Presentazione del Signore (IV dom. del Tempo ord./A)

ANNO A - 2 febbraio 2014
Presentazione del Signore (IV dom. del Tempo ord./A)

Ml 3,1-4
Eb 2,14-18
Lc 2,22-40

IL TEMPIO, LUOGO
DI RICONCILIAZIONE

Quest'anno la IV domenica del tempo ordinario cede il posto alla festa della "Presentazione del Signore", chiamata in greco Hypapanté, cioè "incontro" di Cristo con Simeone e Anna, secondo il racconto di Luca. La riforma del Vaticano II ha restituito a questa celebrazione la caratterizzazione di "festa del Signore", che aveva originariamente. In Occidente venne introdotta verso la metà del secolo VII con il titolo di "Purificazione di santa Maria". La si chiama anche "Candelora", perché vi si svolge la più antica delle processioni romane, a carattere penitenziale, in riparazione delle nefandezze che avevano luogo durante una festa pagana situata in quella data. La solenne benedizione delle candele si trova per la prima volta nelle fonti liturgiche del X secolo, ispirata al versetto del cantico di Simeone: «Luce per illuminare le genti...».

Il rivelarsi di Cristo nel tempio di Gerusalemme culmina nel riconoscimento del santo vegliardo Simeone, che prorompe nel cantico di addio alla vita, fatto proprio dalla Chiesa ogni giorno nell'ora conclusiva di Compieta, in cui si ringrazia Dio perché i nostri occhi hanno visto quella salvezza, da lui preparata davanti a tutti i popoli.
Si tratta della continuazione tematica della festa dell'Epifania, che nel noto episodio dei magi celebra l'universalità della salvezza, incarnata in queste peculiari figure di sapienti stranieri. È nel tempio, luogo per eccellenza del culto, che avviene tale incontro: è sintomatico, in quanto esprime la volontà del Signore di fare del culto un momento in cui egli si rivela "incontrando" il suo popolo.
Questa esperienza si esprime bene fin dai riti iniziali di ogni celebrazione, che hanno lo scopo di formare l'assemblea: infatti, ora è Cristo che viene in mezzo a noi per essere, secondo la celebre espressione profetica, un salvatore potente (cf Sof 3,17).
La sua manifestazione, però, non è fine a sé stessa, ma per attuare anche l'incontro tra i fratelli nel nuovo tempio del Signore, che è la Chiesa, particolarmente nel giorno di domenica. Come prospetta il celebre documento Cei in proposito, «le persone che ci vivono accanto avranno il loro vero volto, dopo che le avremo incontrate "alla festa" e avremo imparato a guardarle come fratelli e sorelle» (Il giorno del Signore, 17).

Nei testi liturgici di questa festività, all'antifona al Magnificat dei primi vespri, traspare un'altra sottolineatura, per nulla secondaria. Ricalcando l'affermazione evangelica che Simeone accolse tra le braccia il bambino Gesù e benedisse Dio, si proclama: «Il vecchio portava il bambino e il bambino sosteneva il vecchio». Si focalizza così un'altra attenzione tipica del momento cultuale e di vita di un popolo, che incontra il Signore nel tempio per questa finalità: come afferma la seconda lettura, Cristo «non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abrama si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli [...]. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova».
Il momento vissuto nel tempio, diventa, in altri termini, la continua ed efficace verifica di come nell'esistenza quotidiana ci si aiuta, sostenendosi a vicenda. Certo, non va dimenticato che tutti devono aiutare gli altri, soprattutto i più deboli. Tra le "presenze reali" di Cristo il Catechismo della Chiesa cattolica annovera pure quella nei poveri, nei malati, nei prigionieri (cf n. 1373), in rispondenza al criterio fontale del suo giudizio finale: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). La veridicità del culto nel tempio sta appunto nella capacità di tale riconoscimento di Cristo nel volto del fratello.

Un ulteriore significato di questo episodio viene offerto dalla prima lettura, che parla del "messaggero" che entra nel tempio del Signore per purificare i figli di Levi, cioè gli addetti al culto. Variamente interpretato, nel contesto liturgico il "messaggero" è senza dubbio riconoscibile nello stesso Cristo, che entrerà nel tempio per purificarlo, adempiendo così tanto questa profezia, quanto quelle di Isaia (1,10ss) e Geremia (7,1ss) al riguardo. Il tempio deve essere puro, cioè non inficiato da interessi commerciali, ma anche luogo di pace e di riconciliazione, che raduna tutti i popoli trasformando le armi in strumenti di lavoro (cf Is 2,2ss). Già nelle testimonianze liturgiche più antiche, relative all'eucaristia, si segnalava lo scambio del segno di pace, che avveniva appena prima della comunione, in ottemperanza allo stesso dettato evangelico (cf Mt 5,23). Non è difficile rilevare pure, alla luce di questa tradizione, il valore sociale del riunirsi nel tempio, per divenire, come Cristo, artefici di concordia.

Infine il tempio è il luogo per eccellenza dell'offerta sacrificale, che costituisce il cuore dell'eucaristia. Quel bambino, ora "presentato al Signore" nel tempio di Gerusalemme, al termine della missione si offrirà al Padre sull'altare della croce per la salvezza dell'umanità. Il tempio non sarà più il luogo dell'oblazione degli animali, ma di se stessi, per adempiere la volontà di Dio che, come spada, trafigge il cuore dei fedeli, così come quello di Maria. Da qui la lode che, alla stregua di quella della longeva Anna, sale a Dio dall'immenso tempio dell'umanità, quale sacrificio a lui gradito, da sempre.

VITA PASTORALE N. 1/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

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