Il diaconato in Italia n° 179
(marzo/aprile 2013)
PAROLA
Prima Lettera di Pietro (IV)
di Luca Bassetti
Concludiamo con queste pagine la Lettera di Pietro ringraziando don Bassetti che non fa mancare alla comunità del diaconato il suo supporto di studio e di meditazione della parola di Dio.
Attesa umile e perseverante dei chiamati alla gloria eterna (1Pt 5,5b-11)
a) Il testo
Umiltà e affidamento a Dio
«5bRivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. 6Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, 7gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi».
Vigilanza e temperanza nei riguardi del nemico
«8Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. 9Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi».
Ristabilimento dopo la sofferenza
«10E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. 11A lui la potenza nei secoli. Amen!»
b) Note di spiegazione letterale
L'insieme del passo presenta tre piccole unità disposte in modo concentrico. La prima e la terza si richiamano per il comune riferimento al Dio che dà grazia, che si prende cura dei suoi e li rafforza, che con la sua potenza è in grado di ristabilire in breve tempo, nel momento propizio.
La seconda unità interrompe la continuità di riferimento a Dio e al suo intervento per richiamare il pericolo dell'«avversario», per il quale si deve vigilare con una condotta temperante e al quale si deve resistere mediante la fede.
L'unità centrale ha agganci, pur non così espliciti, con le altre due unità. Si lega alla prima per un'assonanza tra l'atteggiamento sobrio e vigilante, espressione di una condizione povera e posta nel continuo pericolo, che propone e l'invito all'umiltà che getta temperanza nei riguardi in Dio ogni preoccupazione, consapevole della propria fragilità. Si lega all'ultima per il comune richiamo alla saldezza della fede che i credenti devono esprimere sapendo che questa è loro ottenuta dal ristabilimento con cui Dio li conferma.
La successione delle prime due unità presenta una forte assonanza con il passo di Gc 4,6-10: entrambi muovono dalla citazione Pr 3,34: «Dio resiste ai superbi; agli umili concede la grazia». Ecco i due testi in sinossi:
5,5b: «Cingetevi (enkombosate) tutti di umiltà (tapeinofrosyne) gli uni gli altri». Il verbo fa riferimento alla cintura da mettersi ai fianchi, con un aggancio, pur espresso in termini lessicalmente differenti, a 1Pt 1,13. Lì si invitava a cingere i fianchi della mente come superamento pasquale dei propri pensieri e giudizi, come metanoia trasformativa della mente; qui si chiede di mettere la cintura della umiltà (o bassezza, umiliazione) per essere più agili nei rapporti con gli altri, sempre ostacolati dal protagonismo e dalla smania di emergere dei singoli.
Più esattamente ci si cinge del grembiule, abito del servizio che consente di muoversi spedita mente nella pronta sollecitudine vicendevole. Si indica poi il paradossale sentire di Dio.
Ai superbi (yperephanois, coloro che vogliono apparire assai di più di ciò che sono) Egli si oppone (antitassetai), mentre agli umili (tapeinois) Egli non può resistere e concede grazia (didosin charin). Tali espressioni sono riprese in forma innologica nel Cantico di Anna (1Sam 2,4) e nel Magnificat (Lc 1,51-52).
5,6-7: Ritorna ancora il verbo tapeinoo, invito a farsi piccoli sotto la mano di Dio, ad essere senza forze in proprio per collocarsi nella sua potenza (la sua mano). Gli innalzerà (ypsose, verbo che richiama anche l'idea di una risurrezione) nel tempo opportuno (en kairo). Ogni affanno (pasan ten merimnan) bisogna gettarla su di Lui, per sperimentare la sua sollecitudine (auto metei peri ymon).
È ancora l'invito battesimale-pasquale a perdere ogni autosufficienza, per essere affidati totalmente alla sua cura e alla sua potenza di risurrezione ed innalzamento dalla umiliazione.
5,8 «Siate sobri, vigilate», invito che ricorre spesso nell'epistolario paolino e nei vangeli sinottici. L'attesa del Signore e la capacità di riconoscerlo e accoglierlo nella sua venuta risiedono in questo duplice invito: nepsate, cioè siate sobri, non appesantiti, capaci di resistere al torpore; gregoreite, cioè vegliate, state svegli e alzàti in modo prolungato (è la forma derivata dal perfetto di egeiro, indicante l'azione duratura nei suoi effetti dello svegliarsi: è uno dei verbi utilizzati dal NT in riferimento alla risurrezione. Su tale invito si possono vedere le abbondanti ricorrenze nel NT: 1Ts 5,6-8; 1Cor 16,13; Col 4,2; 2Tm 4,5; 1Pt 1,13 (in riferimento ai fianchi cinti della mente); 4,7 (in relazione alla possibilità di dedicarsi alla preghiera); Mt 24,42-43//Mc 13,34-35; Mt 25,13; 26,38-41//Mc 14,34-38; Lc 12,37; At 20,31; Ap 3,2; 16-15. Il diavolo, colui che si mette di traverso per far inciampare e far desistere dal cammino, è chiamato avversario (antidikos). Sulla figura dell'avversario: Mt 5,25 e Lc 18,3, che utilizzano tuttavia il termine in senso più debole.
5,9: La fede è ancora una volta indicata come arma che rende forti (stereoi te pistei) contro il nemico: egli non sembra poter nulla laddove di esplica l'atto umile e povero della fiducia in Dio.
5,10: Coloro che hanno questa fede, sarà Dio stesso a rafforzarli in ogni modo. Quattro verbi indicano tale azione di Dio: rimettere in ordine o ristabilire (katartisei); rafforzare (sterixei); ancora fortificare (sthenosei); porre su solida base, fondare (themetiosei).
c) Spunti di riflessione teologico-spirituale
Nella unità si rafforza l'invito, presente già nel passo precedente, all'umiltà. Si invita a cingere l'umiltà nei rapporti vicendevoli, come si indossa una cintura per camminare più spediti e, soprattutto, come si cinge un grembiule, nella disposizione al servizio. Abbassarsi gli uni davanti agli altri è il modo evangelico di prendersi cura di loro, non dunque da protagonisti, ma da poveri, che non intendono esercitare un potere. Risuona qui l'invito di Gesù stesso nella sera della sua passione: «Amatevi gli uni gli altri», nella modalità di chi si piega a lavare i piedi dei fratelli (Gv 13,1-15). Ai discepoli Gesù disse che erano mondi, come chi ha fatto il bagno (Gv 13,10), a motivo della sua parola da essi accolta (Gv 15,3). Anche chi ha fatto il bagno necessita tuttavia di rimuovere la polvere che ai suoi piedi si attacca sempre, per il fatto che egli tenta comunque di camminare. È il cammino della vita a procurare a tutti un po' di polvere, che siamo sempre bisognosi di lasciarci lavare e che dobbiamo essere disponibili a lavare agli altri. Ci sono delle debolezze strutturali in ciascuno di noi che fanno appello alla misericordia del Signore e alla sollecitudine paziente dei fratelli. Ci sono storture che non si possono raddrizzare (Qo 7,13), per le quali è necessario l'esercizio di una misericordia continuata, in qualunque relazione e situazione di vita. Il modo di esercitare tale lavaggio di misericordia è quello dell'abbassamento, atteggiamento umile che incoraggia il fratello a non nascondere la sua debolezza e a non sottrarsi al gesto della misericordia offertagli. La Chiesa è il luogo e la struttura deputata all'esercizio della misericordia, dell'umiltà gli uni verso gli altri (Mt 18).
L'invito all'umiltà è subito dopo ripetuto in riferimento alla potente mano di Dio. La mano è biblicamente il segno della potenza, della forza creatrice, della capacità operativa (Es 3,19-20; 13,3; Sal 21,9; 32,4; Gb 12,10). La veste di umiltà indossata dal battezzato è dunque sincera disposizione ad affidarsi alla protezione di Dio, a lasciare che la sua potenza operi nell'esistenza rinnovata del credente proprio quando questi, nell'oppressione e nella prova si abbandona mediante l'atto di fede, rinunciando all'autosalvezza. Proprio sull'umile, con lo spirito contrito ed il timore della parola di Dio si dispiega la potenza salvifica della sua mano (Is 66,2; Sir 35,11-24; Lc 18,9-14).
L'esortazione ad «umiliarsi davanti al Signore» non esprime una volontà dispotica di annientamento dell'uomo, ma è incoraggiamento a diminuire per liberazione dal proprio io, carico di ansietà e preoccupazioni con l'atto alleggerente di «gettare in Lui ogni affanno», nella consapevolezza che Egli si prende cura delle creature più piccole e sprovvedute (Mt 34). Vi corrisponde l'invito di Gesù a coloro che sono affaticati ed oppressi a prendere su di sé il suo giogo leggero, per trovare pace e riposo alle loro anime (Mt 11,28-30).
La metafora vivace del leone ruggente caratterizza la seconda unità, dedicata alla considerazione del modo nel quale affrontare l'avversario. Tale immagine esprime efficacemente il potere distruttore (Ez 22,25), la forza devastante del nemico-satana, a cui sembrerebbe inevitabile soccombere. In realtà la forza di questo particolare nemico, il diavolo, sta nella sua ingannevole capacità di dividere, di separare da Dio, di far smarrire senso profondo di una figliolanza (Mt 4, 1-11//Lc 4,1-13), per ergersi invece superbamente contro Dio (Gen 3).
Solo l'umiltà che si esprime nella povertà dell'atto di fede, della consegna della propria vita ad un altro nella coscienza di essere nulla da se stessi, salva da questo avversario, privandolo completamente del suo potere. La fede, come perdita di potere su di sé è ciò che paradossalmente rende saldi sulla roccia (Amen) dell'amore provvidente e misericordioso di Dio. Coloro che nel battesimo hanno già fatto la rinuncia a Satana e la consegna della loro vita alla relazione con Padre dei cieli, sono invitati a permanere in tale atto di fede, rinnovando incessantemente al sopraggiungere della prova e della tentazione.
----------Attesa umile e perseverante dei chiamati alla gloria eterna (1Pt 5,5b-11)
a) Il testo
Umiltà e affidamento a Dio
«5bRivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. 6Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, 7gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi».
Vigilanza e temperanza nei riguardi del nemico
«8Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. 9Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi».
Ristabilimento dopo la sofferenza
«10E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. 11A lui la potenza nei secoli. Amen!»
b) Note di spiegazione letterale
L'insieme del passo presenta tre piccole unità disposte in modo concentrico. La prima e la terza si richiamano per il comune riferimento al Dio che dà grazia, che si prende cura dei suoi e li rafforza, che con la sua potenza è in grado di ristabilire in breve tempo, nel momento propizio.
La seconda unità interrompe la continuità di riferimento a Dio e al suo intervento per richiamare il pericolo dell'«avversario», per il quale si deve vigilare con una condotta temperante e al quale si deve resistere mediante la fede.
L'unità centrale ha agganci, pur non così espliciti, con le altre due unità. Si lega alla prima per un'assonanza tra l'atteggiamento sobrio e vigilante, espressione di una condizione povera e posta nel continuo pericolo, che propone e l'invito all'umiltà che getta temperanza nei riguardi in Dio ogni preoccupazione, consapevole della propria fragilità. Si lega all'ultima per il comune richiamo alla saldezza della fede che i credenti devono esprimere sapendo che questa è loro ottenuta dal ristabilimento con cui Dio li conferma.
La successione delle prime due unità presenta una forte assonanza con il passo di Gc 4,6-10: entrambi muovono dalla citazione Pr 3,34: «Dio resiste ai superbi; agli umili concede la grazia». Ecco i due testi in sinossi:
1 Pietro 5,5b-9 | Giacomo 4,6-10 |
5Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili 6Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno [7...] [8...] il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. 9Resistetegli saldi nella fede | 6Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia 7Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo ed egli fuggirà lontano da voi [8... 9...]. 10Umiliatevi davanti al Signore, ed Egli vi esalterà |
5,5b: «Cingetevi (enkombosate) tutti di umiltà (tapeinofrosyne) gli uni gli altri». Il verbo fa riferimento alla cintura da mettersi ai fianchi, con un aggancio, pur espresso in termini lessicalmente differenti, a 1Pt 1,13. Lì si invitava a cingere i fianchi della mente come superamento pasquale dei propri pensieri e giudizi, come metanoia trasformativa della mente; qui si chiede di mettere la cintura della umiltà (o bassezza, umiliazione) per essere più agili nei rapporti con gli altri, sempre ostacolati dal protagonismo e dalla smania di emergere dei singoli.
Più esattamente ci si cinge del grembiule, abito del servizio che consente di muoversi spedita mente nella pronta sollecitudine vicendevole. Si indica poi il paradossale sentire di Dio.
Ai superbi (yperephanois, coloro che vogliono apparire assai di più di ciò che sono) Egli si oppone (antitassetai), mentre agli umili (tapeinois) Egli non può resistere e concede grazia (didosin charin). Tali espressioni sono riprese in forma innologica nel Cantico di Anna (1Sam 2,4) e nel Magnificat (Lc 1,51-52).
5,6-7: Ritorna ancora il verbo tapeinoo, invito a farsi piccoli sotto la mano di Dio, ad essere senza forze in proprio per collocarsi nella sua potenza (la sua mano). Gli innalzerà (ypsose, verbo che richiama anche l'idea di una risurrezione) nel tempo opportuno (en kairo). Ogni affanno (pasan ten merimnan) bisogna gettarla su di Lui, per sperimentare la sua sollecitudine (auto metei peri ymon).
È ancora l'invito battesimale-pasquale a perdere ogni autosufficienza, per essere affidati totalmente alla sua cura e alla sua potenza di risurrezione ed innalzamento dalla umiliazione.
5,8 «Siate sobri, vigilate», invito che ricorre spesso nell'epistolario paolino e nei vangeli sinottici. L'attesa del Signore e la capacità di riconoscerlo e accoglierlo nella sua venuta risiedono in questo duplice invito: nepsate, cioè siate sobri, non appesantiti, capaci di resistere al torpore; gregoreite, cioè vegliate, state svegli e alzàti in modo prolungato (è la forma derivata dal perfetto di egeiro, indicante l'azione duratura nei suoi effetti dello svegliarsi: è uno dei verbi utilizzati dal NT in riferimento alla risurrezione. Su tale invito si possono vedere le abbondanti ricorrenze nel NT: 1Ts 5,6-8; 1Cor 16,13; Col 4,2; 2Tm 4,5; 1Pt 1,13 (in riferimento ai fianchi cinti della mente); 4,7 (in relazione alla possibilità di dedicarsi alla preghiera); Mt 24,42-43//Mc 13,34-35; Mt 25,13; 26,38-41//Mc 14,34-38; Lc 12,37; At 20,31; Ap 3,2; 16-15. Il diavolo, colui che si mette di traverso per far inciampare e far desistere dal cammino, è chiamato avversario (antidikos). Sulla figura dell'avversario: Mt 5,25 e Lc 18,3, che utilizzano tuttavia il termine in senso più debole.
5,9: La fede è ancora una volta indicata come arma che rende forti (stereoi te pistei) contro il nemico: egli non sembra poter nulla laddove di esplica l'atto umile e povero della fiducia in Dio.
5,10: Coloro che hanno questa fede, sarà Dio stesso a rafforzarli in ogni modo. Quattro verbi indicano tale azione di Dio: rimettere in ordine o ristabilire (katartisei); rafforzare (sterixei); ancora fortificare (sthenosei); porre su solida base, fondare (themetiosei).
c) Spunti di riflessione teologico-spirituale
Nella unità si rafforza l'invito, presente già nel passo precedente, all'umiltà. Si invita a cingere l'umiltà nei rapporti vicendevoli, come si indossa una cintura per camminare più spediti e, soprattutto, come si cinge un grembiule, nella disposizione al servizio. Abbassarsi gli uni davanti agli altri è il modo evangelico di prendersi cura di loro, non dunque da protagonisti, ma da poveri, che non intendono esercitare un potere. Risuona qui l'invito di Gesù stesso nella sera della sua passione: «Amatevi gli uni gli altri», nella modalità di chi si piega a lavare i piedi dei fratelli (Gv 13,1-15). Ai discepoli Gesù disse che erano mondi, come chi ha fatto il bagno (Gv 13,10), a motivo della sua parola da essi accolta (Gv 15,3). Anche chi ha fatto il bagno necessita tuttavia di rimuovere la polvere che ai suoi piedi si attacca sempre, per il fatto che egli tenta comunque di camminare. È il cammino della vita a procurare a tutti un po' di polvere, che siamo sempre bisognosi di lasciarci lavare e che dobbiamo essere disponibili a lavare agli altri. Ci sono delle debolezze strutturali in ciascuno di noi che fanno appello alla misericordia del Signore e alla sollecitudine paziente dei fratelli. Ci sono storture che non si possono raddrizzare (Qo 7,13), per le quali è necessario l'esercizio di una misericordia continuata, in qualunque relazione e situazione di vita. Il modo di esercitare tale lavaggio di misericordia è quello dell'abbassamento, atteggiamento umile che incoraggia il fratello a non nascondere la sua debolezza e a non sottrarsi al gesto della misericordia offertagli. La Chiesa è il luogo e la struttura deputata all'esercizio della misericordia, dell'umiltà gli uni verso gli altri (Mt 18).
L'invito all'umiltà è subito dopo ripetuto in riferimento alla potente mano di Dio. La mano è biblicamente il segno della potenza, della forza creatrice, della capacità operativa (Es 3,19-20; 13,3; Sal 21,9; 32,4; Gb 12,10). La veste di umiltà indossata dal battezzato è dunque sincera disposizione ad affidarsi alla protezione di Dio, a lasciare che la sua potenza operi nell'esistenza rinnovata del credente proprio quando questi, nell'oppressione e nella prova si abbandona mediante l'atto di fede, rinunciando all'autosalvezza. Proprio sull'umile, con lo spirito contrito ed il timore della parola di Dio si dispiega la potenza salvifica della sua mano (Is 66,2; Sir 35,11-24; Lc 18,9-14).
L'esortazione ad «umiliarsi davanti al Signore» non esprime una volontà dispotica di annientamento dell'uomo, ma è incoraggiamento a diminuire per liberazione dal proprio io, carico di ansietà e preoccupazioni con l'atto alleggerente di «gettare in Lui ogni affanno», nella consapevolezza che Egli si prende cura delle creature più piccole e sprovvedute (Mt 34). Vi corrisponde l'invito di Gesù a coloro che sono affaticati ed oppressi a prendere su di sé il suo giogo leggero, per trovare pace e riposo alle loro anime (Mt 11,28-30).
La metafora vivace del leone ruggente caratterizza la seconda unità, dedicata alla considerazione del modo nel quale affrontare l'avversario. Tale immagine esprime efficacemente il potere distruttore (Ez 22,25), la forza devastante del nemico-satana, a cui sembrerebbe inevitabile soccombere. In realtà la forza di questo particolare nemico, il diavolo, sta nella sua ingannevole capacità di dividere, di separare da Dio, di far smarrire senso profondo di una figliolanza (Mt 4, 1-11//Lc 4,1-13), per ergersi invece superbamente contro Dio (Gen 3).
Solo l'umiltà che si esprime nella povertà dell'atto di fede, della consegna della propria vita ad un altro nella coscienza di essere nulla da se stessi, salva da questo avversario, privandolo completamente del suo potere. La fede, come perdita di potere su di sé è ciò che paradossalmente rende saldi sulla roccia (Amen) dell'amore provvidente e misericordioso di Dio. Coloro che nel battesimo hanno già fatto la rinuncia a Satana e la consegna della loro vita alla relazione con Padre dei cieli, sono invitati a permanere in tale atto di fede, rinnovando incessantemente al sopraggiungere della prova e della tentazione.
torna su
torna all'indice
home