Enzo Bianchi
GESÙ, DIO-CON-NOI, COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Il vangelo festivo (Anno A)
Edizioni San Paolo, 2010
• Isaia 11,1-10 • Romani 15,4-9 • Matteo 3,1-12
Se domenica scorsa il vangelo ci chiedeva la capacità di vigilare, cioè di essere consapevoli, di predisporre tutto per accogliere la venuta nella gloria del Signore Gesù, oggi siamo invitati a prepararci a questo evento mediante le parole di Giovanni il Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli si è avvicinato!».
Per tutti i cristiani all'inizio del vangelo c'è e sempre ci sarà Giovanni il Battista, il precursore di Gesù nella vita come nella morte, colui che riassume in sé l'Antico Testamento e lo unisce al Nuovo. Egli è capace di una straordinaria unità tra predicazione e vita, tra dire e fare: chiede di preparare nel deserto una strada al Signore e lo fa recandosi egli stesso nel deserto. Giovanni ascolta e mette in pratica la Parola senza alcuno scarto, e così nella sua forma di vita riappare la profezia che da secoli taceva in Israele. Ecco perché l'evangelista scrive: «Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!" (Is 40,3)».
Il movimento di Giovanni verso il deserto della Giudea suscita in risposta un movimento da parte delle folle che, attratte dalla capacità di quest'uomo di fare la verità e dunque dalla sua credibilità, accorrono «confessando i loro peccati e facendosi immergere da lui nel fiume Giordano». La confessione dei peccati è il primo passo nel cammino della conversione, del ritorno a Dio con tutto il cuore, la mente e le forze (cfr. Dt 6,5): solo riconoscendo con realismo le proprie cadute ci si può accostare con sincerità al «battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc 1,4) praticato da Giovanni, immersione che richiede di morire all'uomo mondano per rinascere a vita nuova come veri figli di Dio e fratelli di tutti gli uomini.
E il segno concreto dell'efficacia di tale immersione consiste nella capacità di «portare il frutto della conversione», facendo della propria vita una strada per accogliere il Veniente. Non c'è infatti nulla di peggio che trasformare un rito in una garanzia della salvezza, come se essere installati in un'appartenenza religiosa o ecclesiale ci esimesse dal praticare l'amore e la giustizia. Giovanni è assai netto in proposito e apostrofa duramente quanti trasformano il suo battesimo in una scusa per sfuggire una volta di più all'incontro autentico con il Signore: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? Non crediate di poter dire: "Abbiamo Abramo per padre". Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre!». Poi ricorda con chiarezza le esigenze del Regno: «Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco». È dai frutti che si riconosce la qualità dell'albero, dirà Gesù (cfr. Mt 7,15-20)...
Infine Giovanni pone la conversione alla luce della venuta del Messia Gesù: «Colui che viene dietro a me è più forte di me, io non sono degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco». Lungo tutta la sua vita Gesù ha «battezzato» uomini e donne nello Spirito santo, li ha immersi nello Spirito che è l'amore e la remissione dei peccati, e così farà anche alla fine dei tempi: allora il suo giudizio sarà la nostra purificazione nel fuoco dell'amore, la nostra immersione totale in quello Spirito che ci convertirà definitivamente, donandoci la piena comunione con Dio. Sì, la venuta del Signore nella gloria avverrà nello stesso Spirito con cui sulla terra egli ha chiamato a conversione e ci chiederà di lasciarci perdonare i nostri peccati. Ma noi desideriamo quel giorno al punto da affrettarlo oggi con la nostra conversione (cfr. 2Pt 3,12)? Siamo capaci di produrre già qui e ora frutti di questa conversione, frutti di amore che, in quanto tali, non avranno mai fine?
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