III Domenica di Pasqua
At 2,14a.22-33
1Pt 1,17-21
Lc 24,13-35
E SERVIRLO NELL'UOMO
L'icona di Emmaus domina questa terza domenica di Pasqua, divenuta tanto familiare nell'esperienza cristiana, da costituire senza dubbio una delle pietre miliari della fede celebrata, in molteplici circostanze della vita. L'episodio in sé non è molto rilevante, tanto meno miracolistico, ma piuttosto si colloca dal versante interpretativo della vita in Cristo. Davvero si capisce che, senza l'incontro con lui, si vive "da stranieri" in questo mondo, come ci ricorda l'apostolo Pietro nella seconda lettura. Anzitutto va evidenziato il rilievo dato all'essere in cammino e al rinvenire in questa sequenza un momento di sosta. Entrambe le circostanze sono contrassegnate da un'esperienza particolare: l'uno, il cammino, dalla Parola; l'altra, la sosta, dalla frazione del pane. Rilettura questa, in chiave simbolica, dell'esperienza eucaristica, che ritmerà costantemente l'evento celebrativo.
La prospettiva essenziale del momento di cammino è dato dal dialogo, che Gesù, in veste di anonimo accompagnatore di questi due discepoli, tiene vivo iniziando a provocarli sul tenore del loro discorso. Qui non si è posti di fronte a un'esposizione articolata, come quella presentata dal brano degli Atti, che compare come prima lettura, dove la citazione del Salmo 16/15 viene a confermare l'evento della risurrezione/glorificazione di Cristo. In questo frangente è la modalità della conversazione a impreziosire il discorso, centrato su una figura conosciuta dagli interlocutori, ma tenuta anonima dal protagonista. Anche nell'attuale liturgia della Parola la centralità viene garantita da Cristo, il quale, di volta in volta, va riscoperto nella sua figura di Messia: «Cominciando da Mosè e dai profeti».
La struttura attuale del Lezionario, almeno nella sua scansione festiva, è appunto elaborata secondo simile modalità. È quanto mai fondamentale che la Parola, prima di giungere all'agognata attualizzazione, non venga meno alla sua essenziale e irrinunciabile dimensione di annuncio. È facile, infatti, prendere abbagli come i due di Emmaus: «Noi speravamo». Le loro parole tradiscono una visione che Gesù non aveva per nulla appoggiato, ma che essi non avevano mai messo in discussione, e cioè un'attesa messianica di tipo politico, di potere e di successo. Il tutto ammantato di una certa religiosità ispirata alla vicenda dell'esodo, ma sostanzialmente estranea a quanto Gesù ha inteso proclamare. I due viandanti hanno definito "forestiero" il loro compagno di viaggio, ma indubbiamente i "forestieri" sono proprio loro nei confronti di Gesù. Per questo il divino pellegrino li richiama alla sua autentica identità: «E cominciando dai Profeti».
Non vanno trascurate neppure le conseguenze interiori/spirituali (non solo emotive!) di questo dialogo: anzitutto il secco rimprovero di Gesù: «Stolti e lenti di cuore». Le Scritture appaiono, pertanto, quale aiuto divino per penetrare non solo la conoscenza del mistero, ma anche della propria esistenza, riletta alla loro luce. Un richiamo forte e stringente, che attualizzi la Parola nella vita di ciascuno e della comunità, cercando di trasformarla. È la tipica funzione della spada, già prospettata dallo stesso evangelista nel tempio (cf Lc 2,35), oltre che dalla lettera agli Ebrei (cf Eb 4,12). E, insieme a questo aspetto, anche l'altro, confessato a posteriori, che ha ispirato il canto al Vangelo modulato in forma orante: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore?». Sicché in queste affermazioni viene descritta la vera fruttuosità della Parola nella celebrazione, quale risposta alle provocazioni divine e quale risultato più auspicato nella fatica omiletica.
Il momento di sosta nel cammino è più stringato nella narrazione e contrassegnato dalla richiesta accorata dei due amici rivolta all'ignoto pellegrino: «Resta con noi Signore...». Potesse essere sempre questa la vera "preparazione" all'esperienza tipicamente eucaristica! Il "vuoto" dell' esistenza è colmato dalla permanenza di Cristo in mezzo a noi, avvertita come necessaria soprattutto nell'ultimo scorcio del giorno terreno. Ed è a questo punto che avviene ciò che nessuno mai si sarebbe aspettato: «Si aprirono loro gli occhi". Da segnalare che questo verbo in verità è al passivo («furono "spalancati" loro gli occhi»), per indicare la prioritaria azione divina del riconoscimento della presenza di Cristo in quella gestualità divenuta ormai familiare, quella eucaristica, che già era stata loro consegnata (cf Lc 22,19).
Ora il ravvedimento diviene visione aperta, ma, come per l'episodio di Tommaso, pur coinvolgendo il corpo, trascende la dimensione fisica/materiale, come viene immediatamente segnalato: «Sparì dalla loro vista». Non è più necessario vederlo: i due sono stati educati a comprendere che egli è sempre con loro ed è presente nel segno del pane spezzato, della Parola ascoltata, del cammino condiviso.
Il risultato complessivo dell'incontro si evince dell'entusiasmo con cui i due vanno ad annunciare agli altri simile esperienza. È tracciata qui la sintesi di ogni programma pastorale, che si aggancia all'efficacia di ogni celebrazione eucaristica: vedere Cristo e servirlo in ogni uomo, soprattutto sofferente, perché la vita di tutti venga trasformata. La veridicità del rito dello spezzare il pane permane irrinunciabile, perché tutto ciò capiti.
VITA PASTORALE N. 4/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
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