IV Domenica di Pasqua (B)


ANNO B - 26aprile 2015
IV Domenica di Pasqua

At 4,8-12
1Gv 3,1-2
Gv 10,11-18
(Visualizza i brani delle Letture)


IL BUON PASTORE
AMA E DIFENDE LA VITA

Dopo la guarigione dello storpio, gli Atti presentano la reazione della folla che, piena di stupore per il fatto, accorre ad ascoltare Pietro, e la reazione del sinedrio che fa arrestare sia lui che Giovanni. La lettura di questa domenica presenta Pietro che risponde alla domanda sull'origine dei suoi gesti straordinari. La situazione è paradossale perché bisogna spiegare una cosa buona come la guarigione dello storpio. Pietro nella sua risposta presenta una sintesi dell'annuncio cristiano della salvezza: Gesù è risorto, Gesù guarisce, rimette in piedi, è la pietra che fa stare in piedi le persone e la storia. Solo lui può fare questo, nessun uomo, nessun altro nome, può fare da fondamento alla vita.
La grande facilità odierna di comunicare favorisce l'imporsi di molte personalità, che sono spesso indicati o adottati come modelli di vita. Molti di questi soggetti non reggono alla prova della vita perché, imitandoli, la vita di chi li adotta come maestri da imitare spesso fa naufragio. Loro risponderebbero, a chi li dovesse rimproverare di questo, che l'errore è stato di prenderli come maestri e come modelli. Questo è vero, noi siamo responsabili dei modelli che ci scegliamo. Pietro dà un criterio, bisogna scegliere chi ti fa stare in piedi, chi ti salva la vita, chi può farti da fondamento: Gesù Cristo.

Il brano della prima lettera di Giovanni è una descrizione della condizione del cristiano; lo fa giocando con i verbi, anzi, se si legge con attenzione, con i tempi dei verbi. Un battezzato non è chiamato figlio di Dio per un artificio retorico, ma lo è realmente. Giovanni insiste su questa condizione e la proietta nel futuro, perché dice che «ciò che saremo non è stato ancora rivelato». Non si tratta di indovinare il futuro, infatti, «quando Dio si sarà manifestato saremo simili a lui», si tratta, invece, di pensare la vita come un cammino che manifesta Dio, di somiglianza a Dio fino a diventare specchio di Dio. Un cammino, com'è noto, in cui si diventa quello che si è.
Giovanni fa un'osservazione dura, ma senza fare drammi, descrive un dato di fatto da accettare come conseguenza della condizione di essere figli di Dio, quella che «il mondo non ci conosce». La vita cristiana è tale perché racconta Dio e si lascia guidare dalla sua sapienza; racconta la risurrezione; narra molte cose che non sono evidenti a chi non conosce Dio. Nel gioco fra tempo presente e tempo futuro «siamo e saremo» e nella frase «quando egli si sarà manifestato» c'è la vita cristiana, che non è vita di evidenze, ma di comunione e di fiducia, pronta a scoprire i segni della presenza di Dio. Più che una condanna per chi è del mondo e non pensa per niente a Dio, da queste parole nasce una preghiera perché ognuno possa essere coinvolto in una vita che non racconti solo la delusione del tempo che passa e la sconfitta delle proprie illusioni, ma sia capace di raccontare Dio. Queste letture si prestano molto oggi che si celebra la Giornata di preghiera per le vocazioni, a illustrarne il tema: "Vocazioni e santità, toccati dalla bellezza"; ed è proprio del bel pastore che parla il vangelo di Giovanni, com'è tradizione in questa domenica.
Giovanni delinea la figura del buon (bel) pastore, mettendola in contrasto con quella del mercenario, la differenza ha a che fare con la vita delle pecore; il primo è disposto a mettere in gioco la sua per la loro, il secondo tiene solo alla propria, per il primo rappresentano la vita, per il secondo un'occupazione. Gesù non si limita ad applicare la similitudine ma la sviluppa, e il lettore, abbandonando le immagini pastorali, è proiettato all'interno della vita trinitaria, in cui si scopre inserito, in una catena di conoscenza e di vita. Non solo, ma mentre per ogni buon pastore la bontà consiste nella disponibilità a rischiare la vita, per Gesù, nel testo, si parla di dare la vita.

Il lettore, forse un cristiano che dà troppa importanza alle appartenenze, ai recinti, scopre che quest'onda di conoscenza e di vita deve invadere tutto il mondo con il sogno di un solo gregge e, come notano molti commentatori, non di un solo ovile. La vita di cui si parla è la vita donata, che è l'unica vita che Dio ama; la vita donata è una vita che porta già il segno della resurrezione. La vita del gregge è, come si conosce dalla lettura del quarto vangelo, la fede dei credenti. Che fanno le pecore in tutto questo? Prima di tutto ascoltano la voce di Cristo, lo fanno perché quelle parole sono accreditate dalla vita che è stata data per esse; è l'ascolto che nasce dalla riconoscenza, di cui ogni uomo, se è tale, è capace. Ascoltare può essere inteso come obbedire, imitare. Una vita bella è desiderio di tutti, per molti la bellezza della vita è questione di fortuna, perché si pensa che sia bella solo quando si determinano alcune condizioni.
È vero, alcuni vivono delle vite molto difficili, e affrontano situazioni che fanno arretrare ogni parola o intenzione buone. Molti vivono una vita che è minacciata da lupi, capaci di distruggerle. Non bisogna trascurare questo perché Gesù, presentandosi come pastore buono, fa riferimento proprio a queste vite. Gesù mentre dice queste parole, vede davanti a sé tante persone che non avevano una vita bella; si prende carico di questa realtà e dice: «Io sono il buon pastore», dice di tenere alla vita di ogni persona e che non solo è disposto a dare la vita per ciascuno, ma l'ha fatto.

VITA PASTORALE N. 4/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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