Il diacono, testimone della Parola




Il diaconato in Italia n° 220
(gennaio/febbraio 2020)

EDITORIALE


I diaconi e la Parola, un cammino aperto
di Giuseppe Bellia

Ricordare il cammino che in questi quarant'anni la nostra rivista e la Comunità del diaconato hanno compiuto per far emergere il rapporto sacramentale che lega il diacono alla Parola, significa ricordare il contributo offertoci da don Altana, dal vescovo Giuliano Agresti, dai diaconi reggiani, da don Giuseppe Dossetti e dal cardinale Martini. Hanno accompagnato e illuminato un cammino faticoso e controcorrente perché si partiva da una visione statica che, già nella formula del rito di ordinazione diaconale, citando Atti (6,1-6), per i Sette indicati come diaconi, era il servizio delle mense, non quello della Parola, restringendo così di fatto il munus nuntiandi e il munus santificandi del terzo grado dell'unico ordine sacerdotale. Un servizio mutilato che veniva controbilanciato da un'enfatizzata diaconia ai poveri che peraltro non si capiva perché dovesse essere tratto peculiare dei soli diaconi e non distintivo di tutto il corpo sacramentale di Cristo, vescovi e presbiteri compresi.

Un cammino faticoso
Il risultato è stato che, una volta chiusa la stagione eroica dei generosi e pioneristici diaconi della prima ora di Reggio Emilia, di Napoli e di Torino, i diaconi della generazione successiva si sono ritrovati confinati nelle sagrestie o chiamati a fare la loro comparsa nelle solenni celebrazioni officiate dai vescovi, creando un diffuso e a volte acuto stato di disagio tra i diaconi più formati e consapevoli. Accanto a un nutrito gruppo che si rassegnava, o si accontentava, di questo stato di fatto deludente, c'era una parte più cosciente che puntava a vincere l'insoddisfacente situazione, aspirando all'omelia come punto di forza di un rapporto tutto da inventare.
Vent'anni di lamentele, di frustrazioni, di attese e di sotterfugi che nel tempo si sono stemperati quando per necessità organizzative i diaconi, e anche le suore, erano chiamati in ausilio di parroci anziani o di comunità parrocchiali isolate. Una soluzione prammatica vincente sul piano pastorale ma che non ha contribuito a formare una rinnovata identità diaconale di un munus nuntiandi proprio anche del terzo grado dell'ordine sacerdotale. Affermare il primato della Parola in situazioni di emergenza, era un diversivo astratto che non chiariva il senso di una ricerca esegeticamente fondata e teologicamente sostenuta. Per questo come rivista ci siamo impegnati a far conoscere il concreto vissuto esistenziale e il penoso stato ministeriale dei nostri diaconi, facendo intervenire su queste pagine le più autorevoli voci del magistero di vescovi e di teologi.

Non era lo stato inferiore di una carriera ecclesiale
Abbiamo registrato le ultime e pensose riflessioni di don Altana, da cui sono stato designato garante e successore nella direzione della sua rivista, come opera di conoscenza di una vocazione diaconale, non vista come lo stato inferiore di una carriera clericale, ma come propria di un servizio ai poveri e agli ultimi. Era questo per lui il vero punto nodale di un ministero della Parola proprio dei diaconi.
Nel suo fraseggio «quelli di dentro», i preti, non potevano o non sapevano compiere una diaconia per «quelli di fuori» del raggio ecclesiale. I diaconi invece, chiamati a servire i più lontani e perduti, potevano svolgere, secondo don Altana, per la loro reale convivenza e condivisione sociale e umana - pensate ai diaconi sindacalisti e contadini da lui proposti -, che li rendeva prossimi e stimati come ai primi tempi della Chiesa, compiendo, come Stefano e Filippo, un'opera di fattiva evangelizzazione incentrata sulla Parola.
Da ricordare la lezione, teologica e profetica insieme, di don Giuseppe Dossetti, più volte ripresa dalla nostra rivista, un servizio della Parola non suppletivo dell'ordine presbiterale ma coestensivo e significativo di un'identità diaconale da ricostruire nel segno del Concilio.

È il mistero della incarnazione
Tutta l'incarnazione si è compiuta progressivamente nel segno della Parola. Come ci rammentano le dense poesie di Giorgio Mazzanti che accompagnano questo numero, tutta l'incarnazione si è compiuta progressivamente nel segno della Parola (Sir 24,23). Una sapienza divina che s'incarna per diventare corpo nel libro della Torà, e che in modo più sconcertante si fa corpo eucaristico nel corpo piagato del Figlio, trovava nel servizio ai poveri, proprio dei diaconi, il punto d'incontro tra la Parola e l'evento pasquale.
Il contributo del cardinale Martini è ancora vivo nella memoria della Chiesa milanese e più avanti sarà oggetto di diffusa presentazione. Interessante ricordare che la comune eredità tramandata dai padri è di evitare una visione funzionale e non ipostatica della Chiesa, come ricorda papa Francesco nella toccante lettera di Querida Amazonia. La Chiesa è governata dallo Spirito e non dalle fughe in avanti di agguerriti gruppi di pressione mediatica.



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