nessuna memoria del rifiuto opposto.
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