Triduo pasquale

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 4/2020)



ANNO A, 9-11 aprile 2020
Triduo pasquale


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Giovedì santo
Venerdì santo
Veglia di Pasqua


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Giovedì Santo: Per servire occorre essere liberi
Veglia di Pasqua: Il dinamismo di "uscita" nei credenti


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9 aprile 2020
Giovedì Santo

PER SERVIRE OCCORRE ESSERE LIBERI

L'esodo è una storia di liberazione: il sacrificio e il rito non avvengono per incatenare o imbambolare. Il popolo ebraico lo continuerà ad annunciare ai più piccoli, senza stancarsi e questo perché la libertà chiede d'essere ricordata. La ragione nascosta in questa verità è che la libertà non è facile da vivere: rimane sempre una conquista. Facile pensare, che siamo persone libere; non ci rendiamo conto che, invece, dobbiamo diventare liberi. La libertà è più una possibilità che non un dato di fatto.
La liberazione di Israele dall'Egitto passa per una perdita, personale e collettiva. Israele deve lasciare le sue sicurezze (che siano cipolle o case) e immolare l'agnello, dunque il bene più prezioso: tutto questo quando ancora non sa come andrà a finire e ascoltando un tale (Mosè) che è pure un personaggio chiacchierato. Prospetta un futuro incerto, libero - dice lui - ma a caro prezzo e basato su una parola di Dio che manca di ogni garanzia e certezza. La loro scelta, tra l'altro, non è senza prezzo per gli egiziani, che sperimentano l'esperienza più dolorosa della vita, la morte di un figlio. Perché la libertà conquistata fa sempre soffrire qualcuno: gli egiziani non avranno più degli schiavi e, ovviamente, questo non potrà andargli bene.
Gesù celebra la cena ebraica mettendovi al centro il servizio, l'essere all'ultimo posto. Il quale non è né nascondersi rispetto alla propria identità né fare le cose senza che altri le vedano. Gesù è "il" Maestro e "il" Signore: non solo non si schernisce dei titoli, ma se possibile li assolutizza. Eppure, questo non lo ferma da svestirsi, inginocchiarsi, lavare dei piedi e porsi nel ruolo dello schiavo. L'azione di Gesù è talmente pubblica che Pietro si scandalizza, perché il servizio è anche un metterci la faccia.

Servire è spogliarsi, ossia attraversare la vergogna del non essere vestiti in un modo adeguato, ritrovarsi in una posizione scomoda e rischiare di non essere capiti. O, peggio, d'essere derisi. Questa spogliazione, che diventerà ignominiosa sulla croce, Gesù la vive in questa serata solo simbolicamente e tra le mura di casa, condividendo la mensa con i suoi amici più intimi. Ma domani quella nudità sarà esposta di fronte a quelli che lo deridono. Servire è poi chinarsi sui piedi altrui: se vogliamo servire, non possiamo stare sopra gli altri, dominandoli dall'alto. Chinarsi, togliersi i vestiti, lavare dei piedi… no assai diversi dal "non sporcarsi le mani" di chi critica e non fa nulla. Quella di Gesù è una grande e sconvolgente lezione sul servizio.
Ma il servizio non è staccato dalla libertà: per servire bisogna essere liberi. Diversamente è una schiavitù alla quale si è costretti. Allo stesso tempo, però, il servizio dà un indirizzo alla libertà: a nulla serve essere stati affrancati se poi quella libertà non prende una direzione. Rimarrebbe come una parola inespressa, e perciò inutile tanto agli altri quanto a se stessi. Nel mondo che idealizza la libertà e poi non riesce a viverla, il Gesù chinato è l'uomo libero.


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11 aprile 2020
Veglia di Pasqua

IL DINAMISMO DI "USCITA" NEI CREDENTI

Nel vangelo di Matteo sia le donne che le guardie sono testimoni di un evento che non può avere per origine altri che Dio: il terremoto, l'angelo sfolgorante che discende dal cielo, la pietra che rotola, il sepolcro vuoto... rimandano a un autore che non è di questo mondo. A evento finito, però, l'unico fatto incontestabile che permane è il sepolcro vuoto. Le donne, testimoni-non-credibili, raccontano che Gesù è risorto: un evento incredibile. Le guardie, pagate dai capi, diffondono la diceria del furto di cadavere: una bugia molto più credibile della verità. La fede fa uscire dalle facili spiegazioni, decostruisce la nostra voglia di chiuderci dentro alle rassicuranti illusioni, e apre a una novità sorprendente. Non è, però, l'unica chiave interpretativa, è solo un senso tra i tanti possibili: talvolta suona come il più incredibile, ma in genere è anche quella più promettente, gravida di una speranza eccedente la nostra realtà.
Gli eventi della teofania non bastano: l'angelo deve accompagnare questi gesti con un annuncio chiaro ed esplicito: «Non è qui. È risorto». Subito dopo invita ad entrare, a sperimentare quel vuoto che è testimone della promessa fatta ai profeti: «Aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio» (Ez 37,13). Non c'è niente di più sicuro di una tomba, di un cadavere che non si può muovere; proprio questa assenza fa scattare interrogativi da cui nasce una ricerca. Le guardie si incamminano per riferire l'evento, ma i capi danno un'interpretazione che blocca tutto e tutti: hanno trovato una risposta.
L'angelo annuncia che Gesù è risorto, e proprio per questo c'è un cammino che si apre: «Presto, andate… là lo vedrete». Le donne si muovono, e lungo la via lo incontrano. Ma l'incontro non ferma, anzi, rilancia il mandato: «Andate ad annunciare... là mi vedranno». I discepoli ricevono l'annuncio e si mettono in cammino, e questo movimento diventerà missione permanente.

«Nella parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di "uscita" che Dio vuole provocare nei credenti. [...] La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. [...] Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l'agricoltore dorme (cf Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi» (EG 20.22). La Parola è vera quando apre davanti un cammino, quando mette davanti un orizzonte in cui poter muovere dei passi, verso una promessa.
L'annuncio dell'angelo mette in moto le donne; loro partono e sulla via incontrano il Signore Risorto. Ricevono nuovamente l'annuncio, ma stavolta esso mette in moto anche i discepoli. È soltanto nel mettersi in viaggio che si realizza l'incontro: la Parola preannuncia una direzione, e proprio quando si inizia a camminare si avvera. L'ascolto, l'obbedienza fattiva e la realizzazione della promessa sono tanto collegate da essere quasi sovrapponibili: l'incontro con il Risorto è l'ascolto attento della sua Parola, è il lasciarsi mettere in moto e, per questo, sperimentare la sua presenza che accompagna.


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