Il diaconato in Italia n° 182/183
(settembre/dicembre 2013)
Atti del XXIV Convegno Nazionale
Napoli 21-24 Agosto 2014
Nord e Sud (d'Italia, dell'Europa, del mondo
di Giuliana Martirani
Vedere: morire di fame oggi
Allo stato attuale la produzione agricola mondiale potrebbe facilmente sfamare 12 miliardi di persone. Da un altro punto di vista, si potrebbe equivalentemente dire che ogni bambino che muore per denutrizione oggi è di fatto ucciso1.
Ci sono cinque grandi motivi della morte per fame.
1. Innanzitutto la speculazione finanziaria sulle materie prime alimentari, che negli ultimi anni ha determinato un'impennata nei prezzi e impedito alle organizzazioni internazionali come il Programma alimentare mondiale (Pam) di soddisfare i bisogni delle popolazioni.
2. In secondo luogo la colpa è dei biocombustibili, che sottraggono terre fertili all'agricoltura alimentare.
3. Poi c'è il debito estero, che soffoca i paesi più poveri e impedisce loro di investire nell'agricoltura di sussistenza.
4. Un altra ragione è rappresentata dal dumping agricolo, a causa del quale sui mercati di Dakar o di Cotonou la frutta, i legumi e i polli francesi, greci, tedeschi o portoghesi sono venduti a un terzo o alla metà del prezzo rispetto ai prodotti africani equivalenti.
5. Infine l'accaparramento delle terre da parte dei fondi d'investimento e delle grandi multinazionali, che cacciano i contadini locali per coltivare prodotti destinati esclusivamente al mercato occidentale. I paesi dell'Ue sono pienamente responsabili del dumping agricolo. A cominciare dalla Francia: nel 2005, durante i negoziati dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc/Wto) a Hong Kong, il segretario generale Pascal Lamy ha proposto di ridurre progressivamente gli aiuti alle esportazione fino a farli scomparire entro cinque anni. La Francia si è opposta ferocemente, soprattutto a causa dell'influenza delle camere di commercio agricole. E così il dumping va avanti, mentre ai contadini africani viene impedito di commercializzare i loro prodotti.
Giudicare: la critica al modello di sviluppo
Credenti e non credenti svilupparono molte dottrine economiche contestando il Modello di Sviluppo esistente ed esaminando le cause reali delle crisi che prima avevano riguardato i Sud nazionali o le loro aree di emarginazione (Mezzogiorno d'Italia, Sud Spagna...) poi il Sud del mondo (con tutta la grossa questione del debito degli anni '80) e infine quella degli anni della globalizzazione della crisi finanziaria del 2008 e che aveva prevalentemente colpito il Sud d'Europa. E molti cominciavano a individuarne le reali cause nell'aver diviso il mondo tra i 'primi' e gli 'ultimi' della storia e della geografia, privilegiando un modello di sviluppo, economicista, pensato dai 'primi' e diventato un danno per i gli 'ultimi'. 'Ultimi' che, invece, proprio in questo momento di crisi, possono passare da rischio a risorsa offrendo la loro ottica e la loro prospettiva culturale, politica ed economica, per il passaggio da un Modello di Sviluppo della Crescita del Pil, fondamentalmente Razionai-Mercantile, economicista, ereditato dai due secoli precedenti ed ora fortemente obsoleto, ad un Modello di sviluppo integrale e ad uno Stile di vita 'Meridiano' visto con gli occhi e cuori degli 'ultimi' della storia e della geografia.
Il Diritto alla Sovranità Alimentare
Il commercio internazionale di cereali rappresenta poco più del 10% della produzione, comprendendo tutte le colture (7% per il riso). Uno spostamento minimo della produzione mondiale in un senso o nell'altro potrebbe fare tremare il mercato2. Un sacco di 50 chilogrammi di riso importato costa 14.000 franchi Cfa. Una piccola bombola di gas è passata, nell'arco di pochi anni, da 1.300 a 1.600 Cfa; un chilo di carote da 175 a 245 franchi Cfa; una baguette di pane da 140 a 175 franchi Cfa. Il prezzo di trenta uova è salito in un anno da 1.600 a 2.500 franchi Cfa3. L'economista Philippe Chalmin ricorda che «l'altro grande cereale coltivato, il riso, ha conosciuto all'incirca la stessa evoluzione, con prezzi che, a Bangkok, sono passati da 250 a oltre 1.000 dollari per tonnellata.
L'influenza delle lobby su Bruxelles è incredibile. Se volessero potrebbero fermare il dumping agricolo domani. Bruxelles continua a dare prova di un'ipocrisia senza limiti: mentre l'Europa parla di giustizia mondiale e di sviluppo, gli 87 paesi dell'Acp (Africa-Caraibi-Pacifico, sostanzialmente le ex colonie europee) vengono tenuti in una condizione di inaccettabile inferiorità. Sono stati costretti ad accettare accordi di investimento che li obbligano a mettere sullo stesso piano le imprese locali e le multinazionali occidentali. La Commissione europea ha detto a questi paesi: "volete contestare la nostra politica di sovvenzioni agricole alle esportazioni? Ok, ma noi allora dobbiamo riconsiderare i nostri aiuti allo sviluppo". È peggio del colonialismo, è una sorta di fascismo estero. I diritti dell'uomo scompaiono una volta oltrepassati i confini dell'Europa, oltre i quali esiste solo la legge della giungla4.
Alcune agenzie internazionali avevano già affrontato la questione dell'impoverimento che rinviava a dichiarazioni molto importanti. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Art.25), 1948 (ONU) veniva affermato molto categoricamente che «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari». Tali diritti-bisogni fondamentali venivano poi resi operativi nel Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ONU 1966, Art. 11) in cui si stabiliva che «I Paesi facenti parte del Patto riconoscono il diritto di ognuno ad un adeguato standard di vita... incluso il cibo adeguato». Richiamandosi quindi a delle affermazioni anche vincolate da Patti i Capi di Stato facevano una forte dichiarazione, la Dichiarazione di Roma sulla sicurezza alimentare mondiale del 1996 in cui affermavano: «Noi, Capi di Stato e di Governo... riaffermiamo il diritto di ogni persona ad avere accesso ad alimenti sani e nutrienti, in accordo con il diritto ad una alimentazione appropriata e con il diritto fondamentale di ogni essere umano di non soffrire la fame». La Sovranità Alimentare è il «Diritto dei popoli a definire le proprie politiche e strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo di alimenti che garantiscano a loro volta il diritto all'alimentazione per tutta la popolazione».
Il principio della Sovranità Alimentare è nato in occasione del Forum della Società civile parallelo al Vertice FAO sulla Sicurezza Alimentare del 1996 e si basa su quattro aree prioritarie:
1. Diritto al cibo: il diritto ad un'alimentazione sana, adeguata e nutriente e ad un'acqua potabile è fondamentale per ogni individuo - gruppo. La sovranità alimentare è il diritto di ogni popolo, così come di ogni contadino, allevatore o pescatore, di produrre cibo per la propria famiglia e il mercato, a partire da quello locale.
2. Accesso, gestione e controllo delle risorse naturali: assicurare che i contadini, gli allevatori, i pescatori di piccola scala e le comunità indigene abbiano un accesso equo alle risorse naturali.
3. Modello agricolo sostenibile e di piccola scala, che sia a tutela dell'ambiente ma anche e soprattutto degli equilibri sociali caratteristici di ogni comunità. Al contrario, le politiche degli ultimi decenni hanno esclusivamente promosso una produzione agricola industriale rivolta al mercato delle esportazioni, finendo per ostacolare l'autosufficienza alimentare.
4. Commercio e Sovranità Alimentare: promuovere un sistema commerciale internazionale più giusto ed equo, che sia una spinta positiva per lo sviluppo dei paesi poveri e non un ostacolo alla realizzazione dei diritti umani. Alla luce del principio della Sovranità alimentare, la soluzione alla crisi alimentare mondiale non possono essere gli OGM perché creano una maggior dipendenza economica dei piccoli produttori dalle grandi multinazionali in quanto questi semi sono sterili e perché indeboliscono i terreni coltivabili, poi difficilmente riconvertibili.
Millennium Goals
A questa dichiarazione seguiva poi una volontà decisa di risolvere, una volta per tutte, l'impoverimento del pianeta attraverso gli 8 Obiettivi del Millennio. Durante il Vertice del Millennio, indetto dalle Nazioni Unite nel settembre del 2000, venivano assunti da tutte le Nazioni del mondo gli 8 Obiettivi del Millennio (MDGs), finalizzati ad uno sviluppo più equo, rispettoso dei diritti umani e dell'ambiente, da realizzare entro il 2015. I leader dei Paesi poveri si impegnavano ad orientare le proprie nazioni verso gli obiettivi di sviluppo rafforzando il buon governo, le istituzioni e le politiche sociali. I leader dei Paesi ricchi si impegnavano a incrementare qualità e quantità degli aiuti allo sviluppo, a una più efficace e rapida riduzione del debito estero e a garantire regole commerciali più eque, un maggiore accesso ai mercati e trasferimento di tecnologie verso i Paesi più poveri.
Obiettivo 1: Eliminare la povertà estrema e la fame
Dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Dimezzare, fra il 1990 e il2015, la percentuale di persone che soffre la fame.
Obiettivo 2: Raggiungere l'istruzione elementare universale
Garantire che, entro il 2015, tutti i bambini e le bambine, ovunque vivano, completino il ciclo degli studi elementari.
Obiettivo 3: Promuovere l'uguaglianza fra i sessi e conferire potere e responsabilità alle donne. Eliminare, preferibilmente entro il 2005, e a tutti i livelli entro il 2015, le disparità di genere nell'istruzione elementare e secondaria.
Obiettivo 4: Diminuire la mortalità infantile
Ridurre di due terzi, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità fra i bambini al di sotto dei cinque anni di età.
Obiettivo 5: Migliorare la salute materna
Diminuire di tre quarti, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna.
Obiettivo 6: Combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie
Fermare entro il 2015 e cominciare a invertire la diffusione dell'HIV/AIDS. Fermare entro il 2015 e cominciare a invertire l'incidenza della malaria e di altre importanti malattie.
Obiettivo 7: Assicurare la sostenibilità ambientale
Integrare i principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi nazionali e invertire la tendenza al depauperamento delle risorse naturali. Dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che non hanno un accesso sostenibile all'acqua potabile e ai servizi fognari. Raggiungere entro il 2020 un significativo miglioramento nelle esistenze di almeno 100 milioni di abitanti dei quartieri degradati.
Obiettivo 8: Sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo
Sviluppando ulteriormente un sistema finanziario e commerciale che sia aperto, equo, basato su delle regole, prevedibile e non discriminatorio (prevede impegni a favore del buon governo, dello sviluppo e della diminuzione della povertà - sia a livello nazionale che internazionale).
Occuparsi delle particolari esigenze delle nazioni meno sviluppate (prevede l'adozione di esenzioni doganali e l'eliminazione delle quote per le esportazioni delle nazioni meno sviluppate, un programma migliorativo di condono del debito per i paesi poveri fortemente indebitati; la cancellazione del debito ufficiale bilaterale; e una assistenza per lo sviluppo più generosa per le nazioni impegnate nella diminuzione della povertà. Affrontare le speciali necessità dei paesi in via di sviluppo privi di sbocchi al mare e degli stati in via di sviluppo delle piccole isole (mediante il Programma d'azione per lo sviluppo sostenibile degli stati in via di sviluppo delle Piccole Isole e dei provvedimenti della 22a Assemblea Generale). Trattare in maniera efficace i problemi del debito dei Paesi in via di sviluppo, mediante l'adozione di misure nazionali e internazionali che rendano il loro debito sostenibile nel lungo periodo.
Alcuni degli indicatori elencati in precedenza vengono verificati separatamente per i paesi meno sviluppati, l'Africa, i Paesi in via di sviluppo privi di sbocchi al mare e gli stati in via di sviluppo delle piccole isole.
In collaborazione con i paesi in via di sviluppo, sviluppare e mettere in atto strategie per creare dei posti di lavoro dignitosi e produttivi per i giovani. Nei Paesi in via di sviluppo, in collaborazione con le imprese farmaceutiche, fornire accesso a medicinali essenziali con prezzi abbordabili. In collaborazione con il settore privato, rendere disponibili i benefici delle nuove tecnologie, specialmente le tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Alla luce di quanto emerso dal Rapporto sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio 2008 (New York 22-29 settembre 2008), l'obiettivo generale di dimezzare la povertà assoluta sembrava essere raggiungibile nel suo insieme.
Fino a quella data, tuttavia, gli speculatori avevano prevalentemente indirizzato le speculazioni sul mercato immobiliare e sul petrolio, ma quando è esplosa la bolla finanziaria e quei beni non sono stati più sicuri, si sono riversati sulle materie prime e i prodotti agricoli (commodities), molto più sicuri perché sempre necessari, e quando tanti richiedono lo stesso prodotto, il prezzo, per effetto della legge della domanda e dell'offerta, si alza.
La Dottrina Sociale della Chiesa
La Dottrina Sociale della Chiesa, solo per ricordare gli ultimi documenti è, a tale riguardo, molto rigorosa. Già la Quadragesimo Anno evidenziava le mutazioni nell'ordinamento economico e le relazioni fra capitale e operai: «Orbene, Leone XIII adottò ogni mezzo per disciplinare questo ordinamento economico, secondo le norme della rettitudine; sicché è evidente che esso non è in sé da condannarsi. E infatti non è di sua natura vizioso: allora però viola il retto ordine, quando il capitale vincola a sé gli operai, ossia la classe proletaria, col fine e con la condizione di sfruttare a suo arbitrio e vantaggio le imprese e quindi l'economia tutta, senza far caso, né della dignità umana degli operai, né del carattere sociale dell'economia, né della stessa giustizia sociale e del bene comune» (Quadragesimo Anno, 101).
Guardava alla classe degli agricoltori: «Vero è che neppure oggi è questo il solo ordinamento economico vigente in ogni luogo; un'altra forma vi è che abbraccia ancora grande moltitudine di persone, importante per numero e potere, quale, ad esempio, la classe degli agricoltori, in cui la maggior parte del genere umano si procura con probo e onesto lavoro quanto è necessario alla vita. Anche essa ha le sue angustie e le sue difficoltà, alle quali allude il nostro predecessore in parecchi tratti della sua enciclica e noi pure in questa vi abbiamo più di una volta accennato» (Quadragesimo Anno, 102).
Ma ancor di più al capitalismo industriale: «Ma, l'ordinamento capitalistico dell'economia, col dilatarsi dell'industrialismo per tutto il mondo, dopo l'enciclica di Leone XIII si è venuto esso pure allargando per ogni dove, a tal punto da invadere e penetrare anche nelle condizioni economiche e sociali di quelli che si trovano fuori della sua cerchia, introducendovi in certo modo la sua impronta». (Quadragesimo Anno, 103).
«Perciò quando invitiamo a studiare le trasformazioni che l'ordinamento capitalistico dell'economia subì dopo il tempo di Leone XIII, non solamente procuriamo il bene di coloro che abitane in paesi dominati dal capitale e dall'industria, ma di tutto intero il genere umano» (Quadragesimo Anno, 104).
E già da allora poneva in evidenza la concentrazione della ricchezza: «E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento» (Quadragesimo Anno, 105). «Questo potere di lotte per il predominio: 1. dapprima si combatte per la prevalenza economica; 2. di poi si contrasta accanitamente per il predominio sul potere politico, per valersi delle sue forze e della sua influenza nelle competizioni economiche; 3. infine si lotta tra gli stessi Stati, o perché le nazioni adoperano le loro forze e la potenza politica a promuovere i vantaggi economici dei propri cittadini, o perché applicano il potere e le forze economiche a troncare le questioni politiche sorte fra le nazioni» (Quadragesimo Anno, 108). «Ultime conseguenze dello spirito individualistico nella vita economica sono poi quelle che voi stessi, venerabili Fratelli e diletti Figli, vedete e deplorate; la libera concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata la egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l'economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele. A ciò si aggiungono i danni gravissimi che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri dell'autorità pubblica con quelli della economia stessa: quale, per citarne uno solo tra i più importanti, l'abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle passioni e ambizione umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di partito e intento al solo bene comune e alla giustizia. Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l'imperialismo economico; dall'altra non meno funesto ed esecrabile, l'internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene» (Quadragesimo Anno, 109).
Ma dava anche dei possibili rimedi: «Ora, con quali mezzi si possa rimediare a un male così profondo, già l'abbiamo indicato nella seconda parte di questa enciclica, dove ne abbiamo trattato di proposito sotto l'aspetto dottrinale: qui ci basterà ricordare la sostanza del nostro insegnamento. Essendo dunque l'ordinamento economico moderno fondato particolarmente sul capitale e sul lavoro, devono essere conosciuti e praticati i precetti della retta ragione, ossia della filosofia sociale cristiana, concernenti i due elementi menzionati e le loro relazioni. Così, per evitare l'estremo dell'individualismo da una parte, come del socialismo dall'altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro. Le relazioni quindi fra l'uno e l'altro devono essere regolate secondo le leggi di una esattissima giustizia commutativa, appoggiata alla carità cristiana. È necessario che la libera concorrenza, confinata in ragionevoli e giusti limiti, e più ancora che la potenza economica siano di fatto soggetti all'autorità pubblica, in ciò che concerne l'ufficio di questa. Infine le istituzioni dei popoli dovranno venire adattando la società tutta quanta alle esigenze del bene comune cioè alle leggi della giustizia sociale; onde seguirà necessariamente che una sezione così importante della vita sociale, qual è l'attività economica, verrà a sua volta ricondotta ad un ordine sano e bene equilibrato» (Quadragesimo Anno, 110).
Il Concilio Vaticano II afferma con estremo vigore, anche richiamando i Padri della Chiesa, che: «Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui. Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti,sia singoli che autorità pubbliche affinché - memori della sentenza dei Padri: «Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso» realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi» (Gaudium et spes, 69). Nella Gaudium et spes si sottolinea, poi, come una grande parte degli abitanti del globo sia ancora tormentata dalla fame e dalla miseria: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo,e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore... Così, mentre l'uomo tanto largamente estende la sua potenza non sempre riesce però a porla a suo servizio. Si sforza di penetrare nel più intimo del suo essere, ma spesso appare più incerto di se stesso. Scopre man mano più chiaramente le leggi della vita sociale, ma resta poi esitante sulla direzione da imprimervi. Mai il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica; e tuttavia una grande parte degli abitanti del globo è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria, e intere moltitudini non sanno né leggere né scrivere» (Gaudium et spes, 4).
Paolo VI ribadisce la preoccupazione dei Padri conciliari con un documento a ciò dedicato, la Populorum Progressio, in cui si mette sotto accusa il liberismo economico: «Così finisce che i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi. Giova riconoscerlo: è il principio del liberalismo, come regola degli scambi commerciali, che viene qui messo in causa. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale. La situazione presente deve essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie che essa comporta combattute e vinte» (Paolo VI, Populorum Progressio).
Dalla Populorum Progressio alla Caritas in veritate
Oltre quarant'anni dopo la Populorum progressio, il suo tema di fondo, il progresso, resta ancora un problema aperto, reso più acuto ed impellente dalla crisi economico-finanziaria in atto. Se alcune aree del pianeta, già un tempo gravate dalla povertà, hanno conosciuto cambiamenti notevoli in termini di crescita economica e di partecipazione alla produzione mondiale, altre zone vivono ancora una situazione di miseria paragonabile a quella esistente ai tempi di Paolo VI, anzi in qualche caso si può addirittura parlare di un peggioramento. È significativo che alcune cause di questa situazione fossero state già individuate nella Populorum progressio, come per esempio gli alti dazi doganali posti dai Paesi economicamente sviluppati e che ancora impediscono ai prodotti provenienti dai Paesi poveri di raggiungere i mercati dei Paesi ricchi.
Altre cause, invece, che l'Enciclica aveva solo adombrato, in seguito sono emerse con maggiore evidenza. È questo il caso della valutazione del processo di decolonizzazione, allora in pieno corso. «Paolo VI auspicava un percorso autonomo da compiere nella libertà e nella pace. Dopo oltre quarant'anni, dobbiamo riconoscere quanto questo percorso sia stato difficile, sia a causa di nuove forme di colonialismo e di dipendenza da vecchi e nuovi Paesi egemoni, sia per gravi irresponsabilità interne agli stessi Paesi resisi indipendenti» (Caritas in veritate, 33). All'indomani dell'esplosione del fenomeno della globalizzazione dovuto prevalentemente a causa della velocità di spostamento di merci, danaro, persone e idee, Benedetto XVI nella corposa e significativa Caritas in veritate, affrontava molti dei temi dell'impoverimento strutturale, relativamente al sistema economico, commerciale, energetico, distributivo... insomma relativamente a un nuovo Modello di Sviluppo Integrale affermando che:
«Paolo VI aveva una visione articolata dello sviluppo. Con il termine «sviluppo» voleva indicare l'obiettivo di far uscire i popoli anzitutto dalla fame, dalla miseria, dalle malattie endemiche e dall'analfabetismo. Dal punto di vista economico, ciò significava la loro partecipazione attiva e in condizioni di parità al processo economico internazionale; dal punto di vista sociale, la loro evoluzione verso società istruite e solidali; dal punto di vista politico, il consolidamento di regimi democratici in grado di assicurare libertà e pace. Dopo tanti anni, mentre guardiamo con preoccupazione agli sviluppi e alle prospettive delle crisi che si susseguono in questi tempi, ci domandiamo quanto le aspettative di Paolo VI siano state soddisfatte dal modello di sviluppo che è stato adottato negli ultimi decenni... Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà. Lo sviluppo economico che auspicava Paolo VI doveva essere tale da produrre una crescita reale, estensibile a tutti e concretamente sostenibile» (Caritas in veritate, 21).
Veniva poi evidenziato come «L'abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori o la rinuncia a meccanismi di ridistribuzione del reddito per far acquisire al Paese maggiore competitività internazionale impediscono l'affermarsi di uno sviluppo di lunga durata. Vanno, allora, attentamente valutate le conseguenze sulle persone delle tendenze attuali verso un'economia del breve, talvolta brevissimo termine. Ciò richiede una nuova e approfondita riflessione sul senso dell'economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige, in realtà, lo stato di salute ecologica del pianeta; soprattutto lo richiede la crisi culturale e morale dell'uomo, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo» (Caritas in veritate, cap. 2, 33).
Il liberismo, già messo in discussione dalla Populorum Progressio e la revisione del nostro Modello di Sviluppo invocata dalla Caritas in veritate possono essere i due pilastri per la revisione profonda e lungimirante sul bene comune lì invocata. A partire tuttavia dai nostri riferimenti spirituali e culturali che, lungo tutto l'antico e il nuovo testamento ripartono sempre, non dai primi, ma dai secondi della storia e della geografia5. Sempre nella Caritas in veritate venivano date anche delle linee per eliminare la povertà estrema e la fame nel mondo: «In molti Paesi poveri permane e rischia di accentuarsi l'estrema insicurezza di vita, che è conseguenza della carenza di alimentazione: la fame miete ancora moltissime vittime tra i tanti Lazzaro ai quali non è consentito, come aveva auspicato Paolo VI, di sedersi alla mensa del ricco "epulone". Dare da mangiare agli affamati (cf. Mt 25,35.37.42) è un imperativo etico per la Chiesa universale, che risponde agli insegnamenti di solidarietà e di condivisione del suo Fondatore, il Signore Gesù. Inoltre, eliminare la fame nel mondo è divenuto, nell'era della globalizzazione, anche un traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilità del pianeta» (Caritas in veritate, 27).
Veniva poi analizzato il grosso problema dell'insicurezza alimentare che «va affrontato in una prospettiva di lungo periodo, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri mediante investimenti in infrastrutture rurali, in sistemi di irrigazione, in trasporti, in organizzazione dei mercati, in formazione e diffusione di tecniche agricole appropriate, capaci cioè di utilizzare al meglio le risorse umane, naturali e socio-economiche maggiormente accessibili a livello locale, in modo da garantire una loro sostenibilità anche nel lungo periodo. Al tempo stesso, non dovrebbe venir trascurata la questione di un'equa riforma agraria nei Paesi in via di sviluppo».
Il diritto all'alimentazione, così come quello all'acqua, rivestono «un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare, innanzitutto, dal diritto primario alla vita. È necessario, pertanto, che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni. È importante inoltre evidenziare come la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale in atto, come uomini politici e responsabili di Istituzioni internazionali hanno negli ultimi tempi intuito. Sostenendo mediante piani di finanziamento ispirati a solidarietà i Paesi economicamente poveri, perché provvedano essi stessi a soddisfare le domande di beni di consumo e di sviluppo dei propri cittadini, non solo si può produrre vera crescita economica, ma si può anche concorrere a sostenere le capacità produttive dei Paesi ricchi che rischiano di esser compromesse dalla crisi» (Caritas in veritate, 27).
Una riforma del sistema finanziario internazionale
Ma è all'indomani della crisi finanziaria, iniziata in Usa e continuata selvaggiamente in un'Europa che stava cercando faticosamente la sua unità, che la critica al Modello di sviluppo si fa più pressante da parte della Chiesa: «Con riferimento all'attuale sistema economico e finanziario mondiale vanno sottolineati due fattori determinanti: il primo è il graduale venir meno dell'efficienza delle istituzioni di Bretton Woods, a partire dai primi anni Settanta. In particolare, il Fondo Monetario Internazionale ha perso un carattere essenziale per la stabilità della finanza mondiale, quello di regolare la creazione complessiva di moneta e di vegliare sull'ammontare di rischio di credito assunto dal sistema. In definitiva non si dispone più di quel "bene pubblico universale" che è la stabilità del sistema monetario mondiale. Il secondo fattore è la necessità di un corpus minimo condiviso di regole necessarie alla gestione del mercato finanziario globale, cresciuto molto più rapidamente dell'economia reale, essendosi velocemente sviluppato per effetto, da un lato, dell'abrogazione generalizzata dei controlli sui movimenti di capitali e della tendenza alla deregolamentazione delle attività bancarie e finanziarie; e dall'altro, dei progressi della tecnica finanziaria favoriti dagli strumenti informatici.
Parimenti, i governi non devono servire incondizionatamente l'autorità mondiale. È piuttosto quest'ultima che deve mettersi al servizio dei vari paesi membri, secondo il principio di sussidiarietà, creando, tra l'altro, quelle condizioni socioeconomiche, politiche e giuridiche, indispensabili anche all'esistenza di mercati efficienti ed efficaci, perché non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche, perché non indeboliti da deficit sistematici delle finanze pubbliche e dei prodotti nazionali, che di fatto impediscono ai mercati stessi di operare in un contesto mondiale come istituzioni aperte e concorrenziali» (Per una riforma del sistema finanziario Internazionale, Nota del Pontificio consiglio della giustizia e della pace).
Adamo dove sei?
Papa Francesco già da arcivescovo di Buenos Aires affrontava, in un'Argentina che aveva sofferto il problema dell'impoverimento (gli empobrecidos) grazie al dannoso Modello di Sviluppo neoliberista della Crescita o del Trickle down, il problema di uno sviluppo che ha il disprezzo dei diritti degli individui e dei popoli più fragili: «La sofferenza degli innocenti e delle persone di pace continua a colpirci, il disprezzo dei diritti degli individui e dei popoli più fragili purtroppo ci appartiene, il potere del denaro con i suoi effetti demoniaci, la droga, la corruzione, la tratta degli esseri umani - compresi i bambini - insieme alla miseria materiale e morale sono all'ordine del giorno. La distruzione del lavoro dignitoso, le emigrazioni dolorose e la mancanza di futuro si uniscono a completare questo quadro».
Veniva sottolineato dall'Arcivescovo di Buenos Aires come noi «conviviamo con la violenza con l'odio, l'invidia, la calunnia, e la mondanità. Piano piano ci siamo abituati ad ascoltare e a vedere, attraverso i media, i drammi della società di oggi, presentati quasi con una gioia perversa, e ci stiamo perfino abituando a toccarli, a sentirli intorno a noi e nella nostra carne. Il dramma vive in strada, nei quartieri, in casa nostra e, perché no, nei nostri cuori. Conviviamo con la violenza che uccide, che distrugge le famiglie, che ravviva guerre e conflitti in tanti paesi del mondo. Conviviamo con l'odio, l'invidia, la calunnia, e la mondanità, nei nostri cuori». Sempre nella stessa omelia veniva poi condannato il disprezzo dei diritti degli individui e dei popoli più fragili: «La sofferenza degli innocenti e delle persone di pace continua a colpirci, il disprezzo dei diritti degli individui e dei popoli più fragili purtroppo ci appartiene, il potere del denaro con i suoi effetti demoniaci, la droga, la corruzione, la tratta degli esseri umani - compresi i bambini - insieme alla miseria materiale e morale sono all'ordine del giorno. La distruzione del lavoro dignitoso, le emigrazioni dolorose e la mancanza di futuro si uniscono a completare questo quadro». Addirittura veniva, con termini forti, evidenziata la carnevalata in cui viviamo: «Il mondo continua la sua carnevalata che dissimula tutto e i nostri errori e i nostri peccati, come chiesa, non sono fuori da questo quadro. Gli egoismi personali, giustificati ma non per questo meno piccoli, la mancanza di valori etici - in una società che genera metastasi nelle famiglie, tra la gente, nei barrios e nelle città in cui viviamo, ci parlano dei nostri limiti, delle nostre debolezze e della nostra incapacità di trasformare questa lunga lista di mali che ci affliggono».
E si sottolineava la trappola dell'impotenza: «La trappola dell'impotenza ci porta a pensare: ha senso cercare di cambiare tutto questo? Possiamo fare davvero qualcosa di fronte a questa situazione? Vale la pena provarci se il mondo continua la sua carnevalata che dissimula tutto finché dura? Tuttavia, quando cade la maschera, appare la verità e, sebbene per molti possa suonare anacronistico, riappare anche il peccato, che ferisce la nostra carne con tutta la sua forza distruttiva, sconvolgendo i destini del mondo e della storia. La Quaresima ci si presenta come grido di verità e di speranza certa che viene a dirci che "sì", è possibile non mascherare i e dipingerci dei sorrisi di plastica sul volto come se niente fosse. "Sì", è possibile che tutto sia nuovo e diverso, perché Dio continua a essere "ricco di bontà e di misericordia, sempre disposto a perdonare" e ci incoraggia a ricominciare, più e più volte» (dall'ultima omelia, da cardinale, di Jorge Mario Bergoglio a Buenos Aires, nella Messa delle Ceneri, Buenos Aires, 13 febbraio 2013).
«Chi ha pianto?»
Nel suo primo viaggio come Papa Francesco, un viaggio che è «una scelta preferenziale degli ultimi», come sarebbe stato detto a Medellin e a Puebla dai vescovi latinoamericani, Papa Francesco si pone al fianco degli «Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta».
«"Adamo, dove sei?": è la prima domanda che Dio rivolge all'uomo dopo il peccato. "Dove sei?". È un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l'armonia si rompe, l'uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l'altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l'altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: "Caino, dov'è tuo fratello?". Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello! Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch'io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirei gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito. "Dov'è tuo fratello?", la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po' di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!».
«"Dov'è tuo fratello?" Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c'è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l'esecuzione. E quando il giudice del re chiede: "Chi ha ucciso il Governatore?", tutti rispondono: "Fuente Ovejuna, Signore". Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno!».
«Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c'entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: "Dov'è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?". Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell'atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell'altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo "poverino", e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto».
«La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Ritorna la figura dell'lnnominato di Manzoni. La globalizzazione dell'indifferenza ci rende tutti "innominati", responsabili senza nome e senza volto. "Adamo dove sei?", "Dov'è tuo fratello?", sono le due domande che Dio pone all'inizio della storia dell'umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? per la morte di questi fratelli e sorelle?».
«Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l'esperienza del piangere, del "patire con": la globalizzazione dell'indifferenza! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: "Rachele piange i suoi figli... perché non sono più". Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi... Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c'è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell'anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo» ("Chi ha pianto?", Papa Francesco, a Lampedusa, luglio 2013).
Agire
Proibire e sanzionare la speculazione sui prodotti agroalimentari (derivati) è la soluzione proposta attraverso il "metodo Flassbeck"; è un divieto delle speculazioni sul cibo. All'inizio del XX secolo, a Chicago, apparvero i prodotti derivati. Questi strumenti finanziari, il cui valore è «derivato» dal prezzo di un altro prodotto, definito «sottostante» - come azioni, obbligazioni, strumenti monetari - erano inizialmente destinati a permettere agli agricoltori del Middle west di vendere la loro produzione ad un prezzo fissato prima della raccolta - da cui il nome di «contratto a termine». In caso di caduta dei prezzi al momento della mietitura, l'agricoltore era protetto; in caso di impennata, gli investitori registravano un profitto. Ma, all'inizio degli anni '90, questi prodotti a vocazione prudenziale si sono trasformati in prodotti speculativi.
Heiner Flassbeck, economista alla guida della Conferenza delle Nazioni unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad), ha stabilito che tra il 2003 e il 2008 la speculazione sulle materie prime per mezzo di fondi indicizzati è aumentata del 2.300%. Al termine di questo periodo, l'impennata dei prezzi degli alimenti di base ha provocato le famose «rivolte della fame» che hanno scosso trentasette paesi.
L'indice 2008 dei prezzi dell'Organizzazione delle Nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao) si stabiliva in media al di sopra del 24% rispetto a quello del 2007, e del 57% rispetto a quello del 2006. Nel caso del mais, la produzione di bioetanolo americano - dopato da circa 6 miliardi di dollari (4,7 miliardi di euro) di sovvenzioni annuali erogate ai produttori di «oro verde» - ha considerevolmente ridotto l'offerta statunitense sul mercato mondiale del mais.
Ma, dopo lo scoppio della crisi finanziaria, la speculazione sulle materie prime alimentari non ha fatto che accelerare: fuggendo dal disastro che essi stessi avevano provocato, gli speculatori - in particolare i più importanti, gli hedge funds, o fondi speculativi - si sono spostati sui mercati agroalimentari. Per loro, tutti i beni del pianeta possono diventare oggetto di scommesse sul futuro.
Allora perché non gli alimenti «di base» - riso, mais e grano - che, insieme, coprono il 75% del consumo mondiale (50% per il riso)? Secondo il rapporto 2011 della Fao, solo il 2% dei contratti a termine sulle materie prime si conclude effettivamente con la consegna di una merce. Il restante 98% è rivenduto dagli speculatori prima della data di espirazione. Questo fenomeno ha preso una tale ampiezza che il Senato americano se ne è preoccupato. Nel luglio 2009 ha denunciato una «speculazione eccessiva» sui mercati del grano, criticando in particolare il fatto che alcuni traders detengono fino a cinquantatremila contratti nello stesso momento! Il Senato ha anche denunciato il fatto che «sei fondi indicizzati sono attualmente autorizzati a tenere centotrentamila contratti sul grano nello stesso momento, per un ammontare superiore al limite autorizzato per gli operatori finanziari standard»6. Flassbeck propone una soluzione radicale: «togliere agli speculatori le materie prime, in particolare quelle alimentari». E rivendica un mandato specifico dell'Organizzazione delle Nazioni unite. Ciò, spiega, conferirebbe ad Unctad il controllo mondiale sulla formazione dei prezzi di Borsa delle materie prime agricole.
A partire da quel momento, solo i produttori, i commercianti e gli utilizzatori di materie prime agricole potranno intervenire sui mercati a termine. Chiunque negozierà un lotto di grano o di riso, degli ettolitri di olio ecc., dovrà essere costretto a consegnare il bene negoziato. Il «metodo Flassbecb, se venisse applicato, allontanerebbe gli speculatori dai mezzi di sopravvivenza dei dannati della terra e ostacolerebbe seriamente la finanziarizzazione dei mercati agroalimentari. La proposta di Flassbeck e della Unctad è energicamente sostenuta da una coalizione di organizzazioni non governative (Ong) e di ricerca7.
La Tobin Tax
La liberalizzazione dei mercati finanziari ha portato ad una crescita abnorme dell'economia finanziaria rispetto all'economia reale, ha portato alla finanziarizzazione dell'economia. Ciò genera un forte clima di incertezza economica e di instabilità, di cui le recenti crisi finanziarie internazionali sono solo l'ultimo esempio8. Una misura che può essere considerata come un primo, ma importante passo verso una riforma globale del sistema finanziario internazionale è un'imposta del tipo di quella proposta alla fine degli anni 70 dal Premio Nobel per l'economia James Tobin. Si tratta di un prelievo limitato, pari allo 0,05-0,01 % da applicare a tutte le transazioni valutarie. Un'aliquota così bassa non disincentiverebbe gli investimenti produttivi e di medio-lungo periodo, mentre renderebbe più costosi quelli speculativi e di breve periodo, contribuendo a disincentivarli9.
Secondo una stima prudente, attraverso questa tassa, si potrebbe raccogliere tra i 90 e i 100 miliardi di dollari l'anno, una cifra che corrisponde al doppio di quanto viene oggi destinato alla cooperazione allo sviluppo. Il gettito sarebbe raccolto a livello nazionale dalle Banche centrali che ne tratterrebbero fino all'80% per attività nazionali (servizi sociali, programmi per l'occupazione), destinando poi il restante 20% per attività internazionali (cooperazione, tutela dell'ambiente, ecc.). È evidente che una tassazione delle speculazioni finanziarie dovrebbe essere universale, uniforme, applicabile in ogni giurisdizione mediante una collaborazione internazionale gestita da un'agenzia come il Fondo Monetario Internazionale che sia in grado di applicare delle sanzioni ai paesi che non si adeguano.
La tassa dovrebbe essere applicata sull'ammontare netto della somma, simultaneamente allo scambio di valuta e le operazioni dovrebbero essere regolate dalle Banche Centrali. Una tale tassa svolgerebbe una funzione deterrente per gli investitori con orizzonti temporali molto brevi, senza danneggiare gli operatori economici che pianificano investimenti a lungo periodo. Scoraggiare le transazioni di breve periodo porterebbe ad una maggiore stabilità nei mercati finanziari e dei cambi, incoraggiando investimenti a lungo termine di beni e servizi. Darebbe, inoltre, ai Governi maggiore controllo sulle proprie politiche monetarie e sosterrebbe l'Onu e le sue varie Agenzie mediante i proventi della tassazione. Inoltre, l'introduzione di una tassazione sui movimenti di capitale, ha come effetto indotto una maggior trasparenza delle operazioni finanziarie, soprattutto di quelle speculative a breve termine.
La Tobin Tax e l'UE
Con la Risoluzione adottata il12 Ottobre 2000 a Bruxelles, in seno all'Assemblea Parlamentare Paritetica ACP/UE10 dai parlamentari di 92 paesi si chiedeva espressamente «L'instaurazione di una Tassa Tobin Internazionale per colpire i movimenti speculativi di capitale» e si chiedeva «una moratoria su qualsiasi negoziato commerciale della Organizzazione Mondiale del Commercio fino a quando non saranno accuratamente rispettati gli interessi dei paesi più poveri». Tale provvedimento rappresentava un atto politico internazionale di estrema importanza. Un'ulteriore segnale verso la proposta di una tassa come la Tobin Tax arrivava, inoltre, dal Fondo Monetario Internazionale che a fine Aprile 2000 pubblicava uno studio su un'imposta simile11.
Poiché si tratta di una misura nazionale di prelievo limitato sui capitali esteri che entrano in un Paese per riuscire a colpire solo i flussi a breve termine, quindi i flussi speculativi, che provocano danni alle economie, questa proposta implica l'attivazione di un sistema di rimborsi per gli esportatori. Dopo la crisi finanziaria che ha coinvolto Usa ed Europa, della Tobin Tax si riparla ma per sanare le finanze del Nord del mondo e non i bisogni del Sud del mondo, per cui era nata! Dal dibattito sono emersi dieci paesi favorevoli a procedere con un "nocciolo duro", la base minima richiesta dalla procedura.
Quelli apertamente contrari sono Gran Bretagna, Irlanda, Olanda, Svezia, Lussemburgo e Malta. Repubblica ceca, Romania e Slovacchia hanno espresso posizioni in movimento. In aperto favore, Germania, Francia, Austria, Finlandia, Grecia, Slovenia, Belgio, Portogallo, Spagna e Polonia (che sosterrà l'iniziativa ma non ne farà parte). L'Italia ha ricordato che il governo si è espresso più volte a favore di una tassa sulle transazioni finanziarie e che c'è "simpatia" per l'ipotesi di procedere con la cooperazione rafforzata. L'ambasciatore italiano Ferdinando Nelli Feroci ha precisato che se «l'Unione europea trovasse un'intesa su un pacchetto credibile di misure a breve e medio termine, sarebbe più facile procedere con la cooperazione rafforzata», introducendo così un elemento di condizionalità politica. Constatata l'impossibilità di procedere a 27, i paesi che vogliono andare avanti devono ora presentare formale richiesta alla Commissione Ue, che poi valuterà se ci sono le condizioni per procedere e presenterà un'iniziativa. «Il prossimo passo spetterà alla presidenza cipriota di turno della Ue», ha detto la Vestager. Cipro ha dichiarato durante il dibattito che manterrà una posizione neutrale12.
L'Italia è il primo paese dove è stata lanciata l'iniziativa "Dichiariamo illegale la povertà" per arrivare nel 2018, a 70 anni dalla "Dichiarazione Universale di Diritti dell'Uomo", ad ottenere l'adozione di una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che affermi la legittimità della messa fuori legge dei fattori che sono all'origine di una ricchezza inuguale, ingiusta e predatoria e quindi dei processi di impoverimento e di creazione dei poveri13.
Finché una sbalorditiva maggioranza di esseri umani continua a credere nel miraggio del benessere materiale, di accumulazione di cose, come via al paradiso terrestre, non cambierà mai niente... Finché non si capiscono le conseguenze di un gesto banale come accendere la luce, saremo sempre nella parte del problema, e sempre più lontani dalla soluzione. Così come si muove la natura così dovremmo imparare anche noi la legge del pendolo. Invece di aggrapparsi a modelli arrugginiti di modernità caduca, perché non alzare la testa, riempire i polmoni di aria fresca e metterei in questione sul serio? Nel tentativo di indovinare nuovi sentieri che ci possano portare fuori dalle paludi ... In questa ricerca di nuovi orizzonti, più pacifici, più dolci, più gioiosi, serve uno sforzo convinto per mettere alle spalle per sempre la macchina di guerra economica e finanziaria.
Allora rendiamo illegale la ricchezza insieme ai poveri insieme a coloro che ogni giorno pagano il prezzo più alto che noi ricchi, invece, ci illudiamo di evitare. Facciamo un'alleanza globale, ognuno laddove sta, per dimissionare dalla corsa micidiale al consumo e al materialismo, e più che rendere la ricchezza illegale, rendiamola definitivamente obsoleta14.
Note
1. Cf. G. Martirani, Nord e Sud (d'Italia, d'Europa, del Mondo), Istituto S. Pio V, Aspes, Roma 2013.
2. O. Pastré, La crise alimentaire mondiale n'est pas une fatalité, in Pierre Jacquet e Jean-Hervé Lorenzi (a cura di), Les Nouveaux Equilibres agroalimentaires mondiaux, Presses universitaires de France (Puf), Parigi, 2011.
3. Le cifre risalgono al maggio 2009, 1 euro= 655,96 franchi Cfa. Il Salario minimo intercategoriale (Smic) ammonta a 40.000 franchi Cfa.
4. J. Ziegler: "L'Ue è di un'ipocrisia senza limiti", 20 ottobre 2011. http://www.presseurop.eu/it/content/blog/1071061-jean-ziegler-l-ue-e-di-un-ipocrisia-senza-limiti.
5. Abele il secondogenito, Giacobbe il secondo gemello, Giuseppe il figlio più piccolo, Davide il figlio più piccolo, Gesù il bambino. G. Martirani, Il Drago e l'Agnello. Dal mercato globale alla giustizia universale, Paoline, 2002 (3), p. 76.
6. J. Ziegler, Le derrate alimentari, ultimo rifugio della speculazione, Le Monde Diplomatique, Febb.2011.
7. H.Flassbeck, «Rohstoffe den Spekulanten entreissen», Handelsblatt, Dusseldorf, 11 febbraio 2010. Le loro argomentazioni sono riassunte in un saggio di Joachim von Braun, Miguel Robles e Maximo Torero, «When Speculation Matters», International food policy research institute (Ifpril, Washington, 2009, in ].Ziegler, Come la finanza affama le popolazioni. Le derrate alimentari, ultimo rifugio della speculazione, Le Monde Diplomatique, Febbraio 2012. Flassbeck, che nel 1998 e 1999 è stato viceministro delle Finanze nella prima fase del governo Schroeder, attualmente è capo economista dell'UNCTAD, la Conferenza sul commercio e lo sviluppo dell'ONU che ha sede a Ginevra.
8. L. Smaghi Bini, Chi ci salva dalla prossima crisi finanziaria?, Il Mulino, Bologna, 2000.
9. C.A. Michalos, Una tassa giusta: la Tobin Tax. Tassare le operazioni finanziarie per costruire una finanza etica, Ed. Gruppo Abele, 1999; cf. anche: Dossier Manitese, Novembre 2000; C.A., Michalos, Identikit della Tobin Tax, Manitese, n. 368, Aprile 2000; M., Ponti, Tobin Tax, una richiesta di giustizia, su Manitese, n. 374, Novembre 2000. La proposta del FMI, tuttavia, ha dei precisi limiti rispetto alla Tobin Tax, che sarebbe di più ampio respiro e più nel senso di una reale economia della reciprocità, perché non comporterebbe alcun accordo internazionale, le transazioni valutarie non sarebbero colpite e il gettito non verrebbe destinato a finalità internazionali, in quanto raccolto ed amministrato esclusivamente a livello nazionale.
10. Istituzione parlamentare creata dalla Convenzione di Lomé e riconfermata in seguito all'Accordo di Cotonou, che mette insieme 77 parlamentari dei paesi ACP, Africa Caraibi e Pacifico, e altrettanti deputati europei in rappresentanza dei 15 stati membri dell'Unione Europea.
11. H.H. Zee, Retarding Short- Term Capitallnflows Through Witholdind Tax, IMF, 2000, La proposta del FMI, tuttavia, ha dei precisi limiti rispetto alla Tobin Tax, che sarebbe di più ampio respiro e più nel senso di una reale economia della reciprocità, perché non comporterebbe alcun accordo internazionale, le transazioni valutarie non sarebbero colpite e il gettito non verrebbe destinato a finalità internazionali, in quanto raccolto ed amministrato esclusivamente a livello nazionale. http://www.imf.orglexternallpubs/wp/2000/wp0040.pdf.
12. ANSA, Tobin Tax: Ue andrà avanti, ma non c'e' consenso a 27. No da Gb più 5. 'Simpatia' Italia per cooperazione rafforzata.
http://wwwc.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2012/06/22/Tobin-Tax-Ue-andra-avanti-ma-e-consenso-27_7080913.html.
13. http://monasterodeibenecomune.blogspot.it/2012/06/lancio-delliniziativa-nazionale.html
14. C.Baker, Rendere illegale la ricchezza per eliminare la povertà, Azione Nonvioienta, gennaio-febbraio 2012, Anno 49 n. 577-578, http://nonviolenti.org/doc/2012/An_01-02.12.pdf.
15. http://www.banningpoverty.org/manifesto/i-dodici-principi-dellillegalita-della-poverta.
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