Il diacono, testimone della Parola



Il diaconato in Italia n° 220
(gennaio/febbraio 2020)

PASTORALE


Il diacono, testimone della Parola
di Luigi Vidoni

«Il diacono tenga sempre ben presente l'esortazione della liturgia di ordinazione: "Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei diventato l'annunciatore, credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che credi, vivi ciò che insegni"». Così il Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, al n. 52; e continua affermando l'importanza per il diacono di «un contatto continuo con le Scritture, mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi "vano predicatore della Parola di Dio all'esterno colui che non ascolta di dentro" (Sant'Agostino), mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze del Parola divina. […] Quanto più si accosterà alla Parola divina, tanto più fortemente sentirà il desiderio di comunicarla ai fratelli».

L'incontro
L'incontro con la Parola di Dio è, di conseguenza, incontro con la Persona stessa del Verbo, fattosi carne in Gesù di Nazaret e che ci ha chiamati alla sua sequela. Anche oggi Lui "passa, vede e chiama", ed il chiamato lascia tutto e segue Gesù, cioè aderisce a Lui (cf. Mt 4,18-22): ciò che qualifica il discepolo di Gesù non è prima di tutto l' "imparare", ma il "seguire", il condividere il progetto di vita del Maestro. Ne consegue, poi, che "stare" con Gesù significa anche sapere tutto di Lui, in un processo di conoscenza che non è arido intellettualismo, quanto un accogliere le sue Parole come parole che hanno in sé la Vita, con la coscienza che le parole della persona amata, e che ti ha scelto, entrano profondamente nell'intimo e ti marcano nel profondo. Si sperimenta in certo modo quanto scritto dall'autore della Lettera agli Ebrei: «Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).

La presenza di Dio
Nella Parola, accolta e custodita nel cuore, si sperimenta la presenza di Dio.
Il papa Paolo VI nel discorso alla parrocchia di san'Eusebio a Roma, il 26 febbraio 1967, disse tra l'altro: «Soffermiamoci subito a considerare la parentela esistente fra il Divin Salvatore - la sua Persona - e la parola. Non è detto nel Vangelo che Gesù è il Verbo, cioè la Parola fatta Uomo? Ma qui più che di parentela si dovrebbe parlare di identità. Non è forse Gesù stesso la Parola? È proprio così. […] La sua parola è un modo di presenza fra noi. Tale presenza ha due caratteristiche: essa dura, permane; e mentre la presenza fisica svanisce ed è soggetta alle vicende del tempo, la parola rimane. La mia parola resterà in eterno, leggiamo nella Sacra Scrittura. Come si fa presente Gesù nelle anime? Attraverso il veicolo, la comunicazione della parola - così normale, nei rapporti umani, ma che qui diventa sublime e misteriosa - passa il pensiero divino, passa il Verbo, il Figlio di Dio fatto Uomo. Si potrebbe asserire che il Signore si incarna dentro di noi, quando noi accettiamo che la sua parola venga a circolare nella nostra mente, nel nostro spirito; venga ad animare il nostro pensiero, a vivere dentro di noi».

La cura per la Parola sia la stessa che per il suo Corpo
Nutrirsi della Parola è, al pari dell'Eucaristia, nutrirsi di Cristo (cf. DV 21). Infatti, come scrive San Girolamo, «noi mangiamo la carne di Cristo e beviamo il suo sangue nella divina Eucaristia, ma anche nella lettura della Scrittura» (In Eccl., 3,13). Ed è di sant'Agostino questo discorso: «Ditemi, fratelli, che cosa vi pare che valga di più: la Parola di Dio o il Corpo di Cristo? Se volete rispondere il vero, dovete convenire che non è meno la Parola che il Corpo di Cristo. E quindi, se quando ci viene ministrato il Corpo di Cristo usiamo ogni attenzione che non ne cada nulla dalle nostre mani per terra, allo stesso modo dobbiamo stare attenti che la Parola di Dio, quando ci viene somministrata, non svanisca dal nostro cuore, perché parliamo o pensiamo ad altro. Non sarà meno colpevole chi avrà accolto negligentemente la Parola di Dio, che colui che per la sua disattenzione avrà lasciato cadere in terra il Corpo di Cristo» (Sermo 300, 2-3, PL 39,2319).
Occorre quindi che la Parola, accolta e custodita, diventi vita, perché non è possibile «essere ascoltatori soltanto, illudendo noi stessi, ma di quelli che mettono in pratica la Parola» (cf. Gc 1,21-22), comportandosi come Gesù, che prima cominciò a fare e poi a insegnare (cf. At 1,1). A questo proposito san Giovanni Crisostomo afferma: «Gesù dice che dobbiamo prima fare e poi insegnare: egli colloca la pratica del bene prima dell'insegnamento, mostrando che si potrà utilmente insegnare soltanto avendo messo prima in pratica quanto si insegna, e mai altrimenti» (Commento al Vangelo di Matteo). Conosciamo infatti l'affermazione di Paolo VI: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». È un approccio, oltre che di conoscenza intellettuale per una seria ed approfondita lettura della Scrittura, anche, e soprattutto, un approccio "esistenziale" con la Parola di Dio. È come se dovessi "imparare" il Vangelo mettendo in pratica nelle varie circostanze della vita ogni Parola, quasi una comunione quotidiana con Colui che è presente e nell'Eucaristia e nella sua Parola, sperimentando che come basta un frammento di ostia santa per cibarmi di "tutto" Gesù, così ogni parola del Vangelo contiene "tutto" Gesù. In un certo senso è come avere in mano l'alfabeto per conoscere Cristo, dove si apprende gradualmente a comporre, con la propria vita, frasi complete che costruiscono la vita di Cristo in noi. Dice San Bonaventura: «Il discepolo di Cristo deve studiare le sacre Scritture come i bambini che apprendono a, b, c,… e dopo cominciano a sillabare, e poi a leggere, e più avanti a connettere il senso delle frasi».

Percorsi pastorali
Un metodo pastorale, che cerco di applicare nella comunità dove sono chiamato a prestare il mio servizio diaconale, è quello di proporre una frase compiuta che riassuma la Parola di Dio della liturgia domenicale, attraverso un manifesto ed uno scritto con un breve commento ed una testimonianza, che consegniamo per un cammino comunitario alla luce della Parola. Questa stessa Parola che ci accompagna durante la settimana è anche oggetto, oltre che di applicazione personale, anche di momenti di riflessione e di preghiera comunitaria.

Per vivere la Parola
Non mancano momenti in cui, per crescere nella comunione reciproca, possiamo comunicarci i frutti che possono nascere dalla vita della Parola. La Parola infatti, ascoltata e custodita, non può rimanere un atto passivo di accettazione, ma deve tramutarsi in azione, diventare uno stile di vita che identifica il discepolo di Cristo. Paolo VI, nel discorso citato alla parrocchia di sant'Eusebio a Roma, dice: «Udendo le spiegazioni del Vangelo, assidua industria di ogni cristiano sia quella di appropriarsi almeno di una preziosa nozione; tornando a casa… durante l'intera settimana successiva ci si alimenti di così sostanzioso cibo spirituale: la parola del Signore».
Vivere la Parola è "generare Cristo", e, come dice Clemente Alessandrino, «chi obbedisce al Signore e per mezzo suo segue la Scrittura viene trasformato pienamente a immagine del Maestro: egli giunge a vivere come Dio in carne». Il diacono, chiamato ad esercitare il ministero della Parola, trova in Maria, la Serva del Signore, un modello sublime da imitare nel "dare" Gesù al mondo. Ella, che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (cf. Lc 2,19), nel suo "silenzio" ha dato al mondo la Parola. E lei "tacque" in quel particolare servizio alla Parola, dove sempre la parola deve poggiare su un silenzio, come un dipinto sullo sfondo. Maria tacque perché creatura, perché il "nulla" non parla. Ma su quel "nulla" parlò Gesù.

La kenosi della Parola
Il diacono, chiamato ad essere, ad imitazione di Maria, "un nulla d'amore", a "svuotarsi" per accogliere il fratello, nel quale ravvede la presenza del Signore facendo tacere in sé la creatura per lasciar parlare lo Spirito affinché Gesù viva in sé e nella persona che accoglie, lo potrà fare se sarà abitato dalla Parola.
Ed è in questo "svuotarsi", partecipazione al mistero della kenosi di Gesù, che possiamo cogliere il mistero dell'Uomo-Dio che nel suo abbandono esprime in un certo senso la sintesi di tutto il Vangelo. In Lui, nel suo abbandono, vediamo la Parola tutta spiegata, la Parola aperta completamente. Ogni Parola, infatti, pur essendo espressa in termini umani, è Parola di Dio. E siccome Dio è amore, ogni Parola è carità. In questo modo Gesù, nel suo abbandono, esprime il massimo dell'amore, il massimo del suo essere Parola.

Il mistero della rivelazione
Se prendiamo ogni "esortazione" di Gesù fatta nel Vangelo, le vedremmo vissute da Lui in quel particolare momento. Egli, per fare un esempio, rivive in quell'attimo il «chi non pospone padre, madre e perfino la propria vita…» (cf. Lc 14,26). E può ripetere in sé tutte le Beatitudini: chi più povero di Lui che si sente abbandonato dal Padre… e chi più assetato, chi più perseguitato? In Lui splendono in maniera unica tutte le virtù: la fortezza, la pazienza, la temperanza, la perseveranza, la magnanimità…
Vivere Lui è vivere la Parola, vivere tutto il Vangelo.


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