XVIII Domenica del Tempo ordinario (C)


Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 8/2019)



ANNO C – 4 agosto 2019
XVIII Domenica del Tempo ordinario

Qoèlet 1,2;2,21-23 • Salmo 89 • Colossesi 3,1-5.9-11 • Luca 12,13-21
(Visualizza i brani delle Letture)

SE IL CUORE NON RIPOSA NEMMENO DI NOTTE

La liturgia della Parola di questa domenica è un inno alla libertà. Ma non una libertà come la pensiamo noi, che la intendiamo spesso come assenza di limiti. Schiavi di una certa ideologia, portiamo dentro di noi una visione infantile della libertà, una visione illusoria. E, in un certo senso, allucinata. Noi, infatti, siamo anche i nostri limiti, ed essi costituiscono i confini necessari per esercitare la nostra libertà. Questa parola di Dio è un inno alla libertà perché denuncia la schiavitù interiore che ci soffoca e apre la via a un'uscita dall'oppressione di cui siamo schiavi, soprattutto noi, figli di un mondo ricco.
Noi che abbiamo quasi tutto, a cui non manca il cibo, la casa, le cure mediche; a cui non manca il superfluo e che possiamo fruire di opportunità che sono inaccessibili alla gran parte della popolazione mondiale; noi siamo di frequente vittime di quell'ansia a causa della quale «il cuore non riposa neppure di notte» (Qo 2,23). È vero: non siamo spesso anche noi tra coloro i cui «giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose»? Ma com'è possibile? Eppure, non ci manca nulla!
Probabilmente noi non siamo diversi dall'uomo ricco del Vangelo, la cui campagna aveva dato un raccolto abbondante. Il suo ragionamento auto-referenziale, solitario ed egocentrico, purtroppo talvolta ci appartiene. Anche noi possiamo diventare schiavi del calcolo, appiattirci su una programmazione nella quale tentiamo di assicurare a noi stessi prosperità e futuro. A noi stessi o al massimo alla nostra famiglia, alla cerchia ristretta… dimenticando la cosa più ovvia e di cui facciamo continuamente esperienza: «Se anche uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).
Senza nulla togliere a una gestione intelligente dei beni, il Vangelo ci ammonisce rivelandoci che c'è una cupidigia che è mascherata di responsabilità. C'è un attaccamento al denaro che viene soltanto temporaneamente nascosto da qualche buona offerta. C'è una cecità del cuore che è soltanto calcolo egoista.

Con immensa sapienza e spietata concretezza il Vangelo indica che è proprio li, a due giorni dalla morte del "caro estinto", che si scatena la lotta più degradante, quella che fa vedere quanto sia vile il cuore dell'uomo: la lotta per l'eredità. Invece di cogliere un forte monito a divenire consapevoli della fragilità dell'esistenza, ecco che, rimuovendo la consapevolezza che anche la mia morte potrebbe essere alle porte, la cupidigia occupa tutto lo spazio del cuore. E il tempo di vivere il dolore? Lo spazio per cogliere cos'è cambiato? E la libertà di ritrovare ciò che di più profondo questa dura esperienza insegna?
Di fronte alla cupidigia che inganna, acceca, disumanizza, c'è una grazia a cui poco pensiamo, ma che in un tempo lontano si era invitati a riconoscere (forse, allora, con eccessiva insistenza): quella di ricordarsi della propria morte. Per vivere una libertà dalle cose, per relativizzare quello che alla fine conta di meno, o - se vogliamo - per rimanere semplicemente uomini invece di diventare belve per pochi spiccioli (o per molti, non importa).


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