VII Domenica del Tempo Ordinario (A)
Letture Patristiche



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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.



DOMENICA DEL «SIATE PERFETTI COME IL PADRE»

Levitico 19,1-2.17-18 • Salmo 102 • 1 Corinzi 3,16-23 • Matteo 5,38-48
(Visualizza i brani delle Letture)


1. La situazione dei pii di fronte agli empi, (Agostino, Esposizioni sui Salmi, II, 54,4)
2. «Amate i vostri nemici!» (Ambrogio, Commento all'Evangelo di san Luca, 5,73-78)
3. Le nostre opere proclamino la bontà di Dio (Cipriano, dal trattato «Sulla gelosia e l'invidia»)
4. Non ci viene richiesto il martirio, ma l'amore del prossimo (Salviano di Marsiglia, De gubernatione, 3, 5-6)
5. La pagliuzza e la trave (Agostino, Sermo 49, 7-9)


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1. La situazione dei pii di fronte agli empi

Non crediate che sia senza scopo la presenza dei cattivi nel mondo. Non pensate che da essi Dio non tragga niente di buono. Il cattivo vive, o perché abbia a correggersi, oppure perché chi è buono sia per mezzo suo messo alla prova. Voglia il cielo che coloro che oggi ci mettono alla prova si convertano, e anche loro siano con noi messi alla prova! Tuttavia, finché seguitano a opprimerci, non odiamoli. Non sappiamo, infatti, chi di loro persevererà sino alla fine nella sua malvagità; e il più delle volte, mentre ti sembra di odiare un nemico, odi un fratello... Dice l'Apostolo a coloro che sono già divenuti fedeli: Foste un tempo tenebre, ma ora siete luce nel Signore (Ef 5,8): tenebre in voi stessi, luce nel Signore. Ebbene, fratelli, tutti i malvagi, finché sono malvagi, mettono alla prova i buoni. Ascoltate ora brevemente e intendete! Se sei buono, nessuno ti sarà nemico, se non il malvagio. Senza dubbio, ti è ben nota quella regola di bontà, secondo la quale tu dovrai imitare la bontà del Padre tuo che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45).
Quanto a te, che cosa hai dato al tuo nemico? Tu che non sei capace neanche di sopportarlo! Se Dio ha per nemico un uomo al quale tante cose ha donato... tu, che non puoi far sorgere il sole e neppure far piovere sulla terra, non puoi riservare qualcosa per il tuo nemico, affinché anche per te, uomo di buona volontà, vi sia pace sulla terra? Ebbene, se è vero che a te, in fatto d'amore, si prescrive d'amare il nemico imitando il Padre, come potresti tu esercitare in questo comandamento, se non ci fosse alcun nemico da sopportare? Vedi, dunque, che ogni cosa ti è di giovamento. Il fatto stesso che Dio risparmia i malvagi e spinge anche te a fare altrettanto, poiché tu pure, se sei buono, lo sei in quanto da malvagio sei diventato buono! Che se Dio non perdonasse ai malvagi, nemmeno tu potresti ora presentare a lui a rendergli grazie. Lascia, dunque, che usi misericordia con gli altri colui che ne ha usata con te.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, II, 54,4

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2. «Amate i vostri nemici!»

Osserva come si cominci dalle cose più elevate, e la legge venga posta dopo le beatitudini. La legge comanda il ricorso alla vendetta; il Vangelo richiede per i nemici carità, bontà per l'odio, benedizioni per le maledizioni, invita a dare soccorso a chi ci perseguita, diffonde la pazienza tra gli affamati e la grazia della rimunerazione. Quanto è più perfetto di un atleta colui che non si risente per l'offesa. E per non apparire come il distruttore della legge, il Signore ordina per le buone azioni la reciprocità, che invece proibisce per le offese. Tuttavia, dicendo: E come volete che gli uomini facciano a voi, così fate a loro (Lc 6,31), mostra che il bene reso è maggiore, in quanto il valore dell'atto è adeguato alle intenzioni. La virtù non sa infatti misurare la portata del suo beneficio: e non contenta di rendere quanto ha ricevuto, vuole dare di più, nel timore di essere inferiore, anche se il servizio reso è identico a quello ottenuto.
Sta di fatto che i benefici non si pesano soltanto secondo la loro quantità, ma anche secondo l'ordine e il tempo in cui vengono fatti: se il beneficio è uguale, conta tuttavia di più quello che è stato reso per primo ed è benefattore colui che comincia a fare il bene, mentre chi lo restituisce è debitore. Prendere l'iniziativa di una buona opera significa compiere un beneficio maggiore: chi, infatti, restituisce il denaro ricevuto, non paga il beneficio, e continua ad essere debitore al suo benefattore, anche se non è più debitore di denaro. Perché, allora, ritenerci liberi, quando abbiamo restituito il beneficio ricevuto, mentre abbiamo comunque ricevuto più di quanto abbiamo restituito?
Il cristiano si è formato a questa buona scuola, e, non soddisfatto del diritto della natura, ne cerca anche la grazia. Se tutti, anche i peccatori, sono d'accordo nel ricambiare l'affetto, colui che ha convinzioni più elevate deve applicarsi con maggiore generosità all'esercizio della carità, al punto da amare anche coloro che non lo amano. Infatti, benché l'assenza di ogni titolo ad essere amati escluda l'esercizio dell'amore non tuttavia esclude l'esercizio della virtù. E come tu ti vergogneresti di non ricambiare l'amore a uno che ti ama, e per ricambiare il bene ricevuto ti metti ad amare, così per virtù devi amare chi non ama, affinché, amando per virtù, tu cominci ad amare chi non amavi. Poiché mentre è futile e vuota la ricompensa dell'affetto, duratura è la ricompensa della virtù. Cosa c'è di più ammirevole che porgere l'altra guancia a chi ti colpisce (cf. Lc 6,29)? Questo non significa spezzare l'impeto dell'uomo adirato e calmare la sua collera? Non puoi tu giungere forse, per mezzo della pazienza, a colpire più forte colui che ha colpito te, suscitando in lui il rimorso? Così tu respingerai l'offesa e otterrai l'affetto. Spesso grandi amicizie nascono per la dimenticanza d'una insolenza, o per un favore fatto in risposta a un'ingiuria... Se un nemico ha combattuto contro di te ottiene, gettando le armi, la pietà che lo salva; se spesso, per riguardo alla legge naturale o in forza dello stesso diritto di guerra, si accorda la vita ai vinti: tanto più si dovrà far ciò per riguardo al superiore punto di vista della religione! Se infatti il combattente è trattenuto dal motivo della salvezza impetrata, cosa non dovrà fare il soldato della pace?
Ed ecco che le parole dell'Apostolo: La carità è paziente, benigna non è invidiosa, non si gonfia d'orgoglio (1Cor 13,4), appaiono perfette in questi precetti. Se essa è paziente, deve sopportare chi offende; se è benigna, non deve rispondere a chi maledice; se non cerca il bene per sé, non deve resistere a chi toglie; se non è invidiosa, non deve odiare il nemico. E tuttavia i precetti della carità divina vanno oltre quelli dell'Apostolo; dare è più che cedere, amare i nemici è ben più che non essere invidiosi. Tutto questo il Signore lo ha fatto, egli che, oltraggiato, non ha restituito l'oltraggio; schiaffeggiato, non ha restituito gli schiaffi; spogliato, non ha opposto resistenza; crocifisso, ha chiesto perdono per gli stessi suoi persecutori dicendo: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34); scusava del loro crimine i suoi accusatori: quelli preparavano la croce, egli diffondeva grazia e salvezza.
Ebbene, siccome lo stesso esercizio della virtù si raffredda se non c'è una ricompensa, egli ci ha dato l'esempio e ci ha garantito un premio celeste, promettendo che sarebbero divenuti figli di Dio coloro che fossero stati suoi imitatori. Chi vuole arrivare rapidamente alla ricompensa non deve ricusare l'esempio; più splendida sarà la ricompensa quanto più grande sarà stato l'impegno. Quanto è grande il beneficio della misericordia, che ammette ai diritti dell'adozione divina! Imita, dunque, la misericordia, se vuoi meritare la grazia.

Ambrogio, Commento all'Evangelo di san Luca, 5,73-78

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3. Le nostre opere proclamino la bontà di Dio

Dobbiamo ricordare con quale nome Cristo chiami il suo popolo, con quale titolo denomini il suo gregge. Li chiama pecore, perché l'innocenza dei cristiani si conformi all'indole delle pecore; li chiama agnelli perché la semplicità della mente imiti la natura semplice degli agnelli. Perché il lupo si nasconde sotto la veste di pecora, perché reca infamia al gregge di Cristo chi mentisce al suo nome di cristiano? Portare il nome di Cristo e non camminare sulle orme di Cristo non è forse un tradire il nome di Dio, e abbandonare la via della salvezza? Lui stesso infatti insegna e afferma che giungerà alla vita chi avrà osservato i comandamenti, e che è sapiente chi avrà ascoltato e obbedito alle sue parole; e ancora che sarà chiamato il più grande maestro nel regno dei cieli chi avrà insegnato e operato come insegnava; e che quando ciò che si annuncia con la bocca è confermato dalle azioni, tornerà a vantaggio di chi predica l'aver predicato bene e con profitto.
Che cosa mai il Signore tanto spesso ha inculcato nell'animo dei suoi discepoli, qual cosa maggiormente comandò di custodire e osservare tra le ammonizioni salutari e i precetti celesti, se non che ci amiamo a vicenda con lo stesso amore con cui egli ha amato i discepoli? Ma come può mantenere la pace e la carità del Signore chi a causa della gelosia non può essere né operatore di pace né amabile? perciò anche Paolo apostolo, enumerando i meriti della pace e della carità, dopo aver affermato con forza che non gli avrebbero giovato né la fede, né le elemosine, né la stessa sofferenza del confessore e del martire se non avesse mantenuto integre e inviolate le esigenze della carità, aggiunse: «la carità è paziente, è benigna; non è invidiosa» (1Cor 1 3,4), insegnando così e dimostrando che può custodire la carità solo chi è magnanimo e benigno, e si tiene lontano dall'invidia e dalla gelosia. Così pure in un altro passo,esortando l'uomo già pieno di Spirito Santo e diventato figlio di Dio per il battesimo, a cercare sempre ciò che è spirituale e divino, soggiunge: «Io,fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come a esseri carnali, come a neonati in Cristo. Perché siete ancora carnali: dal momento che c'è tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana?» (1Cor 3,1.3).
Noi non possiamo rivestire l'immagine dell'uomo celeste se non dimostriamo di assomigliare a Cristo,fin dagli inizi della nostra vita spirituale. Ciò Significa cambiare ciò che eri, e cominciare a essere ciò che non eri, perché in te risplenda la tua figliolanza divina. Alla paternità di Dio deve far riscontro un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato nell'uomo proprio per la sua condotta di vita. Dio stesso a questo ci esorta e ammonisce, promettendo reciprocità a quelli che lo glorificheranno; dice infatti: «chi mi onorerà, anch'io lo onorerò, chi mi disprezzerà sarà oggetto di disprezzo» (1Sam 2, 30).
Per prepararci e formarci a questa glorificazione, il Signore, Figlio di Dio, ci offre nell'evangelo l'immagine di Dio Padre,dicendo: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste» (Mt 5,43-45).

(Cipriano, dal trattato «Sulla gelosia e l'invidia»)

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4. Non ci viene richiesto il martirio, ma l`amore del prossimo

Forse qualcuno obietta che oggi non è più il tempo in cui ci sia dato di sopportare per Cristo ciò che gli apostoli sopportarono ai loro giorni. È vero: non vi sono imperatori pagani, non vi sono tiranni persecutori; non si versa il sangue dei santi, la fede non è messa alla prova con i supplizi. Dio è contenta che gli serviamo in questa nostra pace, che gli piacciamo con la sola purità immacolata delle azioni e la santità intemerata della vita. Ma per questo gli è dovuta piú fede e devozione, perché esige da noi meno, pur avendoci elargito di più. Gli imperatori, dunque, sono cristiani, non c'è persecuzione alcuna, la religione non viene turbata, noi non veniamo costretti a dar prova della fede con un esame rigoroso: perciò dobbiamo piacere di più a Dio almeno con gli impegni minori. Dimostra infatti di essere pronto a imprese maggiori, se le cose lo esigeranno, colui che sa adempire i doveri minori.
Omettiamo dunque ciò che sostenne il beatissimo Paolo, ciò che, come leggiamo nei libri di religione scritti in seguito, tutti i cristiani sostennero, ascendendo così alla porta della reggia celeste per i gradini delle loro pene, servendosi dei cavalletti di supplizio e dei roghi come di scale. Vediamo se almeno in quegli ossequi di religiosa devozione che sono minori e comuni e che tutti i cristiani possono compiere nella pace più stabile ed in ogni tempo, ci sforziamo realmente di rispondere ai precetti del Signore. Cristo ci proibisce di litigare. Ma chi obbedisce a questo comando? E non è un semplice comando, giungendo al punto di imporci di abbandonare ciò che è lo stesso argomento della lite pur di rinunciare alla lite stessa: "Se qualcuno" - dice infatti -"vorrà citarti in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello" (Mt 5,40). Ma io mi chiedo chi siano coloro che cedano agli avversari che li spogliano, anzi, chi siano coloro che non si oppongano agli avversari che li spogliano? Siamo tanto lontani dal lasciare loro la tunica e il resto, che se appena lo possiamo, cerchiamo noi di togliere la tunica e il mantello all'avversario. E obbediamo con tanta devozione ai comandi del Signore, che non ci basta di non cedere ai nostri avversari neppure il minimo dei nostri indumenti, che anzi, se appena ci è possibile e le cose lo permettono, strappiamo loro tutto! A questo comando ne va unito un altro in tutto simile: disse infatti il Signore: "Se qualcuno ti percuoterà la guancia destra, tu offrigli anche l'altra" (Mt 5,39). Quanti pensiamo che siano coloro che porgano almeno un poco le orecchie a questo precetto o che, se pur mostrano di eseguirlo, lo facciano di cuore? E chi vi è mai che se ha ricevuto una percossa non ne voglia rendere molte? E' tanto lontano dall'offrire a chi lo percuote l'altra mascella, che crede di vincere non solo percuotendo l'avversario, ma addirittura uccidendolo.
"Ciò che volete che gli uomini tacciano a voi - dice il Salvatore - fatelo anche voi a loro, allo stesso modo" (Mt 7,12). Noi conosciamo tanto bene la prima parte di questa sentenza che mai la tralasciamo; la seconda, la omettiamo sempre, come se non la conoscessimo affatto. Sappiamo infatti benissimo ciò che vogliamo che gli altri ci facciano, ma non sappiamo ciò che noi dobbiamo fare agli altri. E davvero non lo sapessimo! Sarebbe minore la colpa dovuta ad ignoranza, secondo il detto: "Chi non conosce la volontà del suo padrone sarà punito poco. Ma chi la conosce e non la eseguisce, sarà punito assai" (Lc 12,47). Ora la nostra colpa è maggiore per il fatto che amiamo la prima parte di questa sacra sentenza per la nostra utilità e il nostro comodo; la seconda parte la omettiamo per ingiuria a Dio. E questa parola di Dio viene inoltre rinforzata e rincarata dall'apostolo Paolo, il quale, nella sua predicazione, dice infatti: "Nessuno cerchi ciò che è suo, ma ciò che è degli altri" (1Cor 10,24); e ancora: "I singoli pensino non a ciò che è loro, ma a ciò che è degli altri" (Fil 2,4). Vedi con quanta fedeltà abbia egli eseguito il precetto di Cristo: il Salvatore ci ha comandato di pensare a noi come pensiamo agli altri, egli invece ci comanda di badare piú ai comodi altrui che ai nostri. È il buon servo di un buon Signore e un magnifico imitatore di un Maestro unico: camminando sulle sue vestigia ne rese, quasi, più chiare e, scolpite le orme. Ma noi cristiani facciamo ciò che ci comanda Cristo o ciò che ci comanda l'Apostolo? Né l'uno né l'altro, credo. Siamo tanto lungi tutti noi da offrire agli altri qualcosa con nostro incomodo, che badiamo sommamente ai nostri comodi, scomodando gli altri.

(Salviano di Marsiglia, De gubernatione, 3, 5-6)

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5. La pagliuzza e la trave

Ma io che predico eseguo forse le cose che predico? Miei fratelli, le eseguo se prima le attuo in me stesso, e le attuo in me stesso se dal Signore ricevo [il dono di attuarle]. Ecco, le eseguo: odio i miei vizi, offro il mio cuore al mio medico perché lo risani; gli stessi vizi per quanto mi è possibile perseguito, ne gemo, riconosco che sono in me ed, ecco, me ne accuso. Tu che vorresti rimproverarmi, correggi te stesso. La giustizia è infatti questa: che non ci si possa dire: "Vedi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello e non vedi la trave che è nell'occhio tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi vedrai di togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello" (Mt 7,3-4). L'ira è una pagliuzza, l'odio è una trave. Ma alimenta la pagliuzza e diventerà una trave . Un'ira inveterata diventa odio: una pagliuzza accresciuta diviene una trave. Affinché pertanto la pagliuzza non divenga trave, "non tramonti il sole sopra la vostra ira" (Ef 4,26). Vedi, t'accorgi di esser divorato dall'odio, e vorresti riprendere chi è adirato? Liberati prima dall'odio e farai bene a rimproverare chi è in preda all'ira. Costui ha nell'occhio una pagliuzza, tu hai una trave. Se in effetti tu sei pieno di odio, come farai a vedere colui al quale devi togliere [la pagliuzza]? Nel tuo occhio c'è una trave. E perché nel tuo occhio c'è una trave? Perché hai preso alla leggera la pagliuzza che vi era nata: con quella ti addormentasti, con quella ti levasti, la facesti sviluppare nel tuo intimo, la innaffiasti con sospetti infondati. Credendo alle parole degli adulatori e di coloro che ti riferivano parole cattive sul conto del tuo amico incrementasti la pagliuzza, non la strappasti via. Col tuo affetto la facesti diventare trave. Togli dal tuo occhio questa trave! non odiare il tuo fratello. Ti spaventi o non ti spaventi? Io ti dico di non odiare e tu rimani tranquillo..., e rispondendo mi dici: Che significa odiare? E che male c'è se un uomo odia il suo nemico? Tu odii il tuo fratello! Se prendi alla leggera l'odio, ascolta come non fai caso alle parole: "Chi odia il suo fratello è un omicida" (1Gv 3,15). Chi odia è un omicida. Non ti sei procurato del veleno; ma forse che per questo puoi dirmi: Che c'entro io con l'essere omicida? "Chi odia è omicida". Non ti sei procurato il veleno, non sei uscito di casa con la spada per colpire il tuo nemico, non ti sei comprato l'esecutore del delitto, non hai programmato né il luogo né il tempo. E, infine, il delitto effettivamente non l'hai compiuto. Hai solamente odiato. Eppure, hai ucciso: ucciso te prima dell'altro [che odiavi] . Amate dunque la giustizia e non nutrite odio se non contro i vizi. Quanto alle persone, amate tutti. Se vi comporterete così e praticherete questa giustizia, preferirete cioè che gli uomini, anche se viziosi, siano piuttosto risanati che non condannati, compirete opere buone nella vigna [del Signore]. Occorre però che a questo vi esercitiate, o miei fratelli.
Ecco, terminato il discorso si darà il congedo ai catecumeni e resteranno solo i fedeli. Si giungerà al momento della preghiera. Voi sapete dove si giungerà. Che diremo a Dio in antecedenza? "Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). Fate presto a rimettere, fate presto! Dovrete infatti arrivare a queste parole della preghiera. Come farete a dirle? e come farete a non dirle? Alla fin delle fini la mia domanda è questa: Le direte o non le direte? Odii, e le dici? Mi replicherai: Allora non le dico. Preghi, e non le dici? Odii, e le dici? Preghi, e non le dici? Via, presto, rispondi! Ma se le dici, mentisci; se non le dici, resti senza meriti. Controllati, esaminati. Ecco, ora dovrai pronunziare la tua preghiera: perdona con tutto il cuore. Vorresti altercare con il tuo nemico; intenta prima la lite al tuo cuore. Ripeto: Alterca, alterca col tuo cuore! Di' al tuo cuore: Non odiare! Ma il tuo cuore, il tuo spirito, continua con l'odio. Di' alla tua anima: Non odiare! Come farò a pregare, come dirò: "Rimetti a noi i nostri debiti?" Questo veramente lo potrei dire, ma come potrò dire il seguito: "Come anche noi?" Cosa? "Come anche noi rimettiamo". Dov'è il tuo cristianesimo? Fa' ciò che dici: "Come anche noi".
Ma la tua anima non vuol perdonare, e si rattrista perché le dici di non portar odio. Rispondile: "Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi?" (Sal 41,6). "Perché mi turbi?", o: "Perché sei triste?" Non odiare per non portarmi alla perdizione. "Perché mi turbi? Spera in Dio". Sei nel languore, aneli, ti opprime l'infermità. Non sei in grado di liberarti dall'odio. Spera in Dio, che è medico. Egli per te fu sospeso a un patibolo e ancora non si vendica. Come vuoi tu vendicarti? Difatti in tanto odii in quanto ti vorresti vendicare. Guarda al tuo Signore pendente [dalla croce]; guardalo così sospeso e quasi in atto d'impartire ordini dall'alto di quel legno-tribunale. Guardalo mentre, sospeso, prepara a te malato la medicina ricavata dal suo sangue. Guardalo sospeso! Vuoi vendicarti? Lo vuoi davvero? Guarda a colui che pende [dalla croce] e ascolta ciò che dice: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).

(Agostino, Sermo 49, 7-9)


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