Ascensione del Signore (A)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 5/2020)



ANNO A – 24 maggio 2020
Ascensione del Signore

Atti 1,1-11 • Salmo 46 • Efesini 1,17-23 • Matteo 28,16-20
(Visualizza i brani delle Letture)

UNA PRESENZA "PARTICOLARE"

Nel vangelo secondo Matteo - di cui abbiamo ascoltato gli ultimi versetti - non è raccontata l'ascensione del Signore. L'ultimo brano è una "manifestazione" di Gesù risorto in Galilea, mentre i discepoli vivono una lotta tra la fede e il dubbio: «Quando lo videro, si prostrarono. Essi, però, dubitarono». Dentro ciascuno di noi convivono fede e dubbio, coraggio e paura, forza e debolezza, gioia e tristezza... Il nostro cuore spesso si sente "diviso" e ha bisogno d'essere unificato. È come se dentro di noi ci fossero un credente e un non credente che combattono. Il Vangelo riconosce questa tensione, ma ci ricorda che credere nel Signore risorto e riconoscerlo significa accettare questa lotta e farne una lotta per la vita e non per la morte.
La fede non è una garanzia, ma una continua vittoria sui dubbi che si ottiene soltanto amando. Quando siamo nel dubbio ciò che ricolloca la nostra vita è soltanto la relazione con l'altro, l'incontro con la sua identità. Tant'è vero che Gesù, davanti al duplice atteggiamento del dubbio e della fede, non ha timore ad inviare i suoi discepoli: «Andando nel mondo, fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli…». Gesù non è bloccato di fronte al dubbio, all'imperfezione o alle ferite che abitano nel cuore dei suoi. Anzi, invita ad andare, a non avere paura, perché lui è con noi.
Due osservazioni importanti su queste parole di invio. Il Signore invita i suoi ad andare non in modo "militare", bensì con uno stile "quotidiano". È interessante notare che l'espressione spesso tradotta con "andate" è un participio, non un imperativo (poreuthèntes) Non si tratta di un dettaglio, perché il tono cambia: non è un ordine, ma la descrizione di uno stile: «Essendo andati, fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli…». Non si tratta tanto di conquistare nuove terre, bensì di essere annunciatori del Vangelo nella quotidianità dei nostri incontri, a partire dai luoghi nei quali ci troviamo. Non dobbiamo organizzare nessuna strategia di annuncio, bensì essere testimoni credibili del Vangelo con la nostra umanità vissuta in pienezza.
Per dirla in un modo caro a papa Francesco: si tratta di attivare dei processi, piuttosto che occupare degli spazi. Non è un'operazione scontata, perché ciò è possibile solo se dentro di noi c'è la consapevolezza che convivono la fede e il dubbio, se sappiamo accettare di vivere la dualità senza divenire "scissi", se sappiamo vivere le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre angosce e le nostre speranze.

L'invio è accompagnato da una promessa: «Io sono con voi». L'ultima parola del Vangelo è di rassicurazione e vicinanza, una parola che attraversa tutta la Scrittura e che l'uomo ha continuamente bisogno di sentirsi ripetere, da parte del Signore. Queste parole stanno nello spazio della fede e della speranza. Sono una promessa, non una garanzia.
È paradossale che Gesù dica queste parole proprio nel momento in cui abbandona i suoi. Egli fa della sua assenza fisica una presenza invisibile, una compagnia per i suoi discepoli. L'esito del suo dono di dare la vita è l'essere con loro per sempre, in modo misterioso, ma reale. La festa dell'ascensione del Signore risvegli in noi la dimensione della fedeltà quotidiana e la speranza della promessa.


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