Ecco, manda me



Il diaconato in Italia n° 180
(maggio/giugno 2013)

DISCERNIMENTO


Ecco, manda me
di Francesco Giglio

Nell'accogliere l'invito del Signore ad uscire dalla nostra terra ed andare dove Lui ci chiama, non dobbiamo chiederci dove dobbiamo andare, ma chiedere a Dio di mostrarci la via. È necessario quindi capire, che quando Egli chiama, noi dobbiamo rispondere «ecco manda me», e quando abbiamo capito che Egli ci chiama a lavorare nella Sua vigna, dobbiamo, prima di seminare, arare il terreno. Per questo siamo "chiamati"; per questo dobbiamo necessariamente riflettere e comprendere appieno il senso ed il significato di alcuni verbi.
Accogliere: significa credere nel Verbo incarnato e cioè in Gesù il Cristo e quindi proclamare che Egli è il «Verbo del Padre». Giovanni nel suo Vangelo parla di questo "credere"come di un "vedere" non nel senso di una materialità visiva ma di un "vedere" con gli occhi del cuore, con gli occhi di un amante. Chi crede, vede ciò che gli altri non possono vedere e chi vede contemplando, entra nel mistero della vita divina che il Verbo è venuto a portarci. Occorre in questo nostro tempo in cui la scienza tende a rassicurare l'uomo e a dargli l'illusione di possedere certezze assolute e definitive, saper recuperare la "vista del cuore" che solo l'amore può dare.
Dobbiamo diventare contemplativi, perché solo così possiamo salvare il mondo. Per Giovanni accogliere-credere significa vedere ed accogliere la Persona del Verbo: «a quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel Suo Nome, i quali non da sangue né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13). Siamo chiamati quindi a rientrare in noi stessi per meglio comprendere la vera essenza della nostra vita. Siamo figli amati dal Padre, oltre ogni razionalismo sterile, oltre ogni materialismo dei nostri tempi ed è bello vedere con gli occhi del cuore. E bello sapere che il nostro Dio è un «Dio con noi» e che nessuno può essere contro di noi.
Custodire: è l'atteggiamento di chi, avendo scoperto qualche cosa di prezioso, lo vuole proteggere vegliandolo: «si custodisce nel cuore ciò che è importante». Custodire nel cuore è spesso parallelo a fare memoria; si tratta di richiamare continuamente alla propria mente ed al proprio cuore il senso buono della promessa divina. Luca nel suo Vangelo annota: «Maria da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Maria è impegnata nell'attività interiore, nel fare unità tra pezzi di esperienza, tra cose tante diverse, come ad esempio le parole dell'Angelo con il disagio del viaggio verso Elisabetta, il canto degli angeli e l'umiltà della grotta di Betlemme, la gioia incontenibile dei pastori alla vista della povertà di quella culla nella mangiatoia. Per comporre in unità tante cose diverse occorre un vissuto, e per Maria, il vissuto è la Parola di Dio, che manifesta il Suo disegno di salvezza all'umanità. Maria ci invita, con il verbo "custodire", a comprendere il mistero di quel Bambino nato nella stalla e a come ci si deve avvicinare alla culla di Betlemme; cioè cercando di dare unità alla vita, senza disperderla in mille rivoli di conoscenze, incontri ed emozioni, concentrandosi invece sulla certezza evangelica espressa in questi pochi versi: «Oggi nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore».
Credere: nel linguaggio comune significa anzitutto "supporre-ritenere" e quando viene applicato alla fede cristiana diventa una espressione del tipo "per quanto riguarda Dio, non posso sapere nulla e sono così condannato a restare nell'incertezza, il vero sapere riguarda le cose che si possono vedere e toccare". Dio quindi per definizione viene collocato su un altro piano che solo la fede può cercare di spiegare.
Per il cristiano "credere" significa "avere fiducia". Credere allora è un percorso, una storia. Un percorso di vita per entrare in un luogo; è la storia del rapporto con una persona dalla quale ci attendiamo vita, gioia e futuro. Credere in un solo Dio significa che la nostra fiducia e la nostra speranza sono riposte unicamente in Dio che ha rivelato il Suo volto affettuoso e liberatore nella storia d'Israele e in quella di Gesù di Nazaret, e che incontriamo nella predicazione evangelica. La fede per essere autentica deve confermarsi quotidianamente e per questo nella Sacra Scrittura è chiamato «combattimento» (1Tm 6,12). Esso è però un combattimento buono, positivo ed anche lieto, accompagnato e sostenuto dal dialogo con Dio. Il vero significato di "credere" non è un significato filosofico sulla trascendenza, ma esprime uno stile di vita, suffragato dalla preghiera, nel lieto servizio al prossimo e a Dio nella vita di tutti i giorni.
Celebrare: significa esaltare, lodare, glorificare. La celebrazione cristiana è sempre celebrazione del mistero di Dio. Infatti, quando come cristiani ci riuniamo, non facciamo altro che celebrare il mistero di Dio, divenendo così liturgia, evento. Il culmine di questo mistero è la presenza di Gesù a partire dalla sua presenza presso il Padre, della sua venuta in mezzo a noi, della sua vita, morte e resurrezione. Tutto questo si realizza nella celebrazione eucaristica che diventa liturgia e la liturgia si fa annuncio ed esaltazione. Allora il mistero celebrato diventa comprensibile e visibile e si realizza nella vita di chi lo celebra. Colui che diviene partecipe del mistero diventa diakonos, cioè ministro, servo e quindi annunciatore.
Servire: anche se oggi questa parola è poco usata e poco amata, perché ci ricorda altre parole come "servo o schiavo", riportata però nel suo significato evangelico, assume una dimensione particolare. Per comprendere tutta la grandezza della parola basta pensare a Gesù come il servo di Jahvè e a Maria come la serva del Signore. Nel giorno della nostra ordinazione il vescovo che ci ha ordinati ci ha dato questa consegna: «Ricevi il Vangelo di Cristo, del quale sei diventato l'annunciatore; credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che credi, vivi ciò che insegni». Memori di questi impegni, abbiamo il dovere di accogliere, custodire, credere, celebrare e servire in spirito di umiltà con fede e carità Cristo, la Chiesa ed i fratelli. Consapevoli che «l'eucarestia conduce e accende i fedeli nella carità di Cristo», siamo chiamati a vivere coerentemente il nostro servizio alla triplice mensa dalla Parola, della Liturgia e della Carità.
È compito di tutti i credenti rendere l'eucarestia visibile e tangibile per poter coniugare la trascendenza di Dio presente nella storia come impegno attivo e fattivo al servizio di tutti e soprattutto dei più poveri, dei deboli e degli emarginati. L'eucarestia deve divenire una grande scuola di carità, di giustizia e di pace. La reale presenza del Risorto nelle nostre comunità deve trasformare in gesti di solidarietà, rinnovamento interiore e spinta a cambiare le nostre pochezze e fragilità in cui come singoli, comunità e anche popolo di Dio siamo responsabili. Dobbiamo impegnarci ad essere profeti nelle nostre realtà e spingere con la nostra profezia tutti a seguire le orme di Colui che è venuto «per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Dobbiamo divenire «portatori e operatori della pace di Cristo».
E dunque «Grazie Gesù, perché Tu sei il Dio delle gioie e vieni a stare in mezzo a noi a guarire le nostre ferite e le nostre malattie. Donaci occhi per vedere, per contemplare la Tua bellezza, perché solo così, possiamo accoglierti nella nostra vita, conoscere il Tuo amore misericordioso, custodirti nel nostro cuore, credere alla Tua Parola che salva e proclamare con le labbra, e con la vita che Tu solo sei la fonte di ogni nostro bene». Amen.



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