XXIII Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 6 settembre 2015
XXIII Domenica del Tempo ordinario

Is 35,4-7a
Gc 2,1-5
Mc 7,31-37
(Visualizza i brani delle Letture)


SIAMO SORDI,
MA ANCHE MUTI

Gli smarriti di cuore di cui parla il profeta Isaia sono una categoria facilmente individuabile in tutti quelli che, per diverse vicende della vita, hanno perso l'abitudine ai pensieri positivi, allo sguardo di speranza nei confronti del loro futuro. Nel caso di Isaia sono gli esuli che nemmeno pensano alla possibilità di un ritorno in patria, a Gerusalemme. Il messaggio è una scossa. Dio stesso si impegnerà per loro. L'impegno di Dio capovolge le situazioni, così che gli zoppi non soltanto cammineranno bene, ma salteranno; i sordi non solo ci sentiranno, ma grideranno di gioia (si noti che sordità e mutismo si equivalgono), dove anche il contenuto gioioso del grido è significativo. Anche il deserto e la steppa cambieranno a motivo della presenza dell'acqua, e la terra bruciata dal sole diventerà una palude.
C'è sempre il rischio di leggere le descrizioni dell'intervento di Dio nella storia avvolgendole di vaghezza; ci sarà un giorno equivale a c'era una volta. Si finisce per leggere questi brani di incoraggiamento come troppo generici. È vero che molte parole dei profeti hanno avuto la conferma degli eventi, è vero che l'esilio è finito, però il senso di queste parole di incoraggiamento è più profondo e concreto. Il fiume che attraversa il deserto e lo rende terra buona, l'energia che attraversa il corpo di un uomo e lo rende forte e coraggioso, capace di gioia, sono il segno della vita dei credenti che non si smarriscono, non si perdono di cuore nell'esperienza di ogni giorno. Il popolo che attraversa come l'acqua la storia è composto di quelli che non si arrendono e continuano con il loro impegno e la loro speranza.

Il fascino della lettera di Giacomo nasce dalla sua concretezza, che è la concretezza della vita, dove non sono permessi giochi di parole. Nel brano proposto nella liturgia odierna, i poveri sono poveri, economicamente tali, come mostra il loro vestito; i ricchi sono ricchi, come mostra il loro abbigliamento. Definire qualcuno per come appare è un dato che soprattutto oggi non ha nessun bisogno di essere spiegato; confondere la benedizione con il benessere per molti non è un'ingiustizia, ma un esercizio di sapienza. Giacomo si chiede se la posizione nella Chiesa debba corrispondere a quella sociale, e afferma che quando questo accade è una perversione. Non si limita a condannare un comportamento, ma dà un principio teologico, per cui la posizione nella Chiesa dev'essere determinata dalla ricchezza della fede e chi non riesce a cogliere questa ricchezza interiore delle persone manca egli stesso di fede. Chi ha fede riconosce la fede nell'altro, ha una conoscenza profonda del cuore degli altri e riesce a creare relazioni comunitarie che non siano ingiuste o umilianti per nessuno. La Chiesa ha un suo senso perché è comunità di credenti. L'unica azione di maggioranza è quella della fede.
Il dubbio che qualche volta nasce da scelte più adatte a un'azienda, lo smarrimento che si ricava dalla descrizione che si fa della Chiesa come di un centro di potere, parole e concetti come quelli di cordata o, peggio, di lobbie, la sensazione che il discorso di fede sia sussurrato e quello gestionale privilegiato: tutto questo, anche se non sempre fondato, rende attuali le parole di Giacomo. Bisogna chiamare le cose con il proprio nome, per poter subito correggere le derive e non essere autori di giudizi perversi. La chiarezza del Papa su questi argomenti incoraggia nel cammino.

Il vangelo di Marco racconta della guarigione di un sordomuto; il brano, ognuno se ne rende conto, ha significati che superano l'episodio. Lo spazio del miracolo è quello della decapoli, territorio pagano; un sordomuto è portato sulla scena, il lettore ricorda che i sordi che ascoltano e i muti che parlano sono i segni della presenza del Messia. L'azione del miracolo si svolge in disparte. Gesù tocca con il dito le orecchie del sordomuto e, poi, dopo essersi bagnato il dito di saliva, gli tocca la lingua. Tutti questi elementi sono significativi di una trasmissione di potenza da Gesù a quell'uomo; l'ambito di questa trasmissione è quello della parola, che ora quell'uomo può ascoltare e dire. Non è solo una guarigione fisica, ma piuttosto spirituale, perché quell'uomo può ascoltare una parola, che non sapeva, e annunciarla.
La parola Effatà non permette solo il recupero di un'attitudine fisica, ma anche di una capacità spirituale. E se della mancanza della prima il sordomuto era consapevole, certamente non lo era dell'altra. L'esperienza del sordomuto è significativa per ogni cristiano, che inizia la vita con la ripetizione di questo gesto sulla sua bocca e le sue orecchie. C'è un altro aspetto della guarigione, sottolineato dall'evangelista, il fatto cioè che quell'uomo guarito parlava correttamente. Anche qui la correttezza del parlare si riferisce non solo alla forma, ma anche al contenuto delle parole che, come informa lo stesso evangelista, sono un annuncio che provoca la fede in quelli che ascoltano. Lo stupore e il commento di chi ascolta il racconto del sordomuto e della folla che assiste, rivelano il significato missionario del racconto. A leggere con attenzione il brano, chi pronuncia parole corrette, cioè riconosce la potenza di Dio e la sua presenza nelle parole e azioni di Gesù, sono le persone che riconoscono che Dio ha fatto bene ogni cosa.

VITA PASTORALE N. 7/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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