III Domenica del Tempo ordinario (A)

ANNO A - 26 gennaio 2014
III Domenica del Tempo ordinario

Is 8,23b-9,3
1Cor 1,10-13.17
Mt 4,12-23
LA CONVERSIONE
PER GODERE DEL REGNO

La scomparsa di Giovanni Battista, presentata dall'evangelista come una "consegna" pari a quella di Cristo nella passione (il verbo greco è il medesimo), segna l'inizio della missione di Gesù, caratterizzata come un "ritirarsi in profondità" nelle terre a ridosso dei pagani. La segnalazione di quelle sconosciute località (Zabulon e Neftali), avvalorata dal riferimento al profeta Isaia, è più che altro funzionale all'epifania luminosa di Cristo a tutti i popoli, senza esclusione alcuna, superando i facili pericoli nazionalistici. La citazione esplicita del brano profetico, operata dalla prima lettura, evidenzia pure la consistenza storica di simile luminosità, apportata dalla venuta di Cristo: si tratta di spezzare il giogo della schiavitù e di moltiplicare la gioia, che scaturisce dalla liberazione da qualsiasi male. Si è di fronte a un'indicazione prospettica per la missione della Chiesa di tutti i tempi, perché scorga e annunci sempre quest'opera divina ovunque e comunque si realizzi.

Il contenuto iniziale dell'annuncio evangelico, comune anche a Marco (cf Mc 1, 15), combacia con la volontà di cambiare vita ("convertitevi!"), senza alcuna aggiunta rituale, alla stregua del Battista. Semplicemente per evidenziare che il Regno dei cieli (cioè il potere con cui Dio si rivela) si rende presente nella storia, e ciò rallegra l'umanità. La conversione, allora, è la garanzia che permette ad ogni uomo di poter godere del Regno e dei suoi valori, premessa indispensabile al discepolato di Cristo. Infatti solo se l'uomo si lascia plasmare da Cristo si volge a lui nella conversione, seguendolo pure sulla strada che gli viene proposta. Altrimenti arrischia fortemente di lasciarsi abbagliare dai tanti successi e dalle molteplici tentazioni fuorvianti, che lo trascinano altrove.

Il parallelismo della chiamata dei primi discepoli evidenzia poi che questo episodio troverà in seguito continua attuazione, facendo di tale frangente quasi una mitizzazione, come tante volte accade nella predicazione. Ciascuno di noi ha la sua storia, che è totalmente inedita e mai ripetitiva, incanalandosi però nella comune condizione di sentirsi chiamati ogni giorno da Cristo a seguirlo, in forza dell'essere in lui una sola realtà dal giorno del battesimo. Quest'azione dai risvolti universali trova esplicitazione nell'infinità delle situazioni umane, che vanno sempre interpretate.

La specificità di simile chiamata viene espressa dal diventare "pescatori di uomini": cioè, come si fa per i pesci, raggiungere la capacità di saper estrarre dall'acqua gli altri, sottraendoli dal mare, simbolo del male, e quindi salvarli. Un compito improbo, ma fondamentale, che ha come premessa irrinunciabile quello di "seguire" il Signore, di configurarsi a lui, alla sua logica di vita, che surclassa la nostra, debole e fragile.
Il "lasciare" riceve, allora, una motivazione profonda, in quanto è in vista di continuare attivamente la missione di Cristo a favore degli uomini. Anche gli affetti naturali, sintetizzati nella figura patema, vanno contemperati in rispondenza alle esigenze della missione, senza pervenire a indebite radicalizzazioni, troppe volte prospettate come "naturali".
È chiaro che tale missione comporterà pure aspetti concreti e non differibili, essendo gli operatori appartenenti a pieno titolo al genere umano, e non angeli. Tuttavia la priorità è per gli altri, a loro favore. Anche i ministeri, come il presbiterato, che nella letteratura ascetica molto ha attinto da questa pagina, avrebbe bisogno di essere ricondotto a simili coordinate essenziali, che lasciano ampio margine alla libertà personale nella gestione di un impegno senza dubbio trasformante.

Nella prospettiva della missione va pure recuperata l'esigenza dell'unità, assolutamente fondamentale per la riuscita del compito stesso dei chiamati. La divisione denunciata dall'Apostolo, infatti, è quanto mai veritiera: lo schieramento dei fedeli a favore di uno o dell'altro missionario, quasi che questi costituissero dei personaggi politici che catturano chi li segue, esaltando il proprio successo personale. L'interrogativo dell'Apostolo risulta perentorio: è forse diviso Cristo? Paolo non prende parte alle contese dei Corinzi, non parla dei motivi per cui si formano i gruppi. Di fronte ai disordini preferisce offrire a tutti una riflessione centrata sulla teologia della croce, mettendone in luce i principi fondamentali e lasciando ad essa il compito di illuminare la situazione della comunità: uno splendido esempio d'azione pastorale, per non perdere nessuno.

Questa pagina viene proclamata al termine dell'annuale Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani e non smette, quindi, di lasciar trasparire tutta la sua autorevolezza. La perorazione apostolica all'unità risuona così con inaudita e urgente attualità di fronte agli infiniti particolarismi di cui ci si va arricchendo giorno dopo giorno, alimentati dalle gelosie e dai battibecchi.
La celebrazione eucaristica odierna, illuminata dalla Parola proclamata, diventa in tal modo la risposta concreta al pressante invito dell'Apostolo: «Vi esorto, fratelli, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire». Certo, tale perfezione si attuerà solo alla fine dei tempi. Intanto, però, non deve mancare l'impegno, che scaturisce da ogni celebrazione, per affrettarla il più possibile.

VITA PASTORALE N. 1/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

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