ANNO B – Triduo pasquale





Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 4/2021)

ANNO B, 1-3 aprile 2021
Triduo pasquale


Visualizza i brani delle letture:
Giovedì santo
Venerdì santo
Veglia di Pasqua



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Giovedì Santo: A partire dai piedi
Veglia di Pasqua: Il Risorto ci prende per mano


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1° aprile 2021
Giovedì Santo

A PARTIRE DAI PIEDI

Aveva iniziato il suo ministero annunciando un Dio che si fa vicino a ogni uomo. Vicino, sì, ma quanto? E fino a che punto? Tanto vicino all'uomo da mettersi ai suoi piedi. Durante la cena delle consegne Gesù non ha trovato di meglio che lasciare ai discepoli un luogo e uno strumento: ai piedi dell'altro con un grembiule ai fianchi. Egli non si vergogna dei limiti nascosti del nostro io. Parte da lì.
Fate questo in memoria di me... Cosa avrebbero dovuto fare i suoi? Ripetere un rito? Attraverso quel gesto Gesù pensava cosa dovesse essere la Chiesa: il sacramento, il segno permanente della prossimità di Dio verso ogni uomo, verso il discepolo amato come verso il dubbioso Tommaso, verso l'amico che tradisce e disprezza come verso quello che paventa superiorità rispetto agli altri ma poi rinnega per un nulla. Di questo facciamo memoria tutte le volte che sediamo attorno alla mensa della parola e del pane: della prossimità non soggetta a condizioni.
I piedi che Gesù lava sono piedi segnati dalla stanchezza, dalla resistenza, dal recalcitrare. I più, di lì a poco, saranno piedi in fuga. Ed egli, pur conoscendo quali strade intraprenderanno quei piedi, non impedirà che facciano il loro corso. Solo, userà verso di loro attenzione, la cui memoria sarà viatico per intraprendere percorsi di ritorno.
Alla vigilia della sua passione e morte, mettendo i piedi al centro, Gesù chiede ai discepoli di allora e a quelli di oggi: capite quello che vi ho fatto? Sa che non basta averlo guardato, chiede di essere capito, fatto proprio (càpere, prendere, assumere). Ma perché proprio da qui?
Quella sera Gesù non ha inteso lasciare ai suoi una lezione di umiltà o un invito al servizio. Quella sera ha chiesto ai discepoli di ogni tempo di prendersi cura della vulnerabilità dell'uomo (tu lavi i piedi a me? obietterà il riottoso Pietro). Prendersi cura di ciò che, se da una parte permette all'uomo il suo contatto con la terra, dall'altra dice anche ciò che è facilmente contaminato; se da una parte esprime la dignità della sua postura, dall'altra indica pure ciò che è sempre minacciato. E perché vi sia sacramento, Gesù compie tre gesti: chinarsi, toccare e curare.
Tanto, troppo vissuto relazionale è impedito perché ritmato secondo posizioni rigide che impediscono la comunione ogni volta che qualcuno non accetta di chinarsi verso l'altro. Questo è ciò che il Maestro ha chiesto, quella sera, alla Chiesa: imparare a mettersi alla pari. Semplicemente alla pari. Ciò non accade finché non assumo dell'altro la sua misura. Quanto è difficile sentire profonda solidarietà in umanità, fraternizzare! Eppure, non c'è rivelazione dell'amore se non a quel livello.
Poi, toccare. Sì, i piedi vanno toccati. Così come sono. Disposti a sporcarsi. Di nuovo, non c'è rivelazione dell'amore senza un reale coinvolgimento nella realtà dell'altro.
Infine, curare. Proprio perché a stretto contatto con la terra, i piedi riportano ferite e fratture che vanno fasciate «versandovi l'olio della consolazione e il vino della speranza».
Ai piedi di ogni uomo e un grembiule ai fianchi. Questa l'identità dei discepoli di Gesù da quella sera e fino al suo ritorno.


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3 aprile 2021
Veglia di Pasqua

IL RISORTO CI PRENDE PER MANO

Lo aveva promesso: "Dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea". Ma quelle parole di Gesù erano cadute nel vuoto. L'attenzione dei discepoli si era concentrata su altro. A nessuno era passato per la mente di chiedergli cosa volesse significare quel "risorgere". Aveva aggiunto, poi, quel particolare per nulla irrilevante: vi precederò in Galilea. Cosa aveva voluto dire? Che nonostante abbandoni e fughe, egli li avrebbe attesi ancora proprio dove tutto era cominciato e sarebbe stato un nuovo inizio. Le contraddizioni dei suoi non gli avrebbero impedito di continuare a precederli: egli ci sarebbe stato comunque. Nonostante tutto.
Ci precede oltre ogni nostro limite, oltre tutto ciò che ci crea fastidio e imbarazzo, pronto nuovamente a ridare fiducia. La fiducia è data ancor prima di trovarci nelle condizioni di chiederla: per questo annuncia il suo precedere ancor prima di essere consegnato. La fiducia è offerta ancor prima di sapere di averne bisogno.
Le prime a essere prese per mano l'alba di quel giorno, sono le donne. Erano andate al sepolcro con uno sguardo datato: pensavano di dover imbalsamare un morto. Ma a loro e a noi viene chiesto di andare oltre l'esperienza vissuta. Non fermatevi a un sepolcro!
In quel loro incedere, unica preoccupazione era come spostare quella pietra tanto grande. Come far fronte a questa crisi che stiamo vivendo? Chi ci rotolerà via la pietra? Quanti macigni all'imboccatura della nostra vita! Ma ciò che sorprende le donne resta una provocazione per noi: e se la via d'uscita fosse stata già liberata? E se il mio essere bloccato sia frutto soltanto di una percezione della realtà che ormai è superata? Tante pietre crescono a dismisura nella nostra immaginazione, a motivo della paura.
Quel loro andare al sepolcro, consapevoli della loro impotenza, è come se avesse già fatto il miracolo. I blocchi della vita hanno sempre bisogno della fiducia del primo passo.
Restare sintonizzati su noi stessi e sulle nostre paure ci impedisce un contatto sereno con ciò che la realtà ci consegna: «È risorto, non è qui...». Le donne ricevono questo annuncio che potrebbe davvero cambiare tutto, ma cosa accade? Che prestano più attenzione alle loro paure che a queste parole.
Quando la paura ha la meglio reagiamo allo stesso modo: le esperienze più importanti, le parole che più ci hanno segnato, sono solo un vago ricordo a cui ritorniamo con nostalgia.
Per grazia, però, la paura non è l'ultima parola su quella e sulle nostre vicende. Se ciò che abbiamo vissuto è autentico, esso non è certamente perduto.
Siamo attesi in Galilea. Per noi essa non è un luogo geografico ma simbolico: occorre far ritorno là dove tutto ha avuto inizio, ripercorrere tutto il nostro cammino alla luce della Pasqua, rifare al contrario la strada percorsa, sapendo che i luoghi dove lo avevamo deposto non sono più i luoghi dove è possibile trovarlo.
Voi cercate Gesù il Nazareno, il crocifisso... Gesù abita là dove nessuno pensa di trovarlo, nel nascondimento di Nazaret e nel fallimento della croce. Beati i nostri occhi se lo sapranno riconoscere presente dove nessuno si aspetterebbe di trovarlo.


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