Anno A – 8a domenica del Tempo Ordinario


Enzo Bianchi
GESÙ, DIO-CON-NOI, COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Il vangelo festivo (Anno A)
Edizioni San Paolo, 2010


Anno A – 8a domenica del Tempo Ordinario

• Isaia 49,14-15 • 1 Corinzi 4,1-5 • Matteo 6,24-34

NON PREOCCUPATEVI!

Proseguendo nella lettura del discorso della montagna, sostiamo oggi su una pagina dai toni fortemente poetici, carica della capacità contemplativa di Gesù nei confronti della realtà e, in particolare, della natura; una pagina che, proprio per questa caratteristica, rischia di non essere compresa in verità.

È innanzi tutto importante leggere con attenzione le parole con cui il nostro brano si apre: «Nessuno può servire due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire Dio e mammona», la ricchezza. Con grande intelligenza Gesù comprende ed esprime che la ricchezza, l'accumulo di beni può diventare facilmente un dio, un idolo al quale gli uomini alienano se stessi e sacrificano la vita degli altri. Non si dimentichi, in proposito, che il termine «mammona» deriva dalla stessa radice ebraica che indica il credere, l'adesione fiduciosa del credente al Signore. Sì, la ricchezza chiede fede-fiducia in sé, fino ad assumere il volto di una illusoria sicurezza contro la morte, di una presenza potente falsamente in grado di saturare i bisogni più veri che abitano il cuore dell'uomo.

Per questo Gesù poco prima aveva detto: «Non accumulate tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano... Perché dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19.21). Ecco dunque la domanda essenziale per ciascuno di noi: dove sta il mio cuore? Qual è per me la vera ricchezza? I beni sono strumento di relazione e di condivisione, di comunione con gli altri, oppure strumento di egolatria? Dobbiamo esserne consapevoli: quando mettiamo la fiducia nei nostri beni, finiamo inevitabilmente per soffocare in noi la disponibilità per il regno di Dio, come avviene per l'uomo ricco e triste, il quale preferisce mettere la propria identità nei molti beni che possiede piuttosto che nella relazione con il Signore (cfr. Mt 19,22).

«Perciò io vi dico...»: è su questo sfondo che vanno lette le successive affermazioni di Gesù, scandite dall'insistente esortazione a non preoccuparsi, a non affannarsi. Solo chi ha il cuore libero da presenze ingombranti - riassunte e simboleggiate nella fissazione di chi si identifica con ciò che possiede - può trovare nel Signore il suo tesoro, può fare della fiducia in lui la fonte del proprio vivere e dunque l'arma contro ogni preoccupazione. Cos'è infatti la preoccupazione? È l'affannarsi, l'assumere quell'atteggiamento ansioso di chi pensa che tutto dipenda da se stesso e dal proprio agire: e così, accecato da un'insaziabile brama, si convince di trovare la propria pace nell'accumulare sempre di più per se stesso, cadendo preda di quelle che Gesù definisce «la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza, che soffocano la Parola» (Mt 13,22). Chi agisce così è una persona «di poca fede», dice lapidariamente Gesù, con un aggettivo che nel vangelo secondo Matteo risuona molte volte come rimprovero sulle sue labbra (cfr. Mt 8,26; 14,31; 16,8; 17,20).

Chi invece si abbandona fiduciosamente al Dio narrato da Gesù Cristo, non si inquieta, non si preoccupa perché si riconosce destinatario dell'amore di Dio: il Padre infatti «sa ciò di cui abbiamo bisogno» e, come si prende cura degli uccelli del cielo e dei gigli del campo, così «fa molto di più per noi». E sia chiaro: Gesù non fa l'elogio dell'imprevidenza o del provvidenzialismo irresponsabile. No, egli invita i suoi discepoli a impegnarsi, a lavorare, ma con quell'atteggiamento sereno di chi è certo che agli occhi di Dio «la vita vale più del cibo e il corpo più del vestito»; di chi non mette la sua fede nel proprio agire da protagonista ma, di fronte alle inevitabili preoccupazioni che la vita porta con sé, non se ne lascia travolgere ma «getta in Dio ogni affanno» (cfr. 1Pt 5,7); di chi, in estrema sintesi, «cerca prima il regno di Dio e la sua giustizia e riceve tutto il resto in sovrappiù».

E la misura della fede - conclude Gesù con un sapiente e consolante realismo - è l'oggi, l'oggi di Dio: «Non preoccupatevi del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena». Possiamo dunque fare nostre le parole con cui Charles de Foucauld commentava questa splendida pagina: «Non preoccupiamoci per il futuro, ma in ogni istante della nostra vita facciamo ciò che la volontà di Dio ci chiede nell'attimo presente ... Così non viviamo più in funzione di noi stessi, ma in funzione di Dio, non contando più su di noi né su alcuna creatura, ma abbandonandoci interamente a Dio e aspettando tutto da lui solo».


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