Il diaconato in Italia n° 192
(maggio/giugno 2015)
CONFRONTI
Chi sconfisse i bizantini?
di Giuseppe Bruno
Che Bisanzio fosse una bella città e una maestosa sede imperiale, non c'è alcun dubbio; ma che i suoi abitanti fossero gente noiosa, petulante e molto burocratica è altrettanto sicuro. Erano "bizantini" dalla testa ai piedi; ma anche, per dirla tutta, buoni giuristi ed eccellenti cultori d'arte. Adesso quella Bisanzio non esiste più da molti secoli, ma lo spirito bizantino, fastoso e appariscente, si respira ancora nei circoli accademici civili ed ecclesiastici, sacre liturgie comprese. Ed ecco perché mi sembra che siano tornati i bizantini. Infatti vedo in giro, sia in campo civile che clericale, tanta ma tanta noiosa burocrazia, tanti svolazzi e luccichii, troppi paludamenti e bardature filo-imperiali e sermoni tardo-crociati, da farmi pensare con malinconia: ma perché mai abbiamo fatto il Vaticano II ed è stata scritta l'eccellente Costituzione Liturgica? Fortuna vuole che sia arrivato in tempo utile e al momento opportuno papa Francesco, il quale con la sua scelta di sobrietà personale e istituzionale, ha già fatto sentire anacronistica e pietosa ogni velleità bizantina. È davanti agli occhi di tutti quanto egli rifugga da ogni segno e simbolo di sovranità posticcia e di protagonismo mutuato dalla società civile.
Egli è un protagonista ma non per suo volere e per sua ricerca ma perché la gente lo acclama così; è un protagonista per la sua fede e per il suo amore a Cristo. Egli vive il suo impatto comunicativo con il popolo in modo schietto e ricco di umanità; il suo parlare si sviluppa per frasi brevi, semplici, suadenti e mai minacciose; e le sue sono parole tutte sbilanciate sul versante del positivo e del bello. La speranza gli è amica.
Il merito di questo suo dialogare alto e umile va ascritto al grande maestro della parola che fu Paolo VI, di cui papa Francesco si fa discepolo. Paolo VI comunicava una carica emozionale fortissima, in qualche momento anche drammatica: papa Francesco questo lo sa e lo vive, ma vi aggiunge la disarmante complicità di un sorriso. Al cospetto di questo papa chi oserebbe ancora coltivare sogni bizantini? A scanso di equivoci, mi va bene la Gloria del Bernini e tutto ciò che è riverenza e splendore verso Dio; mi lascia perplesso la grandiosità della tomba di Alessandro VII.
Eppure certe nostalgie, mai sopite, oggi ritornano e si fanno strada nelle nuove generazioni, quelle cresciute a pane, nutella e cellulari sempre all'orecchio. Da non crederci, ma è così. Si ha voglia di manipoli sul braccio sinistro e pianete dorate; c'è una raccolta inusitata di reliquie e reliquiari da ogni dove e visioni oniriche di candidi ermellini, di flabelli con penne di struzzo, di papi portati a spalla fra dignitari in alte e spumeggianti uniformi, di inchini profondi tra alabarde a mezza luna e baciar di sandali fra nuvole di odorose resine. O sogni di un passato iscritto in dorati mosaici e nelle vesti imperiali di un Bisanzio che non c'è più! O cavalieri galoppanti su destrieri dalle superbe bardature, perché siete svaniti con il tramonto di tutti i sacri imperi? O passato glorioso di un tempo imperiale perché non ritorni?
Miei cari bizantini, sveglia! Facciamoci insieme un supplemento di adorazione eucaristica alla maniera del Curato d'Ars e vedrete che i sogni impossibili svaniranno. E soprattutto stiamo un po' di più in confessionale, con fede, riverenza e compassione.
(Da Ultima Chiamata, 1/2015, foglio editoriale di G. Bruno, sac. Della diocesi di Catania, già direttore responsabile di Prospettive)
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