II Domenica di Pasqua
At 2,42-47
1Pt 1,3-9
Gv 20,19,31
TRA FEDE E INCREDULITÀ
Viene svelata anzitutto dalla Parola odierna l'identità della domenica, quale giorno in cui ci si ritrova attorno al Risorto: infatti, come testimonia il brano evangelico, è il primo giorno della settimana ebraica che diventa il giorno del Signore. La gioia dell'incontro viene espressa apertamente dal vangelo («I discepoli gioirono al vedere il Signore») e diventa l'entusiasmo di comunicare agli altri questo evento: «Abbiamo visto il Signore!».
Entusiasmo che dovrebbe caratterizzare anche le nostre comunità cristiane, riunite ancora nel suo nome, spesso in modo rassegnato, tanto per adempiere una prassi determinata dalla legge, e non per un' esperienza sacramentale che, diventando trasformante, viene avvertita come indispensabile: «Il cristiano», scrivono i vescovi italiani, «non potrebbe più vivere senza celebrare quel giorno e quel mistero. Prima di essere una questione di precetto, è una questione di identità. Il cristiano ha bisogno della domenica. Dal precetto si può anche evadere, dal bisogno no» (Il giorno del Signore 8).
Si dovrebbero interrogare anche i presbiteri al riguardo: è molto facile, forse anche per il numero ancora un po' elevato di eucaristie da presiedere, che battano la stanca, non tenendo conto, tra l'altro, che quest'incontro, nella maggioranza dei casi, è l'unico della settimana.
L'assenza di Tommaso orienta il brano evangelico verso un'esperienza pure fondamentale ai fini della comprensione della domenica. Anzitutto il nome, che viene scrupolosamente annotato e interpretato: Tommaso è "gemello" di Cristo, a indicareo l'intensità della medesima esperienza che li accomuna. È stata richiamata anche in occasione della risurrezione di Lazzaro: «Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui"» (Gv 11,16). È alla luce di questa forte condivisione di vita che si comprende ancora meglio il rifiuto della testimonianza data dagli altri discepoli («Abbiamo visto il Signore!»), per reclamare la sua parte attiva come irrinunciabile: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi [...] io non credo».
Il rifiuto di Tommaso non è la gretta obiezione di chi è disposto a riconoscere soltanto quanto i sensi gli comunicano e neppure la più raffinata resistenza del razionalista, che riconosce solo le evidenze dimostrabili dalla sua ragione. Propriamente Tommaso esige che la morte di Gesù non venga messa tra parentesi. D'altra parte ha la pretesa d'imporre le sue condizioni, rivendicando i diritti di un assente. Tradotta nella realtà pastorale odierna, ciò che richiede rappresenta la necessità di esserci, cioè di fare esperienza personale, gemellare appunto, che ha tutta una risonanza particolare nella vita delle persone. L'ultima sua visione di Gesù era imperniata su una fisicità del tutto distrutta dalla morte. Ora, la proclamazione che egli è vivo, percepita e testimoniata da altri, pur fratelli nella fede, ha bisogno di trovare conversione nell'assente, perché si tratta di realtà da non mettere tra parentesi.
Del resto, è ciò che Giovanni stesso afferma nella prima conclusione del suo scritto: anche noi crediamo a Cristo in forza di chi ha testimoniato tutto ciò che ha raccolto nel Libro. Questo costituisce senza dubbio il riferimento assolutamente ineludibile, ma non per una adesione astratta, ideale, ma calata nella realtà del vissuto, implicando tutta la corporeità, che si spinge a vedere l'Altro e gli altri nell'esperienza eucaristica. Altrimenti quest'ultima arrischia d'essere un raduno di "fantasmi", di sconosciuti e Cristo stesso è percepito come tale, perché accostato solo per necessità, per quanto ci è stato tramandato senza mai provare personalmente l'incontro con lui, pur nella mediazione sacramentale.
La vicenda di Tommaso si spinge oltre, sempre nel medesimo giorno, l'ottavo (quindi di domenica in domenica), che appare ormai "stabilito" nella tradizione ecclesiale. Ed è il raggiungimento della beatitudine di coloro che sono invitati a scegliere tra fede e incredulità, tra l'essere incredulo o credente, nel clima della pace, che il Risorto trasmette ai suoi quale frutto della sua Pasqua. Pur restando attaccata alla verità storica, ora la vicenda di Gesù di Nazaret rimane solo per chi vuole aderire a lui sulla strada della fede, cioè della fiducia in ciò che ci hanno trasmesso i suoi testimoni. Questa è la via della Chiesa, quella che percorre ogni credente, se vuole diventare ed essere tale: il rischio di passare dalla parte degli increduli è sempre possibile, se non si rimane ancorati alla Scrittura e se non si continua a manifestare la vita in lui. La stanchezza delle nostre comunità ne è la costante conferma, soprattutto quando, secondo il senso pratico di Tommaso, si trascura di mettere il dito nelle piaghe dell'umanità, per riconoscervi tuttora quelle di Cristo.
La pagina del libro degli Atti, in questo periodo pasquale, costituisce l'icona autentica del vivere comunitario, contrassegnato, in questa domenica, dai quattro cardini: l'insegnamento degli apostoli, la comunione, lo spezzare il pane e le preghiere. Il confronto con simile ideale, da una parte ci spinge a continua conversione per conformarci sempre più ad esso; dall'altra, a vivere con intensità nell'amore di Cristo, a noi comunicato nell'esperienza eucaristica, perché, come ci ricorda la catechesi di Pietro, pur senza vederlo crediamo in lui ed esultiamo di gioia indicibile e gloriosa.
VITA PASTORALE N. 3/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
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