Dalla Scrittura la liturgia e dalla liturgia la Scrittura



Il diaconato in Italia n° 180
(maggio/giugno 2013)

STUDIO


Dalla Scrittura la liturgia e dalla liturgia la Scrittura
di Pietro Sorci

«Per questo è nata la Bibbia: non per restare scritta ad utilità dei singoli o a diletto degli studiosi, ma per essere proclamata, soprattutto nella liturgia». È così che P. Sorci ci introduce nell'amore per le Scritture, da cui viene ogni carità.

Il legame tra la Bibbia e la liturgia
La liturgia, come del resto la Chiesa, di cui è manifestazione privilegiata, culmen et fons, ha la sua fonte nella Scrittura. Non soltanto perché, come dice la Sacrosanctum concilium, 24, da essa si attingono le letture che vengono interpretate dall'omelia e i salmi che vengono cantati, del suo spirito sono permeati i testi eucologici, le antifone, i responsori e l'innografia, i gesti e i riti, che anche quando non sono stati originati dalla Bibbia sono interpretati alla luce di essa (si pensi alle numerose unzioni nei riti dell'iniziazione cristiana, dell'ordinazione e della dedicazione, ed è sempre la Bibbia che non soltanto ha ispirato, ma costituisce il contenuto delle rappresentazioni figurate, dipinte, affrescate, mosaicate, scolpite, intarsiate, miniate, nell'edificio, negli oggetti e nei libri che servono alla celebrazione. Ma soprattutto perché essa è costitutivamente memoriale presentificatore dei fatti salvifici attraverso i quali Dio si e rivelato e autocomunicato e che nella Bibbia sono stati fissati al soffio dello Spirito Santo.
Sicché la liturgia nel suo insieme, nella sua costituzione e nel suo sviluppo può essere considerata attualizzazione del messaggio biblico proclamato, meditato comunitariamente, celebrato con i canti, le preghiere, l'iconografia, le azioni simboliche; e le espressioni sopra nominate sono altrettante modalità attraverso le quali la parola trasmessa dai profeti e dagli apostoli non cessa di risuonare e di farsi visibile e tangibile nella Chiesa. I fatti da essa evocati costituiscono l'oggetto e il motivo della lode, della benedizione, del rendimento di grazie di ogni azione liturgica, e di essi l'epiclesi e l'intercessione ogni volta chiede il compimento.
Tuttavia è altrettanto vero che la Bibbia è nata dalla liturgia e ciò fin dai testi più antichi. Non si avrebbero certamente né la liturgia giudaica né quella cristiana - scrive Ugo Vanni - senza la pressione che su di esse esercita la Bibbia; viceversa è ugualmente vero che non si avrebbe la Bibbia che abbiamo senza quell'influsso multiplo che su di essa ha esercitato la pratica liturgica. L'uscita dall'Egitto sarebbe stato un avvenimento come tanti, dimenticato dalla storia se il popolo che aveva attraversato il Mare dei Giunchi non avesse vissuto questo avvenimento come argomento fondamentale del suo dialogo con Dio, se non avesse cercato di dire nella sua fede il come e il perché di quell'avvenimento. le tradizioni furono elaborate perché l'avvenimento della storia era stato avvertito come un avvenimento fondatore che radunava un gruppo nella affermazione di una stessa fede.
Molti racconti prima di essere raccolti furono per secoli conservati e trasmessi nei vari santuari cui erano legati per servire al culto. Molti oracoli profetici hanno nel culto la loro origine; il libro di Ester offre il contesto e il contenuto alla festa dei Purim; il secondo dei Maccabei alla festa della dedicazione il 25 Kisleu, per prima parte, e la seconda parte ad una festa per la vittoria sul persecutore Nicanore il 13 di Adar; la maggior parte dei salmi hanno nel culto il proprio ambiente vitale, altri nati in circostanze diverse, trovarono posto nel culto, e per servire ad esso subirono adattamenti.
Ci sono scritti sacri che non sono stati conservati, ma quelli che la Bibbia ha conservato sono sopravvissuti grazie al loro uso nella liturgia. Se il periodo dell'esilio è uno dei momenti di più grande elaborazione biblica è perché è quello in cui nasce e si sviluppa la liturgia sinagogale. Anche nel Nuovo Testamento molti brani che hanno come ambiente vitale il tempio, la sinagoga e le feste hanno impronta liturgica o sono stati incorporati in essa influendo sulla sua formazione. Molti altri sono chiaramente condizionati dall'esperienza liturgica cristiana, per influire a loro volta sulla celebrazione.
I vangeli stessi non sfuggono a questa regola. Molte pagine portano visibili le tracce dell'ambiente in cui presero forma: l'assemblea liturgica. La celebrazione dell'iniziazione cristiana influì sulla narrazione del battesimo di Gesù. La celebrazione dell'eucaristia costituisce l'ambiente di formazione di racconti come la moltiplicazione dei pani, le parabole in cui domina il tema del banchetto e soprattutto le parole dell'ultima cena, le cui diverse redazioni portano il segno delle comunità nelle quali furono utilizzate prima di entrare negli scritti evangelici e di diventare norma della celebrazione. la liturgia è all'origine delle confessioni di fede di cui tracce numerose si trovano nell'epistolario paolino. Acclamazioni come: Amen, Alleluia, Maranatha, saluti, benedizioni, dossologie, inni che costellano i libri neotestamentari e soprattutto l'Apocalisse, dimostrano, se non altro, che tali scritti ebbero dall'inizio un uso liturgico, o quanto meno che l'uso nella liturgia determinò l'inserimento di tali elementi in essi1.

Dalla sinagoga alla chiesa
Se tra liturgia e Scrittura esiste tale rapporto genetico è ovvio trovare la lettura della Scrittura nella celebrazione liturgica. È un fatto che si riscontra in tutte le religioni, persino in quelle che non possiedono scritti sacri non manca mai la proclamazione del mito cha sta a fondamento del culto. Nella Bibbia troviamo la proclamazione della parola di Dio nel culto del deserto e del tempio. Questa proclamazione avrà grande sviluppo durante l'esilio. Alla fine di esso, forse in attuazione di Dt 31,10-11 che prescriveva di leggere la Torah ogni sette anni per rinnovare l'alleanza, nacque una forma di culto in cui la Scrittura potesse ritrovare il proprio ambiente vitale e risuonare come parola viva di Dio che si rivolge al suo popolo: si tratta delle riunioni che si svolgevano tutti i sabati nelle sinagoghe.
Quando i sistemi di lettura si stabilizzarono si ebbe in Babilonia un ciclo di un anno e in Palestina di tre anni, durante i quali si proclamava in lettura continua tutto il Pentateuco. La lettura era preceduta da un lungo silenzio, parzialmente coperto in epoca successiva dal canto dei salmi2, era preparata dalle benedizioni a Dio creatore della luce e datore della Legge, che sfociavano nel canto angelico della Kedushah (santo) e nella recita dello Shemah che si può considerare il "credo" di Israele (Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41), era seguita dalla Amidah o shemoneh esreh, preghiera delle 18 (il sabato 7) benedizioni, vera preghiera universale, e conclusa dalla benedizione di Aronne (Nm 6,24-26).
La preghiera che precede immediatamente la lettura così suona: «Per il tuo grande amore e per merito dei nostri padri che hanno posto la loro fiducia in te e ai quali tu hai insegnato i comandamenti di vita fa' grazia anche a noi, nostro Padre. Padre misericordioso, abbi pietà di noi e rendi i nostri cuori capaci di ascoltate, di capire, di imparare e di insegnare, di essere attenti e di compiere con amore tutte le parole di ammaestramento della tua Legge, lega a te i nostri cuori con i tuoi comandamenti, e siano uniti per amare e temere il tuo nome».
La Torah divisa in sezioni, parashot, era proclamata in lettura continua con l'omissione di qualche pagina particolarmente scabrosa, mentre la lettura profetica, haftarah, in aramaico ashlemutah (compimento), era scelta in funzione della prima, a commento e prima attualizzazione. Il compito di attualizzare era affidato al targum, traduzione orale in aramaico, più o meno parafrasata, versetto per versetto, e soprattutto alla omelia, che mediante accostamenti tra testi provenienti da libri diversi assolveva al compito di far sentire i fedeli contemporanei degli eventi celebrati, oggetto dell'amore potente e provvidente di Dio che i fatti narrati evocavano, e quindi provocare la lode gioiosa.
Il significato dell'omelia è bene espresso dalla conclusione della haggadah di pasqua, che altro non è che una omelia per la notte pasquale: «In ogni epoca ciascuno ha il dovere di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall'Egitto. Perché non solo i nostri Padri liberò il Santo - benedetto egli sia - ma anche noi liberò insieme con loro, come è detto: "Anche noi egli fece uscire di là per portarci qui e darci la terra che aveva giurato ai nostri padri"» (Dt 6,23). Perciò è nostro dovere ringraziare, lodare, celebrare, magnificare, esaltare, glorificare colui che fece per i nostri padri e per noi tutti questi prodigi: ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalla soggezione alla redenzione dal dolore alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre ad una luce fulgida. Proclamiamo dunque davanti a lui: Alleluia»3.
Questa liturgia, inizialmente riservata al sabato, fu presto estesa anche al lunedì e al giovedì, perché, come dicevano i rabbini commentando Es 15,22, la comunità non restasse tre giorni di seguito priva dell'acqua della vita, che è la parola di Dio. Tale estensione porterà al prevalere del ciclo annuale sull'antico triennale. La lettura della Torah veniva assicurata da diversi lettori, tre per gli uffici ordinari, sette per i sabati e le grandi feste. Nell'ufficio sinagogale non è l'individuo che trasmette la parola, ma tutta la comunità rappresentata da diversi lettori. La lettura si spersonalizza, o piuttosto si arricchisce della personalità dell'intera comunità: è tutto il popolo che proclama la parola, Dio parla alla comunità tramite la comunità4.
Sulla scia della Sinagoga sin dal tempo apostolico, alla scuola di Gesù, Verbo di Dio che compie in sé la Legge, i Profeti e i Salmi (Lc 24,27.44) fino alla sinagoga di Nazaret, dove durante la celebrazione liturgica Gesù dichiara realizzate nella sua persona le speranze e le promesse veterotestamentarie, le Chiese cristiane daranno grande rilievo alla proclamazione delle Scritture nelle loro riunioni di culto. Per qualche decennio i discepoli, sull'esempio di Gesù continuarono a partecipare al culto sinagogale, prendendo all'occorrenza la parola nel corso di esso (cf. At 13,5; 14,16; 17,1.10, ecc.). Ma dovevano esserci anche riunioni di culto tutte per loro, in cui, forse, a commento degli scritti veterotestamentari prendeva la parola l'apostolo, il profeta, l'evangelista, o veniva letta eventualmente una missiva dell'apostolo (cf. 1Ts 5,27; Col 4,16). Molto presto la cena del Signore, separata dalla mensa comune, dovette attrarre a sé questa liturgia di tipo sinagogale. E da allora, mensa della parola e mensa del pane sono così strettamente congiunte da formare un unico atto di culto (PNMR 8) anche se la parola può essere celebrata - e in tutte le Chiese è stata celebrata - pure senza l'eucaristia.
La coscienza della novità del vangelo però non oscurò quella dell'unità della rivelazione che si espresse nell'accostare letture dell'Antico e del Nuovo Testamento, come nella liturgia siro-orientale che prevede nella celebrazione eucaristica quattro letture: Legge, Profeta, Apostolo, Vangelo, e in quella siro-antiochena dove, secondo la testimonianza delle Costituzioni Apostoliche, si proclamavano ben sei letture: Legge, Profeta, Sapienziale, Atti (o epistola cattolica), Paolo, Vangelo. Le altre Chiese comunque per motivi diversi hanno finito per riservare alla liturgia delle Ore e alle celebrazioni vigiliari l'Antico Testamento, e leggono nell'eucaristia solo il Nuovo, due letture; nella Chiesa maronita e bizantina: Apostolo e Vangelo (quest'ultimo, nelle Chiese ortodosse, in lettura semicontinua, iniziando da Giovanni il giorno di Pasqua per finire con Marco durante la Quaresima); o quattro come i Copti che in ogni messa leggono: Cattolico, Atti, Paolo, Vangelo.
Nella liturgia romana, dove la proclamazione della Scrittura a causa di successive riduzioni, spostamenti e sostituzioni si era notevolmente impoverita, in esecuzione ai dettami del Concilio che auspicava una lettura più abbondante e meglio scelta (SC 35,1; 51), la riforma liturgica, secondo un costume anticamente seguito dalle liturgie ambrosiana, gallicana e ispanica, e in Oriente sino al secolo VIII da quella bizantina e ancor oggi in uso presso gli Armeni, prevede per le domeniche e le solennità tre letture: Antico Testamento, Apostolo, Vangelo, eccetto nel tempo pasquale, quando la prima lettura è tratta dagli Atti.
Non è che un aspetto dello spazio dato alla Scrittura nella liturgia romana che oltre ai cinque grossi volumi del Lezionario per la Messa (festivo, feriale I e II, dei Santi, per le Messe rituali, per circostanze diverse e votive) - «lo sforzo più coraggioso che sia stato mai intrapreso nella Chiesa per promuovere la partecipazione dei fedeli alla Scrittura»5 - prevede Lezionari per tutti i sacramenti e per il Benedizionale. E il Lezionario biennale della liturgia delle Ore, di cui da molti anni ormai è attesa la pubblicazione, prevede la lettura integrale del Nuovo Testamento, eccetto i Vangeli, e di quasi metà dell'Antico Testamento, oltre alle quasi seicento letture brevi.

Dalla Parola scritta alla Parola celebrata
Questa massiccia presenza della Scrittura nella liturgia è motivata dalla convinzione che nella celebrazione, quando il popolo è radunato per far memoria delle grandi opere di Dio in atteggiamento di gioioso rendimento di grazie, si ricrea il contesto originale in cui la parola fu pronunciata e per cui fu fissata, e perciò lo scritto ridiventa parola viva. Nella liturgia della parola è presente l'interlocutore, Cristo crocifisso e risorto, che di tutti gli scritti, e dell'Antico e del Nuovo Testamento, è il contenuto e la chiave di comprensione, colui al quale le Scritture si riferiscono e al quale danno testimonianza (cf. Gv 5,39.46), nel quale - come dice la colletta del nuovo Messale, tempo ordinario, n. 14 - il Padre ci ha detto tutto e ci ha dato tutto.
E ne è pure l'esegeta: ha spiegato le Scritture il giorno della risurrezione, e come dice la preghiera eucaristica V, le spiega ogni volta che la comunità dei discepoli si raduna per celebrare l'eucaristia. Omnis Scriptura unus liber est - spiega Ugo da S. Vittore - et unus liber Cristus est (tutta la Scrittura è un unico libro, e questo libro è Cristo). Dicevano i rabbini che dove si ha un'assemblea di dieci persone radunate in ascolto della Torah, la shekinah, ossia la dimora di Dio, è in mezzo a loro6. In Mt 18,20 Gesù attribuisce a sé questa prerogativa abbassando a due o tre il numero sufficiente perché si abbia un'assemblea cui è assicurata la sua presenza. Amalario commenta con espressione scultorea: «Si legge il Vangelo: in esso Cristo stesso parla con la sua bocca al popolo, come è detto nel Vangelo di Matteo: "Aprendo la sua bocca istruiva i discepoli"». Gli fa eco il Pontificale Romano-Germanico: «Si legge il vangelo nel quale Cristo di sua bocca parla al popolo […] per fare risuonare il vangelo nella Chiesa, come se Cristo stesso parlasse al popolo».
Ma già sei secoli prima Agostino: «La bocca di Cristo è il vangelo. Regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra». I riti di tutte le liturgie si sono compiaciuti lungo i secoli di sottolineare questa misteriosa presenza del Cristo pasquale nella parola che a lui si riferisce, circondando di onore soprattutto l'evangeliario, preziosamente ornato, posto sull'altare - perché esso contiene la parola di Cristo, di cui l'altare sul quale dimora il suo corpo è simbolo -; con la processione con ceri e incensi, accompagnata dal canto dell'Alleluia, tradizionalmente inteso come acclamazione a Cristo risorto presente tra i suoi, e dal canto del trisagio, anch'esso interpretato in senso cristologico e presente in tutte le liturgie, eccetto quella romana; con la lettura del Vangelo ascoltata in piedi, preceduta e seguita da acclamazioni a Cristo.
Nella liturgia armena al diacono che annuncia la lettura evangelica il popolo risponde: «È Dio che parla». Nella liturgia copta prima della proclamazione del Vangelo il presbitero supplica: «O Signore Gesù Cristo, nostro Dio, tu che hai detto ai santi apostoli: "molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non l'hanno visto, e sentire ciò che voi sentite, e non l'hanno udito; ma beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi, perché odono"; rendici degni, per la preghiera dei tuoi santi, di ascoltare il tuo santo Vangelo e di conformare ad esso la nostra condotta».
E al diacono che annunzia la lettura i fedeli rispondono: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». I fedeli radunati in assemblea, che ascoltano l'annunzio evangelico sono beati al pari dei testimoni immediati della presenza e della parola di Cristo: essi vedono e sentono quanto fu oggetto della promessa e della speranza di tutto l'Antico Testamento.
La liturgia siro-orientale fa precedere la lettura evangelica da questa preghiera del presbitero: «Ti benediciamo, ti adoriamo e ti lodiamo in ogni tempo, Signore, che sei lo splendore della gloria del Padre e immagine della persona che ti ha generato, tu che sei apparso nella forma del nostro corpo umano e hai illuminato la notte della nostra mente, con la luce del tuo Vangelo, o Signore di tutte le cose. Gloria alla misericordia infinita che ti ha inviato a noi, Cristo, luce del mondo e di tutti i viventi. Istruiscici, Signore, con la tua legge, illumina le nostre tenebre con la tua sapienza e santifica le nostre anime con la tua verità. Donaci di essere attenti alle tue parole e fedeli custodi dei tuoi comandamenti, in ogni tempo, o Signore di tutte le cose». Cristo in persona, splendore della gloria del Padre, attraverso il suo Vangelo illumina i fedeli radunati in assemblea, li nutre con la sua sapienza, li istruisce con la sua legge7.

Liturgia ed esegesi
Nella celebrazione liturgica si ha la presenza della comunità credente che è la destinataria originaria della parola. Lo scritto sacro è stato fissato primariamente per un ambito comunitario, l'assemblea che raduna la comunità credente che ascolta e celebra è perciò il luogo dove la parola di Dio può espletare il massimo dei suoi fini8. Da ciò segue - scrive il Triacca - che la liturgia è autentica esegesi che vivifica la parola, e la parola per conseguire le sue finalità ha bisogno di un'assemblea autenticamente liturgica9. Ricreando l'ambiente e le emozioni in cui il libro è nato, essa offre la possibilità di cogliere il testo in qualche modo nel suo stato nascente, con la conseguenza di vederlo crescere sotto i nostri occhi con tutto lo stupore di chi è testimone di un'esperienza epifanica10.
Divina eloquia cum legente crescunt, afferma Gregorio Magno commentando il libro di Ezechiele, dove colui che legge non è il singolo ma la Chiesa radunata in assemblea per la celebrazione liturgica. Infatti, egli aggiunge di aver provato diverse volte a leggere e rileggere certi testi della parola di Dio, senza riuscire a capirli, invece, quando li ha letti insieme ai fratelli, coram fratribus positus, allora li ha compresi. Una magnifica esemplificazione di ciò si trova nella vita di Antonio scritta da Atanasio. Egli conosceva molto bene il testo di Mt 19,21 e la sua mente era frequentemente occupata in esso, ma soltanto quando lo ascolta nell'assemblea liturgica si sente personalmente interpellato da esso.
Un fatto simile è all'origine della vocazione di Francesco di Assisi, quando nella festa di S. Mattia del 1208 nella chiesetta di S. Maria degli Angeli ascolta la lettura del racconto della missione degli apostoli di Mt 10,7-10. Immediatamente il giovane Francesco che non era mai stato un ascoltatore sordo del vangelo, esultante in Spirito Santo dichiara: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore». l'assemblea liturgica non solo manifesta e coinvolge tutto il popolo di Dio «nato dalla parola» (Ad gentes, 6) ma di fatto, lo raduna, e unitamente al sacramento lo fa crescere11. Ogni assemblea liturgica, infatti, anche se piccola e dispersa, rappresenta la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra, in comunione con la Chiesa celeste, in essa anzi si ha la presenza della Chiesa una santa cattolica e apostolica (cf. SC 26.41.42; LG 26). Nella celebrazione liturgica l'assemblea, animata dallo Spirito che suggerisce alla sposa il grido dell'attesa (cf. Ap 22,17), si pone in atteggiamento di ascolto, di adorazione e di lode, con il canto e la preghiera che creano il clima più adatto perché la parola passa giungere al cuore. Non è da trascurare poi l'atto penitenziale, che in una forma o nell'altra, come confessione di peccato, come rito d'incenso, come preghiera litanica o invocazione di perdono, praticamente in tutte le liturgie precede l'ascolto della parola: la purificazione del cuore, se da una parte è effetto della parola (cf. Gv 15,3), è anche prerequisito all'ascolto di essa.
Nell'Antico Testamento quando Dio intende rivelare se stesso esige che i suoi interlocutori si purifichino per essere capaci di ascoltarlo, e nel Nuovo Testamento quando Cristo deve promulgare la legge nuova del regno chiede ai discepoli di salire dietro a lui sulla montagna. Nell'assemblea che si raduna in tale atteggiamento risuona in atto la parola che annunzia ai poveri il lieto messaggio del regno, ed è per i fedeli fonte di saggezza e di vita e li edifica come corpo di Cristo.

Lo Spirito Santo
Questa presenza di Cristo e della sua parola nell'assemblea celebrante è resa possibile dallo Spirito Santo che ha parlato per mezzo dei profeti, ha consacrato Gesù di Nazaret, ha ispirato gli agiografi. Egli che ha il compito di introdurre i discepoli nella verità tutta intera, interiorizzando nei credenti e attuando lungo i secoli quanto Gesù ha detto e ha compiuto, fa ricordare tutte le parole di Gesù, ne fa il memoriale, e quindi le fa rivivere12. Accompagna la parola che ha donato, perché diventi dono accettato e conquista, venga capita e riceva una risposta di fede.
Per questo, analogamente a quanto avviene nell'anafora, dove nell'epiclesi è invocata la sua presenza per trasformare il pane e il vino in corpo e sangue di Cristo, radunare e rendere conformi a lui quanti di essi si nutrono, quasi tutte le liturgie all'inizio della liturgia della parola o prima della proclamazione del Vangelo prevedono l'implorazione dello Spirito Santo che prepari i cuori all'ascolto e renda viva ed efficace la parola.
La liturgia bizantina di san Giovanni Crisostomo inizia con questa invocazione: «Re celeste, Paraclito, Spirito di verità, che sei presente in ogni luogo e ogni cosa riempi, tesoro di bene e datore di vita, vieni e abita in noi, purificaci da ogni macchia e salva, o Buono, le nostre anime»13. E prima della proclamazione del Vangelo fa pregare il presbitero: «Fa' che risplenda nei nostri cuori, o misericordioso Signore, la pura luce della tua divina conoscenza. Apri gli occhi della nostra mente, perché possiamo intendere le tue predicazioni evangeliche, infondi in noi il timore dei tuoi santi comandamenti, affinché calpestati tutti i desideri mondani, pratichiamo Una vita tutta spirituale, pensando ed operando tutto ciò che è di tuo gradimento». Parimenti nella liturgia siro-antiochena prima della proclamazione del vangelo: «Signore, Dio onnipotente, che con la tua divina volontà tutto governi, tutto è a te sottomesso: concedici, Signore, l'espiazione dei delitti e la remissione dei peccati, allontana da noi l'inganno e l'invidia e santificaci con il tuo Spirito, perché siamo degni ascoltatori del tuo santo Vangelo». Segue la benedizione sul popolo: «La destra del Signore nostro Gesù Cristo, il braccio della sua potenza, la potenza invisibile della sua maestà che dona ogni benedizione e dono di vita che si posò sugli apostoli santi nel santo cenacolo di Sion e li santificò, e sul monte Oliveto li benedisse, riposi sui miei fratelli lettori e ascoltatori, custodisca questa regione e i fedeli che vi abitano».
Nella proclamazione della parola è in azione lo Spirito della Pentecoste, che ispirò i profeti e gli agiografi, che purificò e aprì il cuore dei discepoli alla comprensione della verità e li santificò con la luce della sapienza divina. È lui che vivifica la parola, rende i ministri capaci di mediare la parola di Dio e i fedeli di accoglierla con frutto, suscita la risposta di fede e di conversione, di rendimento di grazie e di supplica. L'eucologio di Serapione, conformemente alla tradizione alessandrina che comporta una doppia epiclesi nell'anafora, fa invocare lo Spirito Santo addirittura prima e dopo la proclamazione delle letture. All'inizio della celebrazione il vescovo prega: «Manda il tuo Santo Spirito nelle nostre anime e facci comprendere le Scritture da lui ispirate e concedi a me di interpretarle in maniera degna, perché tutti i fedeli qui radunati ne traggano profitto».
E dopo l'omelia: «Dio salvatore [...] t'imploriamo per questo popolo: manda lo Spirito Santo, il Signore Gesù venga a visitarlo, parli alle menti di tutti, disponga i cuori alla fede e conduca a te le nostre anime Dio delle misericordie». È dunque lo Spirito Santo che ha parlato per mezzo dei profeti, che nella Chiesa radunata in nome di Cristo per far memoria della sua pasqua, nel momento in cui si realizzano i segni della presenza di Cristo, restituisce alla sua parola l'efficacia e la vita di cui gode sulla bocca del Verbo fatto carne, crocifisso e risorto.
Scrive in proposito il grande teologo riformato Jean-Jacques Von Allmen: «Quando si fa la lettura (nella liturgia) della Bibbia succede qualcosa di fondamentale: il testimone, la cui testimonianza era stata per così dire sepolta nelle lettere, si alza per prendere la parola: questo evento è possibile per l'intervento dello Spirito santo. La lettura della Scrittura deve essere preceduta da una epiclesi, perché, grazie allo Spirito, avviene questa specie di risurrezione della Scrittura in Parola, e la Scrittura, sotto forma di lettura, trova la sua giustificazione e il suo posto nel culto della Chiesa: la lettura infatti viene compiuta perché il testimone ritorni a testimoniare e l' anagnosi diventi anamnesi, ossia perché quello che è stato detto in altri tempi e in altri luoghi venga ridetto, in modo vivo e nuovo qui e ora»14.

(P. Sorci è frate francescano e professore emerito presso la Facoltà Teologica di Sicilia "S. Giovanni Evangelista", Palermo, dove detiene la cattedra di Sacra Liturgia)

Note
1. S. Lanza, La celebrazione luogo ermeneutico della Scrittura. Punto di vista di un biblista, in Rivista di Pastorale Liturgica, 21 (1983) 118, p. 24-26.
2. Il sabato mattino i salmi cantati erano (secondo la numerazione del salterio liturgico: 18. 33. 90. 134. 135. 31. 91. 92, il piccolo hallel (sal 145-150) e il cantico di Mosè di Es 15,1-19. Cf. E. Werner, Il sacro ponte. Interdipendenza liturgica e musicale nella Sinagoga e nella Chiesa nel primo millennio, I, Ed. Dehoniane, Napoli, 1983, p. 33-34.
3. Haggadah di Pasqua, Testo ebraico con traduzione italiana, introduzione e note di A. Toaff, Roma 5720 - 1960, p. 39-41.
4. L. Deiss, Vivere la parola in comunità, Gribaudi, Torino 1976, p. 136.
5Ib., p. 303.
6Mekilta su Es 20,24, in Il dono della Torah. Commento al decalogo di Es 20 nella Mekilta di R. Ishmael, a cura di A. Mello, Città Nuova, Roma 1982, p. 115, nota 2.
7. Alcune di queste tematiche con la seconda edizione italiana del Messale Romano sono entrate nella liturgia romana. Cf. oltre a quella citata alla n. 16, la colletta per la domenica XVI del tempo ordinario, C: «Padre sapiente e misericordioso, donaci un cuore umile e mite per ascoltare la parola del tuo Figlio che risuona ancora nella Chiesa radunata nel suo nome».
8. «Per diventare parola di Dio, la Scrittura deve trovare il credente che celebra gli eventi salvifici narrati nella Bibbia e prega il Dio di quegli eventi. [...] La fede celebrata è il luogo ideale della parola di Dio» (G. Bonaccorso, Celebrare la salvezza. Lineamenti di liturgia, EMP, Padova 1996, p. 85-86).
9. A. M. Triacca, La Parola celebrata. Teologia della celebrazione della Parola, in R. Cecolin (a cura di), Dall'esegesi all'ermeneutica attraverso la celebrazione, Bibbia e liturgia - I, EMP, Padova 1991, p. 36.
10. I. Gargano, «Scriptura cum legente crescit». Dal testo scritto al momento celebrativo, in R. Cecolin (a cura di), Dall'esegesi all'ermeneutica, op. cit., p. 170.
11. Una colletta del messale per l'evangelizzazione dei popoli prega: «Il tuo popolo radunato dalla parola di vita e plasmato dalla forza dei sacramenti, proceda nella via della salvezza e dell'amore»; e quella per la Chiesa locale: «O Padre concedi a questa tua famiglia di crescere mediante il Vangelo e l'eucaristia nell'unità dello Spirito Santo, per diventare immagine autentica dell'assemblea universale del tuo popolo e strumento della presenza di Cristo nel mondo».
12. L'azione dello Spirito Santo non è circoscritta alla liturgia della parola, ma abbraccia tutta la celebrazione (Introduzione al lezionario, n. 9). Egli raduna l'assemblea suscita i carismi e i ministeri, parla attraverso le Scritture, suggerisce la preghiera e il rendimento di grazie, opera nell'azione sacramentale, abilita i fedeli per la missione. Cf. P. Sorci, L'ambito privilegiato dello Spirito: l'assemblea radunata per la celebrazione eucaristica, in R. Falsini (a cura di), Lo Spirito Santo nella Chiesa nei sacramenti nella vita, OR, Milano 1998, p. 29-46; P. Sorci, Trinità e storia della salvezza nella liturgia, in Ho Theòlogos, 16 (1998) 28-38.
13. In Manuale di preghiere per i fedeli di rito bizantino, a cura di D. Como, Palermo 1959, p. 42.
14. ].]. Von Allmen, Celebrare la salvezza. Dottrina e prassi del culto cristiano, Elle Di Ci, Leumann (TG) 1986, p. 111.



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