Enzo Bianchi
GESÙ, DIO-CON-NOI, COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Il vangelo festivo (Anno A)
Edizioni San Paolo, 2010
• Isaia 2,1-5 • Romani 13,11-14a • Matteo 24,37-44
Inizia oggi il tempo di Avvento, «sacramento» dell'attesa di quell'evento che costituirà il compimento della storia: la venuta nella gloria del Signore Gesù, del Figlio dell'uomo, il Giorno in cui sarà finalmente instaurato quel regno di giustizia e di pace che Gesù ha annunciato e preparato con la sua vita, morte e resurrezione. Sì, «Gesù Cristo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti»: se la nostra fede non contenesse questa promessa di Dio e non ci aprisse a questa speranza, noi cristiani saremmo da compiangere più di tutti gli uomini (cfr. 1Cor 15,19)...
Nella pagina del vangelo secondo Matteo che meditiamo, Gesù mette in guardia i suoi discepoli su come prepararsi a quel giorno. Egli parte da un'affermazione cruciale: «Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36). Questa prospettiva non vuole scoraggiarci; al contrario, essa può infondere in noi la certezza che il Padre, nel suo amore per l'umanità e per il creato, prepara quell'ora e la rivelerà al momento opportuno. Animati da questa fiducia, più forte degli eventi che sembrano contraddirla, ascoltiamo dunque le parole del Signore.
Egli istituisce un parallelo tra il diluvio, che sconvolse la quotidianità ripetitiva della vita dei contemporanei di Noè (cfr. Gen 6,5-9,17), e la venuta del Figlio dell'uomo: «Come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo». «Non si accorsero di nulla»: la generazione di Noè non è più malvagia di altre, ma la sua colpa consiste nella mancanza di consapevolezza, di discernimento e di attesa. Sull'esempio di Noè, appartenente a quella generazione eppure capace di un'attiva responsabilità, siamo dunque chiamati a discernere il tempo che viviamo, ad aderire con intelligenza alla nostra realtà personale e alla storia in cui siamo collocati. Dobbiamo scorgere nell'oggi i segni che anticipano il Giorno del Signore, e dobbiamo farlo subito, perché poi non ci sarà più tempo: «Allora due uomini saranno nel campo, uno sarà preso e l'altro lasciato»...
Solo chi vive questa «consapevolezza del tempo» (cfr. Rm 13,11) può accogliere il monito di Gesù: «Vegliate, vigilate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà». Il cristiano dovrebbe essere per definizione una persona vigilante, attenta, tesa verso la meta del suo cammino: l'incontro con il Signore Veniente. E la vigilanza richiede una grande capacità di preghiera e di lotta interiore per non essere intontiti, in balìa di falsi affanni, preda dello stordimento (cfr. Lc 21,34-36). In altre parole, il credente è chiamato a conoscere l'oggi a partire dalla venuta del Signore e dalla sua dimensione di ignoto, descritta da Gesù con parole che si sono impresse nella mente dei suoi discepoli: «Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa» (cfr. 1Ts 5,2-4; 2Pt 3,10; Ap 3,3). Da esse discende l'ultimo sintetico avvertimento di Gesù: «Siate pronti, perché nell'ora che non pensate, il Figlio dell'uomo viene». Essere consapevoli, vigilare, essere in attesa: tutto ciò è una questione d'amore per Gesù Cristo, di adesione a lui, l'unico Signore delle nostre vite. Noi cristiani dovremmo essere quelli che «amano la venuta del Signore Gesù Cristo» (2Tm 4,8) perché «amano lui, il Signore, senza averlo visto» (1Pt 1,9) e dunque desiderano che egli venga al più presto. In questo senso è più che mai attuale la domanda di Pierre Teilhard de Chardin: «Cristiani, incaricati di tenere viva la fiamma bruciante del desiderio, cosa ne abbiamo fatto dell'attesa del Signore?».
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