IV Domenica di Pasqua (C)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 5/2019)



ANNO C – 12 maggio 2019
IV Domenica di Pasqua

Atti 13,14.43-52 • Salmo 99 • Apocalisse 7,9.14b-17 • Giovanni 10,27-30
(Visualizza i brani delle Letture)

LE MANI DI GESÙ E DEL PADRE

Questa pagina del Vangelo parla di pecore e di mani. Dice infatti: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. lo do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno». Poi aggiunge: «Nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre». Essere nelle mani di qualcuno è un'espressione che usiamo per dire che siamo affidati a una situazione o meglio ancora a una persona. Questa è l'immagine che Gesù usa nel Vangelo per dire che noi siamo nelle mani e nelle mani del Padre. Effettivamente, è molto più comprensibile dell'immagine delle pecore, che noi oggi facciamo fatica ad accogliere nella sua profondità, perché non appartiene alla nostra cultura. Quello di cui siamo consapevoli è che il Signore è un pastore buono, che ci guida e orienta la nostra vita.
La mano di Gesù risorto è la mano di Dio, perché lui e il Padre sono uno. È una mano che ci tocca per guarirci, che ci rialza se cadiamo, che ci attira a sé quando, come Pietro affondiamo. È una mano che ci offre il pane di vita, che si presenta a noi con i segni dell'aver sofferto per darci la vita, che ci benedice e resta sempre tesa verso di noi per accarezzarci e consolarci. Ecco, è quella mano del Signore che più volte è stata dipinta tesa verso l'uomo. Ognuno di noi per camminare ha bisogno di mettere la propria mano in quella di un altro, soprattutto quando deve imparare. Solo così non ci sentiamo soli. E ci sentiamo non esenti da cadute o sventure, ma sempre sostenuti dal Signore.
Se anche volessimo rompere questa relazione, non potrà mai accadere di essere strappati dalla mano di Gesù Cristo. L'Apostolo Paolo, significativamente, ha gridato: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?». No, niente e nessuno, «ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati». Per sentire la forza di queste mani, noi siamo chiamati ad ascoltare, a lasciarci conoscere dal Signore e a seguirlo.

Ascoltare è l'esperienza decisiva della vita. Per ascoltare è necessario impegno e fatica. Ma solo scegliendo che cosa decidiamo di ascoltare noi costruiamo la nostra esistenza. Ascoltiamo la voce del nostro egoismo oppure del fratello? Ascoltiamo la parola del Signore oppure le nostre ansie e paure? Ascoltiamo le parole di comunione che costruiscono o le parole cattive che dividono? Ciò fa davvero la differenza.
In questo senso ascoltare il Signore vuol dire lasciarsi conoscere da lui. Il Vangelo ci ricorda che il Signore ci conosce. Sì, tante volte noi ci avventuriamo per voler conoscere il Signore, quando il primo movimento è lasciarsi conoscere da lui, sentirsi da lui guardati con amore. La conoscenza del Signore non è il conoscere morboso e fastidioso con cui qualcuno ci vuole possedere, ma è l'esperienza di avere su di sé lo sguardo benevolo e misericordioso di chi ci incoraggia e ci spinge. E di chi ci ricorda: «Io sono con te, ti seguo, anzi ti precedo per farti percorrere la strada della vita».
Da qui nasce l'esperienza del seguire. Quando noi conosciamo una voce amica la seguiamo, e facciamo di essa il nostro punto di riferimento, soprattutto se abbiamo bisogno di orientamento.


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