Dimensione trinitaria del ministero ordinato


Il diaconato in Italia n° 213
(novembre/dicembre 2018)

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Dimensione trinitaria del ministero ordinato
di Luigi Vidoni

Nel "Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti", al n. 46, si legge: «L'Ordine sacro conferisce al diacono, mediante gli specifici doni sacramentali, una speciale partecipazione alla consacrazione e missione di Colui che si è fatti servo del Padre nella redenzione del mondo e lo inserisce, in modo nuovo e specifico, nel ministero di Cristo, della Chiesa e della salvezza degli uomini. Per questo motivo, la vita spirituale del diacono deve approfondire e sviluppare questa triplice relazione, nella linea di una spiritualità comunitaria in cui si tenda a testimoniare la natura comunionale della Chiesa». I diaconi, infatti, a cui «sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio, servono il popolo di Dio in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio» (LG 29).

Come facce di un'unica medaglia
Da queste premesse nasce spontanea la domanda sul significato del diaconato all'interno del ministero ordinato, ed in particolare in rapporto al presbitero, perché, nella concretezza dell'operare pastorale, non occorre essere diaconi per fare quello che normalmente (e forse meglio) potrebbe fare un semplice laico; e d'altra parte quello che potrebbe fare un diacono è stato fatto, e si continua a fare, dal prete.
La risposta quindi non può venire se non dal rapporto "sacramentale" all'interno del ministero ordinato, un ministero "collettivo" per sua natura.
Infatti è difficile comprendere il diacono distaccato dal prete, quasi autonomo: si tratta piuttosto di distinzione di ruoli all'interno dello stesso sacramento dell'ordine. Direi che il rapporto all'interno del sacramento è di tipo trinitario; un'unica realtà, un'unica presenza di Cristo, ma che si esplica in modo diverso, quasi facce di un'unica medaglia.
L'unità è espressa dal vescovo, sintesi e completezza del segno sacramentale, da cui si aprono due braccia (non identiche), il prete e il diacono, quali canali di grazia per la comunità. È l'amore di Cristo - Capo e Sposo - per la Chiesa, che si esprime attraverso il prete e il diacono, partecipi ambedue (anche se in modo distinto e loro proprio) alla «gratia Capitis». Cristo, infatti, fondò la sua Chiesa sugli apostoli i quali associarono a sé i loro collaboratori. Per quanto riguarda il diacono, se non si sviluppa la riflessione sulla realtà del segno, e del segno sacramentale, non si comprende appieno la sua funzione, dato che non è per quello che fa che esprime qualcosa di specifico, ma per quello che è, sia in rapporto al prete, sia in rapporto alla comunità che è chiamato a servire assieme al prete.

Bisogna sviluppare la riflessione sulla realtà del segno
Infatti, ambedue i ministri, ognuno nel proprio ordine, sono chiamati ad essere al servizio della comunità cristiana, in «persona Christi»: è un vivere a mo' della Trinità una realtà collettiva, essendo collettiva, appunto, la natura stessa dell'ordine sacro.
«I diaconi partecipano del servizio ecclesiale secondo la specificità e la misura dell'Ordine ricevuto: non sono ordinati per presiedere l'eucaristia e la comunità, ma per sostenere in questa presidenza il vescovo e il presbiterio. Proprio attraverso questa disponibilità essi sono chiamati ad esprimere, secondo la loro grazia specifica, la figura di Gesù Cristo servo, ricordando così anche ai presbiteri e ai vescovi la natura ministeriale del loro sacerdozio e animando con essi, mediante la Parola, i sacramenti e la testimonianza della carità, quella diaconia che è vocazione di ogni discepolo di Gesù e parte essenziale del culto spirituale della chiesa» (CEI, I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia, Orientamenti e norme, n. 7, 1993). Il diacono, infatti, è chiamato a ricordare a tutti, clero e fedeli laici, la vocazione essenziale del servizio, nella misura di Cristo Servo, il "Diacono del Padre".

Custodi del servizio nella Chiesa
È a questa dimensione del servizio che papa Francesco fa riferimento quando definisce i diaconi "custodi del servizio nella Chiesa": «Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all'Altare, il servizio ai Poveri. E la vostra missione, la missione del diacono, e il suo contributo consistono in questo: nel ricordare a tutti noi che la fede, nelle sue diverse espressioni - la liturgia comunitaria, la preghiera personale, le diverse forme di carità - e nei suoi vari stati di vita - laicale, clericale, familiare - possiede un'essenziale dimensione del servizio. Il servizio a Dio e ai fratelli. Voi siete sacramento del servizio a Dio e ai fratelli» (Milano, 25/03/2017).La realtà del segno sacramentale è pertanto un tramite speciale di grazia, di modo che la presenza del ministro (prete - diacono) in seno alla comunità produce effetti particolari, come rendere la comunità "matura" facendola crescere non solo singolarmente nei suoi membri, ma come corpo: la fa crescere nel suo insieme quale Chiesa, Corpo di Cristo. Il presbitero, segno dell'unità, della carità che porta all'unità, che riconduce tutto all'uno; il diacono, segno della distinzione, cioè della carità concreta, fatto di singoli atti, amore incarnato nel tessuto sociale, umano, amore che va incontro ai bisogni concreti delle persone, della gente; amore però che deve avere le caratteristiche dell'agape divina, altrimenti non vale nulla, è "cembalo risonante" (cf 1Cor, 13,1s); carità che per sua natura porta all'unità. Se non fosse così, questo amore concreto non edificherebbe il Corpo di Cristo, componendo le membra in unità. Ma dato che il diacono è segno sacramentale di Cristo, ha in sé la grazia per attuarlo.
Rapporto quindi di complementarità tra prete e diacono: in questo senso vedo la presidenza, espressa dal sacerdote, quale segno dell'uno e la diaconia espressa dal diacono, quale segno della tenerezza di Dio.

I diaconi come Gesù Cristo
Non bisogna dimenticare che sia il sacerdozio che la diaconia sono vocazioni della Chiesa, di tutto il popolo cristiano: i ministri servono la comunità dei battezzati sostenendo con un "carattere" specifico queste caratteristiche sacerdotali e diaconali della Chiesa. In questa ottica trinitaria ho riletto il passo di Ignazio di Antiochia (Lettera ai Trallesi 2,3) sui tre ordini: «Tutti onorino i diaconi come Gesù Cristo, così anche il vescovo che è tipo del Padre; i presbiteri come sinedrio di Dio e collegio degli apostoli: senza di questi non si dà chiesa». È da notare come san'Ignazio accosti i diaconi a Gesù Cristo e non i presbiteri!
Il rapporto tra i tre ordini, infatti, è trinitario: il vescovo a mo' del Padre, il diacono a mo' del Figlio, i presbiteri (anzi, il collegio dei presbiteri) a mo' dello Spirito Santo. I presbiteri sono visti nel loro aspetto collettivo (il presbiterio), nella comunione tra loro: legano e accordano il rapporto tra il vescovo e il diacono, quasi corona, espressione dell'amore che accoglie.
In questa realtà, resa quasi plastica dalla rappresentazione rituale, liturgica, il diacono sta alla destra del vescovo (il Figlio alla destra del Padre) e lo serve: in questo rapporto fanno corona i presbiteri che contengono i due, quale espressione del loro amore, essendo loro stessi amore. Questo aspetto del diacono quale figura di Cristo-Figlio, trova conferma nella definizione stessa del diacono, di segno sacramentale di Cristo Servo, di Colui «che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita» (Mt 20,28).
È su questo aspetto, in realtà, che conviene soffermarci: è segno sacramentale di Colui che «dà la vita», un amore concreto, fin nei minimi particolari, fino alla fine. Non per nulla il diacono è «ministro del Sangue»! Non certo per una semplice ritualità, ma per il suo significato intrinseco che nei segni eucaristici prende forma. Il pane e il vino significano il Corpo e il Sangue di Cristo. Non indicano tanto due aspetti anatomici di Gesù, quanto piuttosto il mistero di Gesù che ci ha amati fino a dare la vita, realizzando in sé l'unità dell'umanità, l'unità tra noi e con Dio, l'unità del suo Corpo: il pane e il vino, segni dell'unità (il pane) e dell'amore concreto fino al sangue versato (il vino). Nella celebrazione eucaristica, al termine della preghiera sacerdotale, si offre al Padre Cristo stesso nei segni del pane e del vino, cioè del Corpo e del Sangue, per le mani del vescovo (pane) e del diacono (calice).
Tuttavia, il ministero ordinato, pur rapportandosi in modo trinitario (Padre, Figlio, Spirito), nella sua unità è segno di Cristo e sua presenza speciale nella Chiesa. In effetti, nel "vivere" questa relazione faccio esperienza del Padre, del Figlio e dello Spirito, ma sempre «attraverso il Figlio», dell'unico Cristo presente nel vescovo, nel presbitero, nel diacono, quasi una conferma delle parole di Gesù a Filippo: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9), sapendo che non si può andare al Padre se non per mezzo di Lui (cf Gv 14,6), «che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3).


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