II Domenica di Pasqua (C)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 4/2019)



ANNO C – 28 aprile 2019
II Domenica di Pasqua

Atti 5,12-16 • Salmo 117 • Apocalisse 1,9-11a.12-13.17-19 • Giovanni 20,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)

LE FERITE POSSONO DIVENTARE FERITOIE

Spesso nella vita conosciamo delusioni e ferite profonde, che faticano a guarire e che ci portano a perdere fiducia e speranza. Sono le ferite di cui ci parla il Vangelo di questa domenica. È ferita innanzitutto la comunità dei discepoli: ferita dal rinnegamento di Pietro, dal tradimento e dal suicidio di Giuda; si tratta di una comunità ferita dalla fuga generale nel momento in cui Gesù è stato catturato. Giovanni ci mostra undici uomini chiusi in se stessi, bloccati dalla paura e dal dubbio, nell'attesa che si calmino le acque in città dopo la morte del loro Maestro.
È ferita la comunità, ma è ferito anche Tommaso. Il suo cuore è ferito da una grande delusione. Tommaso, come Pietro e gli altri discepoli, non si aspettava un Gesù sulla croce. Nella sua fatica a credere possiamo rileggere il grido deluso di chi avrebbe voluto un Gesù diverso. Tommaso aveva sogni e progetti che con la morte di Gesù sono andati in frantumi.
Infine è ferito anche Gesù: lui ha mani e piedi forati, fianco trafitto. Sono i segni di un uomo che è stato tradito, rinnegato, percosso e messo a morte, sono i segni di un corpo che ha amato senza badare a spese. Le ferite che caratterizzano questi uomini sono ferite diverse, ma soprattutto sono vissute in modo molto diverso. I discepoli e Tommaso si chiudono e si bloccano. Le ferite inferte e ricevute spingono i discepoli a chiudere le porte del luogo dove si trovavano a causa della paura. Si chiude e si isola anche Tommaso, tanto che Giovanni amaramente scrive: «Tommaso non era con loro quando venne Gesù».
Molto diverso è il modo di vivere le ferite ricevute da parte di Gesù: «Gesù venne, stette in mezzo a loro e disse: "Pace a voi" e mostrò loro le mani e il fianco». Gesù non si chiude e non si isola, ma viene in mezzo ai suoi amici; non nasconde le ferite, anzi le mostra; non si chiude nel rancore e nella pretesa, ma dona la pace e invita i discepoli a fare altrettanto.
Spesso com'è accaduto ai discepoli, così accade anche a noi: le ferite della vita portano a chiuderci e a isolarci. Nel corso degli anni, rischiamo di smettere di credere nella forza del bene, chiudendo ci nel rancore e nella rassegnazione.

Il Vangelo ci mostra, invece, una strada completamente diversa. Quando, come Gesù, abbiamo il coraggio di mostrare agli altri le nostre ferite, queste diventano delle feritoie, cioè delle occasioni per risorgere. Questo è anche il cammino di Tommaso: quando egli riesce a uscire dall'isolamento e a condividere con gli altri ciò che lo ferisce, proprio quello è il momento in cui riesce a incontrare veramente il Risorto e a risorgere lui stesso, esprimendo una delle più belle professioni di fede del quarto Vangelo: «Mio Signore e mio Dio». Mio Signore! Non il Dio dei libri, il Dio degli altri, ma il mio Signore, il Dio che è parte di me, il Signore della mia vita, il Signore che mi ha liberato dalla paura e che mi ama di amore eterno e fedele!
Il nome "Tommaso" in aramaico significa "gemello". Il Vangelo ci invita a identificarci con Tommaso, il nostro "gemello". C'è molto di Tommaso in ciascuno di noi: possiamo sentirlo nostro gemello nella sua incredulità e nel suo dubbio, ma anche nel suo risorgere perché il Dio in cui crediamo è il Dio che ci offre sempre la possibilità di un nuovo inizio.


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