Il diaconato in Italia n° 181
(luglio/agosto 2013)
CONFRONTI
Le gioie e le attese di questi uomini
di Francesco Giglio
Mi è sempre piaciuto l'invito evangelico ad «essere sempre lieti nel Signore». Un invito che ci spinge a scoprire il senso vero della gioia che per uno che crede in Cristo non è l'assenza del dolore, delle sofferenze, dei tanti conflitti e dei tanti problemi. È soprattutto aver scoperto che solo Gesù può donarci la pace del cuore e quindi la gioia interiore. La gioia, quindi, è il frutto dello Spirito, che è dono del Signore crocifisso e risorto che non può essere personale e privato ma deve essere condiviso con i fratelli e le sorelle che sono il nostro prossimo. La nostra gioia deve essere come quella provata dagli apostoli quando videro in mezzo a loro il Signore risorto o come quella della donna del Vangelo che trova la moneta perduta o di quello che vende tutto per comprare un campo dove è sepolto un tesoro.
Così cinquant'anni fa, il Concilio Ecumenico Vaticano II, fortemente voluto da Papa Giovanni XXIII, ci indicò la via e ci suggerì i metodi per realizzare un processo di rinnovamento. I padri conciliari pensarono ad un documento che servisse a presentare al mondo contemporaneo il nuovo volto della Chiesa che da luctus et angor (tristezze e angosce) si mutasse in gaudium et spes (gioie e speranze). Di colpo il mondo scoprì che la Chiesa voleva essere la compagna di viaggio degli uomini e delle donne del nostro tempo e soprattutto parlare loro con un linguaggio comprensibile. Non più una Chiesa chiusa in difesa, arroccata sui suoi privilegi, ma la mater et magistra (la madre e la maestra che come il fondatore è esperta in accoglienza e umanità). Papa Giovanni, all'apertura del Concilio ebbe a dire «ci sono quelli che vedono che tutto va male, e invece noi pensiamo che ci sono tante cose valide e positive».
Il saggio Pontefice aggiungeva alla novità del Concilio una ventata di speranza che ha aperto, anzi ha spalancato le porte del mondo all'annuncio gioioso di Cristo. Allora ecco, a distanza di cinquant'anni riscoprire tutto il valore profetico di quella meravigliosa "Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo" che si apre con quei due stupendi vocaboli gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono sono le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di più genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Non si sarebbe potuto trovare parole più appropriate per un documento che voleva riaprire un dialogo sereno e fraterno con l'intera umanità. Questo dialogo non è fatto solo di parole, ma anche di gesti e quindi la Chiesa ed i suoi ministri, Diaconi compresi, non possono rimanere alla finestra a guardare o farsi coinvolgere dai "profeti di sventura" che notano nel sue interno solo crisi di identità e sfiducia nel futuro, e non può chiudersi in uno spiritualismo disincarnato dalla realtà.
Ci ricorda il papa emerito Benedetto XVI nella sua Lettera apostolica Porta Fidei al n° 13 «che nel corso dei secoli, uomini e donne il cui nome è scritto nel Libro della vita (cf. Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell'esercizio dei propri carismi e ministeri ai quali furono chiamati». La Chiesa, ancora oggi ed in questo momento particolare, in cui il mondo vive un disagio causato dalla mancanza di lavoro, di certezze, di valori e anche di difficoltà economiche, ci ricorda che urge l'obbligo di farci prossimo di ogni persona e di rendere servizio con i fatti a chi è in difficoltà. In poche parole chiede ai suoi figli, ed in particolare ai suoi ministri sacri di essere pronti, disponibili e coinvolti nella carità. La Chiesa e quindi i credenti, ed in modo particolare i Diaconi, devono sentire l'urgenza di calarsi nella storia dell'uomo contemporaneo e rimboccarsi le maniche per condividere e comprendere la reale situazione in cui tanti fratelli e sorelle vivono ai margini e nelle periferie delle nostre città e spesso anche delle nostre comunità parrocchiali per divenire gli uomini dell'accoglienza e della speranza.
La vita dei cristiani conosce l'esperienza della gioia e della sofferenza e perciò, come Chiesa, dobbiamo calarci nell'oggi della storia dell'uomo e di tutto l'uomo altrimenti il nostro non è un discepolato ma un tradimento. Siamo chiamati anche noi a percorrere le strade del mondo in compagnia di quanti hanno bisogno del nostro amore, della nostra vicinanza, ma soprattutto debbono vedere in noi e nel nostro generoso impegno il vero volto della Chiesa di Cristo, che pur vivendo momenti difficili, continuamente si rinnova.
Una Chiesa che è parte integrante del mondo e che di questo mondo vuole essere l'anima, la coscienza e lo strumento che attraverso le gioie e le speranze, si affida al suo Divino Maestro per essere la comunità visibile del suo amore e della sua misericordia e nello stesso tempo segno della riconciliazione definitiva con il Padre. Consapevoli, come siamo, che da soli non possiamo "fare nulla", affidiamoci al Signore ed a lui chiediamo di aprire i nostri cuori per sentire le necessità di chi soffre, di ritrovare il suo volto nel volto del fratello e di sentire il suo amore in coloro che non hanno niente, di camminare con chi non ha nessuna meta per diventare pellegrini e forestieri in questo mondo e seguirlo senza remore e paure. Chiediamo tutto ciò per essere la Chiesa "sposa di Cristo" che qualcuno saggiamente ha definito: «l'anima, la coscienza e il lievito del mondo».
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