Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.
ANNO C - XXXII Domenica del Tempo Ordinario
DOMENICA «DEI SADDUCEI E LA RESURREZIONE»
2 Maccabei 7,1-2.9-14 • Salmo 16 • 2 Tessalonicesi 2,6-3,5 • Luca 20,27-38
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1. Cristo volle salvare tutto ciò che andava in rovina (Dall'«Omelia» di un autore del II sec. - Capp. 1,1-2,7; Funk, 1,145-149)
2. La risurrezione dei morti (Agostino, Discorso 361, PL 39, 1599-1611)
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1. Cristo volle salvare tutto ciò che andava in rovina
Fratelli, ravviviamo la nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio, giudice dei vivi e dei morti, e rendiamoci consapevoli dell'estrema importanza della nostra salvezza. Se noi svalutiamo queste grandi realtà facciamo male e scandalizziamo quelli che ci sentono e mostriamo di non conoscere la nostra vocazione né chi ci abbia chiamati né per qual fine lo abbia fatto e neppure quante sofferenze Gesù Cristo abbia sostenuto per noi. E quale contraccambio potremo noi dargli o quale frutto degno di quello che egli stesso diede a noi? E di quanti benefici non gli siamo noi debitori? Egli ci ha donato l'esistenza, ci ha chiamati figli proprio come un padre, ci ha salvati mentre andavamo in rovina. Quale lode dunque, quale contraccambio potremo dargli per ricompensarlo di quanto abbiamo ricevuto? Noi eravamo fuorviati di mente, adoravamo pietre e legno, oro, argento e rame lavorato dall'uomo. Tutta la nostra vita non era che morte! Ma mentre eravamo avvolti dalle tenebre, pur conservando in pieno il senso della vista, abbiamo riacquistato l'uso degli occhi, deponendo, per sua grazia, quel fitto velo che li ricopriva. In realtà, scorgendo in noi non altro che errori e rovine e l'assenza di qualunque speranza di salvezza, se non di quella che veniva da lui, ebbe pietà di noi e, nella sua grande misericordia, ci donò la salvezza. Ci chiamò all'esistenza mentre non esistevamo, e volle che dal nulla cominciassimo ad essere.
Esulta, o sterile, tu che non hai partorito; prorompi in grida di giubilo, tu che non partorisci, perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata dei figli di quella che ha marito (cfr. Is 54, 1). Dicendo: Esulta, o sterile, tu che non hai partorito, sottolinea la gioia della Chiesa che prima era priva di figli e poi ha dato noi alla luce. Con le parole: Prorompi in grida di giubilo..., esorta noi ad elevare a Dio, sempre festosamente, le voci della nostra preghiera. Con l'espressione: Perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata dei figli di quella che ha marito, vuol dire che il nostro popolo sembrava abbandonato e privo di Dio e che ora, però, mediante la fede, siamo divenuti più numerosi di coloro che erano guardati come adoratori di Dio. Un altro passo della Scrittura dice: «non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9, 13). Dice così per farci capire che vuol salvare quelli che vanno in rovina. Importante e difficile è sostenere non ciò che sta bene in piedi, ma ciò che minaccia di cadere. Così anche Cristo volle salvare ciò che stava per cadere e salvò molti, quando venne a chiamare noi che già stavamo per perderci.
(Dall'«Omelia» di un autore del II sec. - Capp. 1,1-2,7; Funk, 1,145-149)
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2. La risurrezione dei morti
Una frase di Paolo dà l'avvio al discorso
1. 1. Quando, poco fa, veniva letto il passo della lettera dell'Apostolo abbiamo avvertito e apprezzato la reazione della vostra fede e della vostra carità: vi ha fatto inorridire quello che dicono coloro che ritengono che l'unica nostra vita sia quella che condividiamo con gli animali, mentre tutto quello che è proprio dell'uomo avrebbe fine e non vi sarebbe speranza di un'altra vita migliore. Dicono: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32; Cf. Is 22,13), cercando di sedurre le orecchie di ascoltatori corrotti. Di qui voglio prendere spunto per il mio discorso e su questo imperniarne lo svolgimento, collegandovi anche tutto quello che il Signore vorrà suggerirmi.
Due le questioni poste circa la risurrezione dei morti
2. 2. Nostra speranza e nostra fede è la risurrezione dei morti. Essa è anche il nostro amore: lo accende l'annuncio delle cose che ancora non vediamo, e l'infiamma di un desiderio così intenso che, mentre noi crediamo quello che ancora non vediamo, i nostri cuori diventano capaci di quella beatitudine che ci è stata promessa nel futuro. Non dobbiamo quindi lasciarci prendere dall'amore delle cose temporali e visibili, quasi sperassimo di godere, quando risorgeremo, di piaceri e diletti sensibili simili a quelli che invece ora giova disprezzare proprio per vivere meglio e essere migliori. Se togliamo la fede nella risurrezione dei morti, crolla tutta la dottrina cristiana. Ma una volta posta salda la fede nella risurrezione dei morti, si deve distinguere nettamente la vita futura da questa nostra che passa, se si vuole avere una sicurezza interiore. Dunque il problema si pone così: se non v'è risurrezione dei morti, non v'è per noi speranza di vita futura, ma se vi sarà risurrezione dei morti, vi sarà veramente la vita futura. Quale sarà la vita futura, è il secondo punto da trattare. Due quindi i problemi: il primo, se vi sarà risurrezione dei morti, il secondo quale sarà la vita dei santi nella risurrezione.
La fede nella risurrezione dei morti è parte della fede cristiana
3. 3. Chi dunque nega la risurrezione dei morti non è cristiano; chi poi crede che i risorti da morte vivranno la vita del corpo in forma carnale, è cristiano carnale. Quindi controbattere l'opinione di chi nega la risurrezione è un discorso da fare con chi è fuori dalla nostra fede, e non credo che ve ne sia alcuno qui presente. Perciò ritengo sarebbe superfluo che io indugiassi a dimostrare che i morti risorgono: il peso dell'autorità deve condurre il cristiano, che ha aderito con fede al Cristo e non teme che l'Apostolo dica menzogne. Basterà che ascolti: Se i morti non risorgono, è vana la nostra predicazione e vana la vostra fede (1Cor 14,14). E ancora: Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto (1Cor 14,13). Ma se è risorto il Cristo che è la salvezza dei cristiani, non è impossibile che i morti risorgano perché colui che ha risuscitato il proprio Figlio, e Colui che ha risuscitato il suo corpo, ha dato in lui che è il capo, l'esempio al resto del corpo che è la Chiesa.
Quindi potrebbe essere superfluo fermarsi su questa dimostrazione e si potrebbe passare all'altro aspetto di cui i cristiani discutono tra loro: quali saremo una volta risorti, come vivremo, di che cosa ci occuperemo, se avremo delle occupazioni; e se, non avendone, vivremo nell'ozio senza far nulla, o che cosa invece faremo; se mangeremo e berremo; se ci saranno unioni di maschi e femmine o ci sarà una vita comune semplice e incorrotta, e in questo caso, di che genere sarà in se stessa tale vita, con quali movimenti, con quale aspetto dei corpi. Di questo discutono i cristiani, ferma restando la fede nella risurrezione.
La preoccupazione dei cristiani carnali sollecita alla trattazione
4. 4. Potrei dunque passare a questa parte della trattazione, per quanto sia possibile a uomini, quali noi e voi siamo, comprendere e trattare tale argomento; ma sono costretto a indugiare prima anche sul fatto stesso della risurrezione perché mi preoccupano quei nostri fratelli che sono troppo carnali e quasi pagani. Non sono qui presenti, io credo, dei pagani, e tutti voi siete cristiani, ma i pagani che irridono la risurrezione, non cessano di ripetere ogni giorno alle orecchie dei cristiani: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32). A queste parole l'Apostolo soggiunge, esprimendo la sua preoccupazione: Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi (1Cor 15,33): perciò preoccupato anch'io di questo e sollecito verso chi è debole, parlerò pure su questo punto con un amore che non è solo paterno, ma anche in certo modo materno, dicendo quanto basta a dei cristiani, dato che tutti voi che siete qui presenti oggi, siete stati spinti a venire proprio da una grande devozione alle Scritture. Infatti oggi non è una di quelle solennità che fanno accorrere alla Chiesa anche le folle da teatro, mosse dalla festa che viene celebrata, non da pietà. Considerando appunto questo, tratterò prima della risurrezione dei morti, poi, per quanto Dio me lo permetterà, della vita futura dei giusti.
Contro chi intende condurre la vita come se tutto finisse con la morte
5. 5. L'Apostolo dice: Temo che come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro purezza nei confronti di Cristo(2Cor 11,3). Tale traviamento viene prodotto dalle parole che ho citato: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32). Chi ama e ricerca queste cose, e pensa che questa nostra sia la sola vita, chi non ha alcuna speranza al di là di essa, e non prega Dio o lo prega solo per queste cose terrene, chi avverte come gravosa ogni esortazione all'impegno, lo invito a prestare ascolto a questo che io dico con grande amarezza. Costoro vogliono mangiare e bere perché domani moriranno. Ma vorrei considerassero davvero che domani moriranno: non so chi potrebbe essere così insensato e perverso, così nemico della sua stessa anima da non pensare che domani con la sua morte saranno finite tutte le cose di cui si dà pensiero. È scritto: In quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni (Sal 145,4). Gli uomini, quando si avvicinano alla morte, si danno pensiero di fare testamento per quelli che lasciano qui; ma dovrebbero a maggior ragione darsi pensiero della loro anima. L'uomo pensa solo a coloro che abbandona, e non a se stesso che lascia tutte le cose terrene. Ma ecco i tuoi figli avranno i beni che tu lasci, tu invece resterai senza nulla, e ti logori dandoti pensiero solo del cammino terreno che essi devono continuare dopo di te, non della meta a cui devono giungere. Almeno dunque si pensasse davvero alla morte!
Vi si pensa invece quando si vede qualcuno condotto alla sepoltura, e si fanno esclamazioni di questo genere: Poveretto, era così valido, ieri andava in giro; ovvero: Lo vidi una settimana fa e mi disse così e così: l'uomo è proprio un nulla. Ma queste sono parole che si dicono mentre il morto viene compianto, quando si prepara e si segue il suo funerale e lo si seppellisce; una volta sepolto il morto, sono sepolti anche tali pensieri. Ritornano le preoccupazioni che ci sono funeste, e l'erede dimentica colui che ha appena accompagnato alla sepoltura per darsi pensiero della successione, lui che a sua volta morirà. Ecco si ritorna agli inganni, alle ruberie, agli spergiuri, ci si dà ancora al vino e a tutti quei piaceri del corpo che non dico destinati a finire una volta goduti, ma che periscono proprio mentre si godono; e - cosa ancor più rovinosa - dall'aver sepolto un morto si ricava una ragione per seppellire il proprio cuore e si dice: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo.
Contro chi obietta che nessuno è tornato dopo morte a informarci
6. 6. Costoro irridono anche la fede di chi asserisce la risurrezione dei morti facendo dentro di sé discorsi di questo genere: Ecco, ora che costui è sepolto, voglio provare se fa sentire la sua voce; o se non si può sentire la sua, tenterò di sentire quella di mio padre, di mio nonno, di mio bisnonno. Ma proprio nessuno mai è risuscitato dalla tomba, nessuno ci ha mai raccontato che cosa si fa nell'aldilà: godiamocela finché siamo in vita; e quando saremo morti, se i nostri, genitori o parenti o amici, porteranno omaggi alla nostra tomba, questo potrà far piacere a loro, non riguarderà noi morti! Queste usanze ha deriso anche la Scrittura dove, riferendosi ad alcuni che non si accorgono dei beni che sono a loro disposizione, dice: come se offrissi cibarie a uno sepolto (Sir 30,18); è chiaro che ciò non si addice a chi è morto. Si tratta di una consuetudine propria dei pagani, che non appartiene alla tradizione conforme a verità, dei Patriarchi nostri padri; di essi si legge che celebrarono solennemente le esequie, ma non che portarono offerte sacrificali sulle tombe. Lo si può vedere anche nei costumi dei giudei che se non conservarono il frutto della virtù dei padri, ne mantennero però l'antica consuetudine in molte solennità. Quanto alla frase della Scrittura che alcuni contrappongono: Spezza il tuo pane e versa il tuo vino sulla tomba dei giusti, non darne invece ai peccatori (Tb 4,18), non è il caso di discutere perché i fedeli stessi sono in grado di intendere il senso che si deve dare alla frase, e sanno anche che si tratta di un'espressione di pietà in memoria dei defunti: l'escluderne i peccatori, cioè gli infedeli, è spiegato perché il giusto vivrà mediante la fede (Rm 1,17). Non si trasformino parole della Scrittura che risanano, in un mezzo per farsi del male, tentando di farne addirittura un laccio di morte per la propria anima. Il significato della frase è chiaro come chiaro è il significato del rito salutare dei cristiani.
Si deve ridestare in noi la fede
7. 7. Ma torniamo a considerare quello che certuni mormorano alle orecchie dei deboli: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32), e aggiungono che nessuno mai uscì dalla tomba, nessuno - né l'avo né il trisavolo o il padre - dopo la sepoltura fece mai ascoltare la sua voce. A costoro dovete rispondere voi cristiani, se siete cristiani, a meno che, volendo voi stessi bere fino all'ebbrezza quando siete tra la gente, vi rincresca di rispondere a coloro che tentano di corrompervi. Avete certo la risposta da dare; ma voi fluttuate tra le brame di piacere e preferite esserne inghiottiti e venir sepolti vivi. Trascinati dalla voce tentatrice, voi avvertite la brama di bere che vi invade l'animo sino a travolgervi con violenza: questo vostro indulgere a chi vi tenta, vi trattiene dal rispondere a chi vuol corrompervi, mentre le onde della passione si levano minacciose e vogliono travolgere il vostro cuore, nave abbandonata alla tempesta. O cristiano, sulla tua nave dorme Cristo, ridestalo, e lui comanderà alle tempeste di placarsi (Cf. Mt 8,24-26). Il fluttuare dei discepoli sulla nave quando Cristo dormiva, preannuncia il fluttuare dei cristiani quando in loro dorme la fede nel Cristo. Scrive infatti l'Apostolo: Il Cristo abita per la fede nei vostri cuori (Ef 3,17), poiché mentre come presenza, bellezza e divinità egli è sempre con il Padre, è alla destra del Padre nei cieli come presenza corporale, come presenza di fede egli è in tutti i cristiani. Tu dunque fluttui pericolosamente perché il Cristo dorme, cioè non riesci a vincere la brama che ha destato in te la voce tentatrice perché dorme in te la fede. Essa si è come assopita, ti sei dimenticato di essa. Ridestare il Cristo significa ridestare la fede, riportare alla tua memoria quello cui hai dato la tua adesione di fede. Ricorda dunque la tua fede, ridesta il Cristo: la tua stessa fede comanderà ai flutti da cui sei sbattuto e ai venti che soffiano su di te coloro che ti vogliono indurre al male: costoro subito si allontaneranno e subito tornerà la calma; e se ancora i persuasori di male continueranno a parlare, ormai non potranno né far inclinare la nave né sollevare i flutti né sommergere il veicolo che ti trasporta.
Prove a sostegno della nostra fede
7. 8. Pensa dunque che cosa fare per ridestare il Cristo. Considera che cosa andava dicendo il persuasore che cerca di corrompere con parole di male chi vive bene: egli aveva detto che nessuno è uscito dalla tomba, che nessuno mai udì la voce né del padre né del nonno, che nessuno mai tornò a riferire che cosa si faccia di là.
8. 8. Ma tu, ridestato il Cristo sulla tua nave, ravvivata la tua fede, gli devi rispondere con sicurezza che è davvero stolto che egli dichiari che presterebbe fede solo a suo padre se risorgesse, perché è ben risorto colui che è il Signore di tutti, eppure lui non gli vuole credere. Cristo ha voluto morire e risorgere proprio perché tutti prestassimo fede a lui solo, non lasciandoci ingannare dai molti. Digli che suo padre, se risorgesse e parlasse, dovrebbe poi ancora morire, mentre il Cristo risorto ha tale potere sulla morte che non muore più: la morte non avrà più potere su di lui (Cf. Rm 6,9). Egli si mostrò ai discepoli e ai fedeli e poiché non bastava ad alcuni vederlo tale quale lo ricordavano, se non toccavano anche quello che vedevano, fece palpare il suo corpo nella sua consistenza. E così la fede fu confermata anche agli occhi oltre che ai cuori. Dopo essersi mostrato in questo modo, egli salì al cielo e mandò lo Spirito Santo ai suoi discepoli, e quindi fu predicato il Vangelo. Il mondo intero può attestare - così continuerai il tuo discorso - la verità di questo che diciamo: molte promesse si avverarono, molte attese ebbero compimento, e tutto il mondo vive ormai nella fede cristiana. Neppure coloro che ancora non credono nel Cristo, osano negare la sua risurrezione: la testimonianza di essa fu data in cielo e sulla terra, fu data dagli angeli e dagli inferi. E poiché tutto la proclama, gli chiederai come ancora si ostini a dire: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32).
8. 9. Ma ecco, uno è pieno di tristezza perché è stata sepolta una persona a lui cara: all'improvviso non poté più udire la sua voce. Viveva, ed eccolo morto; mangiava e più non mangia, non ha più vita, non prende più parte alle gioie e alla letizia dei vivi.
Si fa l'esempio del seme
9. 9. Ma a costui io domando se mai, quando ara, piange il seme. Quando uno semina un campo gettando il seme nella terra e rompendo le zolle per seppellirlo, non può essere così ignaro di quello che seguirà entro breve tempo, da piangere su quel frumento, ritornando con il pensiero all'estate quando il frumento, che ora è stato sepolto, era stato mietuto con tanta fatica e poi trasportato trebbiato battuto e quindi riposto nel granaio: lo si vedeva con gioia allora nel suo rigoglio, ed eccolo ora sparito dai nostri occhi: si vede la terra arata e non si vede più il frumento né in essa né nel granaio. Uno che, afflitto per questo, piangesse il frumento come morto e sepolto e, fissando le zolle e non vedendo più la messe nel campo, effondesse lacrime, non potrebbe che essere irriso anche da qualsiasi persona ignorante, perché nessuno, per quanto ignori altre cose, può ignorare la vicenda di cui egli si mostra così grossolanamente ignaro da piangere per essa. E se davvero costui piange essendo allo scuro della cosa, colui che la conosce certo lo esorterebbe a non essere triste, dicendogli che, se il frumento che abbiamo sepolto non è più nel granaio e non è più nelle nostre mani, quando però egli tornerà in questo campo, godrà di vedere la messe qui dove ora la nudità dell'aratura lo fa piangere. Colui che sa che cosa nascerà dal frumento gettato come seme, prova gioia anche nell'aratura; colui invece che diffida o piuttosto non ragiona, o, meglio, è ignaro, può forse in un primo momento essere afflitto, ma se ne va consolato se presta fede a chi sa, e attende anch'egli la messe futura.
Tutte le creature danno testimonianza della risurrezione
10. 10. Mentre però il raccolto della messe siamo soliti vederlo ogni anno, del genere umano si raccoglierà invece una sola messe alla fine dei tempi. Nulla ora ne possono scorgere i nostri occhi: solo nel chicco-principe è stata data la prova di quello che sarà. Il Signore stesso dice: Se il chicco di grano rimarrà così com'è e non morirà, resterà solo (Gv 12,24). Allude alla sua morte perché verrà la risurrezione di molti, di quelli che crederanno in lui. Fu data la prova di un unico chicco, ma è una prova alla quale non possono non credere tutti quelli che vogliono essere grano. Eppure si deve riconoscere che tutte le creature ci parlano della risurrezione, se non siamo sordi, e da molte manifestazioni analoghe cui assistiamo ogni giorno, possiamo anche congetturare che cosa il Signore riservi al genere umano alla fine dei tempi. Mentre la risurrezione dei cristiani avverrà una volta sola, ogni giorno si addormentano e si risvegliano gli esseri animati: il sonno è simile alla morte, il risveglio alla risurrezione. Il fenomeno al quale assistiamo ogni giorno deve farci prestare fede all'evento che si compirà una volta sola. La luna percorre ogni mese le sua fasi – nasce, cresce, diventa piena, cala, scompare, e ancora poi si fa nuova: questo che vediamo compiersi nella luna ogni mese, avviene una sola volta nella risurrezione nell'intero corso del tempo. In modo analogo si compie ogni mese nella luna quello che si compie ogni giorno in chi dorme. Similmente possiamo chiederci come le fronde degli alberi se ne vadano e ritornino, sparendo non si sa dove, venendo da non si sa dove: vediamo gli alberi apparire secchi nell'inverno, tornare verdi in primavera.
E non si tratta di un fenomeno nuovo di quest'anno perché si verificò anche lo scorso anno: si arrestò la vegetazione nell'inverno dopo l'autunno, ma riprese attraverso la primavera nell'estate. L'anno dunque si rinnova nel corso del tempo: dovranno invece sparire, quando siano morti, gli uomini che sono fatti a immagine di Dio?
Altri esempi a prova della risurrezione
11. 11. Qualcuno che non osservi abbastanza attentamente le trasformazioni delle cose e il loro rinascere, potrebbe obiettarmi che le foglie morte imputridiscono, e nascono foglie nuove. Ma se osserva bene, vede che anche quelle che imputridiscono si trasformano in forze della terra, perché dalla putredine di cose terrene viene ingrassata la terra. Lo osservano coloro che coltivano un campo; ma chi non coltiva campi e vive sempre in città, potrà constatare, dagli orti dei dintorni, quanta cura si ponga a raccogliere i rifiuti della città, da chi vengano acquistati a caro prezzo e dove siano trasportati. Chi non se ne intende può ritenerli cosa ormai spregevole e inutile. Non v'è chi non distolga lo sguardo dallo sterco: eppure si ha cura di raccogliere quello che si ha schifo di guardare. Quello che pareva ormai cosa consumata e spregevole si trasforma in ingrasso della terra, l'ingrasso diventa succo, il succo radice, e quello che dalla terra passa nella radice, per invisibili vie si diffonde nel tronco e nei rami e giunge ai germogli, ai frutti, alle foglie: e si ammira nel verde fiorente dell'albero quello che faceva schifo nel putrido sterco.
Il destino dei cadaveri
12. 12. Non voglio che mi si faccia ora l'obiezione che alcuni hanno l'abitudine di fare, che il corpo del morto non si conserva intatto: costoro pretenderebbero, per credere alla risurrezione, che il cadavere restasse integro. Dunque soltanto gli Egiziani crederebbero con fondamento alla risurrezione, perché dedicano cure diligenti ai corpi dei defunti essiccandoli e indurendoli come bronzo: li chiamano "gabbare" [mummie]. Ma io domando come possano costoro ritenersi in grado di dichiarare fondata solo la fede degli egiziani nella risurrezione, incerta e debole invece la speranza dei cristiani. Essi non conoscono le segrete profondità della natura, là dove sono salve per il loro Creatore tutte le creature che sono state sottratte ai nostri sensi mortali. Più volte, quando o il passare stesso del tempo o qualche necessità non sacrilega porta ad aprire o scoperchiare qualche sepolcro, si trovano cadaveri putrefatti alla cui vista gemono coloro che sono soliti cercare godimento nella bellezza corporea e non possono non esclamare: Come potrà essere restituita alla vita, alla luce codesta cenere, come potrà acquistare la bellezza attesa? Quando ciò potrà accadere? Quando sperare qualcosa di vivo da tale cenere? Essi così esclamano vedendo nel sepolcro i morti ridotti a sola cenere, ma ripercorrano i trenta o cinquanta anni o più, che hanno vissuti, e si chiedano che cosa erano prima, dove erano. Nel sepolcro c'è almeno la cenere del morto. Il corpo di tutti noi che qui ora parliamo e ascoltiamo, tra pochi anni sarà cenere, ma pochi anni fa non era neppure cenere. Dunque colui che fu in grado di far esistere quello che non esisteva, non avrà forse il potere di rinnovare quello che esisteva?
Lo stesso Signore ci attesta la risurrezione
13. 13. Cessino dunque dalle loro mormorazioni le cattive lingue che tentano di corrompere malvagiamente chi procede bene. E voi procedete con passo fermo, con piedi saldi sulla via, per non uscirne o non arrestarvi, ma come è scritto: Correte in modo da ottenere (1Cor 9,24). Sia sempre vivo nel nostro cuore Cristo che ha voluto mostrare in sé, lui che è nostro capo, quello che noi, che siamo le sue membra, dobbiamo sperare. Noi sulla terra siamo affaticati, ma il nostro capo, in cielo, ormai non muore, non viene meno, non soffre. Ha però sofferto per noi poiché è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione (Rm 4,25). Di questo ebbero esperienza con gli occhi coloro ai quali egli si mostrò, noi invece lo conosciamo per fede; tuttavia non possiamo essere accusati di falsità se non lo abbiamo visto con i nostri occhi dopo la sua risurrezione. Sta a nostro favore quello che il Signore stesso dichiarò al discepolo che dubitava e cercava di credere palpandolo: quando egli, convinto per aver toccato le sue cicatrici, esclamò: Mio Signore e mio Dio, il Signore gli disse: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che credono senza aver visto (Gv 20,24-29). Mirate dunque con zelo alla vostra beatitudine e non lasciate che qualche cattivo persuasore scacci via dal vostro cuore quello che Cristo vi ha ben impresso.
13. 14. Non mi si ripeta dunque più quella obiezione. Essa viene fatta da tutti coloro che anche contro voglia si sono già adattati a riconoscere l'autorità di Cristo. Ormai si può dire che non vi siano quasi più pagani che osino contrapporsi con critiche a Cristo, anche se ancora rifiutano o rimandano la piena adesione di fede. Ma le critiche che non osano fare al Cristo, le fanno ai cristiani; riconoscono il capo, ma insultano ancora il suo corpo. Però il corpo che ascolta gli insulti di quanti accettano il capo, deve sapere di non essere staccato dal capo, bensì saldamente appoggiato su di esso. Infatti, se siamo staccati, dobbiamo temere le voci di insulto. E che non siamo staccati da lui, lo attesta il Signore stesso che a Paolo, quando ancora si chiamava Saulo e perseguitava la Chiesa, dice: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9,4). Eppure egli era già passato attraverso le mani degli empi Giudei, era penetrato nell'inferno, era risorto dal sepolcro, era salito al cielo, aveva fatto dono ai credenti dello Spirito Santo confermando il loro cuore, si era seduto alla destra del Padre a intercedere per noi: niente dunque aveva a temere dall'infierire di Saulo, lui che non doveva affrontare una seconda volta la morte, ma liberare noi da essa. Come Paolo poteva toccarlo, colpirlo, benché, come è scritto, fosse fremente minaccia e strage (At 9,1)? Egli poteva attaccare i cristiani che vivevano ancora il travaglio terreno; ma come e quando avrebbe potuto attaccare il Cristo? Questi tuttavia leva il grido a nome delle sue membra. Non dice: Perché perseguiti i miei? In tal caso infatti crederemmo che egli alluda a suoi servi. Il rapporto invece dei cristiani con Cristo è più stretto di quello dei servi con il padrone e ne risulta una compagine diversa: diverso è l'ordine in cui le membra sono congiunte, diversa è l'unità che viene creata dalla carità. Il capo quindi parla per le sue membra e non chiede: perché perseguiti le mie membra, ma: Perché mi perseguiti?. Saulo non perseguitava direttamente il capo, ma le membra che sono congiunte al capo.
Infondata l'opinione che solo al Cristo sia stata possibile la risurrezione
14. 14. Uso un paragone che ho più volte usato, ma è calzante a questo proposito perché fa comprendere bene la cosa: è come quando uno nella calca ti schiaccia un piede; non ti fa male alla lingua, ma la lingua esclama: Perché mi schiacci? Viene schiacciato il piede, e nessuna offesa è fatta alla lingua, ma uno solo è il corpo. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui (1Cor 12,26). Se dunque la tua lingua parla a favore del tuo piede, non deve parlare a favore dei cristiani Cristo in cielo? E parlando per il piede, la lingua non dice: schiacci il mio piede, ma dice: mi schiacci, anche se essa non era toccata. Devi riconoscere il tuo capo in colui che parla per te dal cielo dicendo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9,4). Dicendo questo, ho voluto mettervi in guardia, fratelli, perché non si insinuino tra voi quei malvagi persuasori di cui l'Apostolo dice: I cattivi discorsi corrompono i buoni costumi, perché essi dichiarano: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,33.32). Essi non osano contrapporsi al Cristo la cui autorità, riconosciuta in tutto il mondo, li fa tremare, ma, come è scritto: L'empio vede e si adira, digrigna i denti e si consuma (Sal 111,10): può adirarsi e consumarsi, ma non osa bestemmiare Cristo. Per questo essi si rivolgono a voi per dire che la risurrezione fu possibile solo a Cristo. Essi lo dicono in parte anche sinceramente, in parte per paura: ma bisogna distinguere che cosa osano dire, che cosa non osano.
Come contrapporsi all'insidia perversa di tale obiezione
15. 15. Vi diranno dunque che voi sperate la risurrezione dei morti come conseguenza della risurrezione di Cristo, ma che la risurrezione dalla morte fu possibile a Cristo. Ed ecco cominciano a lodare Cristo, non però con il fine di rendergli onore, ma per indurre voi a disperare: è rovinosa astuzia del serpente questo tentativo di allontanarvi da Cristo facendone le lodi, e porre dell'inganno proprio nel celebrarlo, perché non si osa dirne male. Ne magnificano la maestà in modo da renderla cosa unica, perché non possiate sperare qualcosa di simile a quello che si manifestò nella sua risurrezione. Essi si mostrano così quasi più riverenti verso il Cristo, rinfacciandovi di osare mettervi a pari di lui pensando di poter risorgere anche voi perché egli è già risorto. Non dovete lasciarvi turbare da questo modo perverso di lodare il vostro Imperatore; ma se possono dare turbamento le insidie del nemico, la consolazione viene certo dall'umiltà e dalla umanità di Cristo. Mentre costoro vanno proclamando quanto l'altezza di Cristo ci trascenda, Cristo dice quanto si è abbassato verso di voi. A costoro dunque dovete rispondere, ridestando la vostra fede: quando dorme il Cristo, la burrasca e i flutti tempestosi mettono in difficoltà la nave (Cf. Mt 8,24-26). Ma quando avrete ridestata la fede riportando alla memoria quello a cui crediamo, la vostra risposta sarà pronta. Non avrete difficoltà a rispondere perché non sarete voi a parlare, ma il Cristo che abita in voi si servirà della vostra lingua come suo strumento, come sua spada, si servirà del vostro cuore, della vostra voce, egli che abita in voi e ha il possesso di voi, e resisterà così all'avversario e toglierà a voi ogni inquietudine. Badate dunque solo a svegliare lui che dorme, cioè a ridestare la fede che avete dimenticata.
La mortalità assunta dal Cristo lo fa nostro mediatore
16. 16. Per aiutarvi a rispondere a tali persone, non dirò nulla di nuovo, ripeterò solo quello che voi già credete. Ridestate dunque la vostra fede, rispondete a chi vi dice che la risurrezione fu possibile solo a Cristo, ma non sarà possibile a noi, rispondete riconoscendo che egli poté risorgere in quanto appunto è Dio, e in quanto Dio egli aveva il potere di risorgere; ma proprio in quanto come Dio egli è onnipotente, noi dobbiamo sperare che egli avrà il potere di compiere anche in noi quello di cui, proprio per amor nostro, diede prova nella sua persona. E se domandiamo da dove Cristo è risorto, ci verrà risposto che risorse dai morti. E se ancora domandiamo perché egli morì, ci verrà risposto appunto che Dio non può morire, e non è possibile quindi che sia morto lui, il Verbo divino uguale al Padre, del quale il Padre si servì come artefice nella sua opera di onnipotente creatore, per mezzo del quale furono create tutte le cose, il Verbo che è sapienza immutabile che rimane in se stessa e tutto rinnova (Cf. Sap 7 27): Essa si estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa (Cf. Sap 8,1). Tuttavia Cristo morì, e morì evidentemente perché: non considerò rapina il suo essere uguale a Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo. E a questa frase l'Apostolo aveva premesso: Pur essendo di natura divina (Fil 2,6-7). Aveva assunto la natura divina o essa gli apparteneva? l'Apostolo distingue le due cose usando due verbi diversi, assumere a proposito del suo farsi servo, essere a proposito della sua natura divina. Questa natura appunto gli era propria, l'altra l'assunse, e l'assunse per unire a sé la nuova natura formando con essa una cosa sola. In quanto era di natura divina, egli, come dice l'evangelista che era stato pescatore, era uguale a Dio: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo (Gv 1,1), frase che ha lo stesso senso di quella già citata: Essendo di natura divina non considerò rapina il suo essere uguale a Dio, dove il vocabolo latino rapina [= preda] indica qualcosa che è possesso illecito, non quello che è inerente per natura. L'angelo tentò di usurpare l'uguaglianza con Dio, e cadde divenendo diavolo; tentò di usurparla l'uomo, e caduto divenne mortale; ma Cristo, che è nato uguale a Dio perché non è nato nel tempo, ma in quanto Figlio eterno dell'eterno Padre, nato da sempre, per mezzo del quale furono create tutte le cose, era di natura divina. Per farsi mediatore tra Dio e gli uomini, tra il giusto e i peccatori, tra l'immortale e i mortali, assunse qualcosa dai peccatori, dai mortali, senza perdere quello che aveva in comune con l'immortale, con il giusto: conservò da un lato la giustizia, dall'altro assunse la mortalità, per porsi di mezzo come riconciliatore e abbattere il muro dei nostri peccati. Per questo a lui il suo popolo canta: Con il mio Dio scavalcherò le mura (Sal 17,30). Restituendo a Dio quello che i peccati gli avevano sottratto, riscattando con il suo sangue quello che era posseduto dal diavolo, egli morì per noi e per noi risorse. Portò i nostri peccati non aderendo ad essi, ma facendosene carico, così come Giacobbe si coprì della pelle dei capretti per sembrare peloso al padre e riceverne la benedizione (Cf. Gen 27,16). Esaù, malvagio, aveva peli naturali, Giacobbe, buono, portava quelli di altri. Così gli uomini mortali sono ricoperti di peccati, ma i peccati non rivestivano colui che aveva detto: Ho il potere di offrire la mia vita e il potere di riprenderla di nuovo (Gv 10,18).
17. 16. Dunque la morte fu, nel nostro Signore, segno dei peccati altrui, non pena di peccati suoi. In tutti gli uomini l'essere soggetti alla morte è pena del peccato e deriva dal peccato originale nel quale tutti nasciamo, e quindi dalla caduta del primo uomo, non dalla discesa di Cristo sulla terra: si deve distinguere tra caduta e discesa in quanto il primo uomo cadde per la sua malizia, l'altro uomo discese per la sua misericordia. Infatti: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo (1Cor 15,22). Poiché dunque egli portava i peccati altrui, dice: Quanto non ho rubato lo dovevo restituire (Sal 68,5), cioè egli moriva senza avere peccati. Altrove dichiara: Ecco, verrà il principe di questo mondo e in me non troverà nulla, volendo dire che non avrebbe trovato nulla che rendesse meritata la morte, poiché è il peccato che fa meritare la morte. E prosegue spiegando perché morirà: Ma perché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio, alzatevi, andiamo via di qui (Gv 14,30-31). Alzatosi va deciso verso la passione: lo fa in quanto con ciò faceva quello che il Padre gli aveva comandato, non perché lui che non aveva alcun peccato, dovesse qualcosa al principe dei peccatori. Dunque il nostro Signore Gesù Cristo portò con sé la natura divina, assunse da noi la natura mortale. Questa egli ricevette nel grembo della vergine Maria, dove congiunse se stesso, Verbo di Dio, con la natura umana, come sposo con la sposa nel talamo verginale, per uscire come sposo dalla stanza nuziale (Cf. Sal 18,6).
Per misericordia Cristo si fece mortale
17. 17. Ma ritorniamo al discorso interrotto. La condizione di mortalità è derivata per tutti gli uomini dal peccato, mentre nel Signore essa è derivata dalla sua misericordia; ma anche la sua fu vera mortalità, non solo apparenza, come fu vera carne, veramente mortale anche la sua, una carne simile alla carne del peccato (Cf. Rm 8,3). Non è detta simile alla carne, perché è vera carne, ma simile alla carne del peccato, perché non è carne del peccato. Egli non assunse, come ho già detto, la condizione di mortalità quale conseguenza del peccato, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e facendosi obbediente fino alla morte (Fil 2,7.8). Che cosa era, dunque, e che cosa aveva? Appartiene al suo essere la divinità, mentre la mortalità fu assunta: per questo egli risorse con la stessa carne nella quale morì.
18. 17. Ormai potete rivolgervi a coloro che dicono che solo Cristo poté risorgere, e noi non lo potremo, e rispondere loro che Cristo è risorto nella carne che aveva assunto da noi, e che non avrebbe potuto risorgere se non si ammette la sua condizione di servo, nella quale soltanto gli era possibile morire. Dite loro che non possono pretendere di distruggere, con le lodi che loro fanno del Signore, quella fede che il Signore stesso ha costruito in noi. Proprio in quanto egli assunse la condizione di servo, egli morì, e così secondo essa è risorto. E poiché è risorto nella sua condizione di servo, noi non dobbiamo affatto disperare della risurrezione di chi è nella condizione di servo. Essi sono poi anche soliti attribuire la risurrezione di Cristo alla sua potenza di uomo, sostenendo che egli era uomo così giusto da avere anche la facoltà di risorgere dai morti. Tuttavia volendoli per un momento seguire nei loro discorsi e lasciando in disparte la considerazione della sua divinità, possiamo dire che, se egli era così giusto da meritare anche di risorgere dai morti, non poteva certo averci ingannato quando anche a noi promise la risurrezione.
Prove della risurrezione
19. 18. Tutto quello che è stato detto, o fratelli, vi ha messo in grado di contrastare quelli che negano la risurrezione dei morti. Se ricordate, abbiamo detto quello che Dio si è degnato di suggerire come essenziale e quello che è testimoniato dalla natura e da esempi quotidiani: ci siamo richiamati da un lato alla onnipotenza di Dio, per il quale nulla è difficile - se poté creare quello che non esisteva, a maggior ragione egli può rinnovare quello che esisteva - dall'altro al nostro stesso Signore e Salvatore Gesù Cristo, che sappiamo essere risorto: e non avrebbe potuto risorgere se non nella condizione di servo perché solo in questa condizione poté avvenire la morte dalla quale doveva risorgere. Quindi noi che siamo servi, dobbiamo sperare che si compia per noi nella nostra condizione di servi quello che egli si degnò di mostrare in anticipo nella sua condizione di servo. Devono dunque tacere quelle lingue che dicono: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32); e voi dovete senz'altro rispondere: Digiuniamo e preghiamo perché domani moriremo.
Attesa del giorno finale; l'esempio di Noè
20. 19. Ci resterebbe ora da dire quale sarà la vita dei giusti nella risurrezione, ma poiché ormai oggi vedete esaurito il tempo a disposizione, vi invito a ripensare quello che abbiamo detto, e pregate che vi possiamo dire un'altra volta quello che ci siamo impegnati a trattare. Soprattutto cercate di cogliere i motivi che ci hanno indotto a parlare, o fratelli, specialmente per le feste che in questi giorni celebrano i pagani. Considerate bene: questo mondo passa. Tenete presente l'annuncio dell'ultimo giorno che il Signore fa nel vangelo: quel giorno verrà come venne il diluvio al tempo di Noè. Mangiavano e bevevano, comperavano e vendevano, si ammogliavano e si maritavano fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e venne il diluvio e li fece perire tutti (Lc 17,27). L'ammonimento che il Signore ci dà risulta anche altrove chiarissimo: State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni e ubriachezze (Lc 21,34). E ancora: State pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a servi che aspettano il padrone quando torna da nozze (Lc 12,35-36). Restiamo nell'attesa della sua venuta perché non ci trovi intorpiditi. Come è male per una sposa non avere desiderio del proprio sposo, così ancor più è male per la Chiesa non avere desiderio di Cristo. Lo sposo terreno viene all'abbraccio carnale e viene accolto con intenso desiderio dalla sua casta sposa: sta per giungere lo sposo celeste a dare l'abbraccio eterno alla sua Chiesa, e rendere noi eterni coeredi con lui, mentre noi viviamo senza mostrare desiderio del suo arrivo, mostrando anzi di temerlo. Quel giorno annunziato verrà davvero all'improvviso, come venne il diluvio al tempo di Noè, e quanti – molti anche che oggi si dicono cristiani – sorprenderà così! Eppure la costruzione dell'arca continua da tanti anni perché quelli che non credono si destino (Cf. Gen 6). Durante i cento anni della costruzione dell'antica arca gli uomini non si destarono a riconoscere che, se quell'uomo di Dio andava costruendo l'arca, doveva essere imminente la rovina del genere umano, e quindi non cercarono di placare l'ira di Dio mutando vita in modo da piacere a Dio.
21. 19. Questo invece fecero gli abitanti di Ninive, i quali fecero penitenza e placarono l'ira di Dio.
Anche Ninive va presa a esempio
21. 20. Giona aveva annunciato non la misericordia, ma la punizione imminente; non aveva detto che entro tre giorni Ninive sarebbe stata distrutta, e che invece Dio li avrebbe risparmiati, se avessero fatto penitenza in quei tre giorni. No, egli minacciò soltanto la distruzione e la preannunciò. Tuttavia quelli, sperando nella misericordia di Dio, si convertirono facendo penitenza, e Dio li risparmiò (Cf. Gv 3). Non si può dire che il profeta avesse mentito, come potrebbe sembrare se si interpretano in senso carnale le sue parole; se ne deve cogliere il senso spirituale per comprendere che avvenne proprio come il profeta aveva detto. Di fatto Ninive fu distrutta. Se si considera che cosa era Ninive, si vede che fu distrutta. Ninive era quella città dove si mangiava e beveva, si comprava e vendeva, si piantava e edificava dandosi agli spergiuri e alle menzogne, alle ubriachezze, ai delitti, alla corruzione: questa era Ninive. La Ninive che ci viene presentata, dove tutti si battono il petto tristi, si affliggono con cilici, si cospargono di cenere e fanno digiuni e preghiere, è un'altra Ninive. La precedente Ninive fu dunque davvero distrutta, perché sparì tutto quel modo di vivere.
La Chiesa è l'arca di Cristo: agli uomini spetta di entrarci
22. 21. Dunque, fratelli, anche ora si costruisce l'arca, e quei cento anni della sua costruzione simboleggiano l'intero arco dei nostri tempi. Se quindi giustamente perirono coloro che non prestarono attenzione all'arca quando Noè la costruiva, una giusta punizione attende certo coloro che, ora che il Cristo costruisce la Chiesa, si disinteressano della salvezza. Tra Noè e Cristo v'è tanta differenza quanta ve n'è tra un servo e il suo padrone, anzi fra Dio e l'uomo, dato che servo e padrone si possono dire anche due uomini. Tuttavia quando era un uomo a costruire l'arca, coloro che non gli prestarono fede furono puniti in modo che servisse da ammonimento ai posteri. Ma ora a costruire la Chiesa attende Cristo, Dio che si è fatto uomo per noi: a fondamento dell'arca egli ha posto se stesso, e ogni giorno entrano a formare la compagine dell'arca, come assi che non imputridiscono, uomini fedeli che rinunciano alla vita di questo mondo. Come dunque si può ancora dire: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32)? Contrapponetevi a costoro, come già ho detto, dicendo: Digiuniamo e preghiamo perché domani moriremo. Costoro invitano a mangiare e bere perché non hanno speranza nella risurrezione, noi invece che crediamo e proclamiamo la risurrezione annunciata dai profeti, rivelata da Cristo e dagli Apostoli, e che abbiamo speranza di vivere dopo questa morte, dobbiamo perseverare, non gravare il nostro animo con dissipazioni e ubriachezze, ma essere vigilanti con le cinture ai fianchi e le lampade accese, nell'attesa del ritorno del nostro Signore. Digiuniamo e preghiamo non perché domani moriremo, ma per morire sereni. Quello che ancora dovrei trattare, fratelli, richiedetemelo, in nome del Signore, un'altra volta. Rivolti ora al Signore, ecc.
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