Il diaconato in Italia n° 179
(marzo/aprile 2013)
TESTIMONIANZE
40 anni: da Torino
di Michele Bennardo
Si è tenuto il 10 novembre 2012, presso il Centro Congressi della Parrocchia del Santo Volto, il Convegno: "Fare memoria per essere profezia. Quarant'anni di diaconato permanente nella diocesi di Torino". Con esso la Chiesa torinese ha celebrato e ringraziato il Signore per il dono dei diaconi permanenti e ha riletto il cammino compiuto con l'obiettivo di guardare avanti e di cogliere quanto ancora lo Spirito santo intende suscitare in lei.
I lavori, moderati da Michele Fanelli (diacono) e Gabriella Simonis (moglie di un aspirante diacono), dopo i saluti iniziali di mons. Piero Delbosco (nuovo Delegato arcivescovile per il diaconato permanente a Torino) e di mons. Valter Danna (Vicario generale della diocesi di Torino), sono entrati nel vivo con le relazioni di Gianfranco Girola (diacono), Giorgio Agagliati (diacono) e don Giuseppe Bellia (biblista). L'intervento di mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha concluso la mattinata.
Mons. Delbosco ha voluto motivare la scelta della diocesi di fare un convegno per i quarant'anni di presenza del diaconato permanente dicendo che non si tratta solo di "celebrare un traguardo", ma di una preziosa «occasione per guardare alla nostra Chiesa torinese nella quale anche i diaconi sono strumenti dell'unico e vero protagonista: lo Spirito Santo». Sempre mons. Delbosco ha ricordato che «[...] sono stati i nostri pastori, il card. Michele Pellegrino [arcivescovo dal 1965 al 1977] e il card. Anastasio Ballestrero [arcivescovo dal 1977 al 1989], entrambi padri conciliari, che hanno voluto che la nostra Chiesa fosse animata da ministeri diversi ed hanno rimesso in piedi il Diaconato permanente. Nel corso di questi quarant'anni, anche gli ultimi nostri pastori, il card. Giovanni Saldarini [arcivescovo dal 1989 al 1999] ed il card. Severino Poletto [arcivescovo dal 1999 al 2010], hanno voluto una solida formazione per i candidati a questo importante ministero ordinato».
«La visione della Chiesa come "popolo di Dio", sottolineata dai testi conciliari, la proiettano e favoriscono la visione di essa come "comunione di corresponsabili". Il diacono, prendendo parte al sacramento dell'Ordine, è chiamato a servire la Chiesa in modo permanente favorendo una migliore relazione di essa con il mondo. La sua peculiarità parte proprio dall'inserimento nel mondo del lavoro e dalla realtà familiare per essere un ponte tra la gerarchia, di cui fa parte, e il laicato. È chiamato a essere annunciatore e trasmettitore della fede in modo adeguato alla nostra società. È essenzialmente un uomo di relazione che ha ricevuto una Grazia particolare per poter perseguire le finalità proprie della Chiesa attraverso la liturgia, la predicazione e la carità».
Mons. Danna, che ha potuto apprezzare nei suoi trent'anni di sacerdozio quale grande dono siano i diaconi per la Chiesa, ha esordito ricordando i diversi ambiti in cui, con grande fede e autentica dedizione, operano i diaconi torinesi: «da quelli caritativi e umanitari a quelli che riguardano l'ambito professionale e socio-culturale, all'impegno pastorale al servizio delle parrocchie».
Mons. Danna ha poi continuato dicendo ai diaconi presenti: «[...] in un recente studio che vi riguarda (La rivista del clero 6/2012: A. Borras, Quale ministero per i diaconi? Uno sguardo ecclesiologico) ho trovato un'interessante suddivisione dei molti inserimenti pastorali dei diaconi in tre figure idealtipiche, che mi paiono riassumere bene anche la varietà dei modi di declinare il ministero sacramentale del diaconato esercitato nella nostra diocesi: ci sono i diaconi "samaritani" più sensibili alle necessità del prossimo, i diaconi "profeti" più avvertiti delle sfide collettive, i diaconi "pastori" che esercitano un servizio di animazione nelle nostre comunità. Questa schematizzazione non esclude che vi siano certamente anche altre figure di servizio diaconale, ma l'importante è che si giunga sempre più a una valorizzazione dell'originalità del compito diaconale, superando una logica parziale che può divenire anche una deriva pericolosa perché vedrebbe il diaconato come una semplice supplenza presbiterale a seguito della carenza delle vocazioni al sacerdozio e dell'invecchiamento dei preti». Dall'intervento di mons. Danna, emerge poi una sottolineatura: il diacono non è un concorrente dei laici operatori pastorali né un prete diminuito o un suo supplente. «Il diacono - secondo il Vicario generale della diocesi di Torino - è, e deve sempre rimanere, una figura originale di ministero ordinato, che s'inserisce con una sua precisa configurazione, accanto al presbitero e al vescovo, a servizio della Chiesa, del popolo di Dio interamente caratterizzato dal sacerdozio comune originato dal battesimo, fonte e premessa di tutta la vita cristiana e di ogni ulteriore ministero».
Il diacono Girola, nel suo intervento, ha fatto memoria del cammino compiuto dalla diocesi di Torino da quando, nel 1977, il card. Michele Pellegrino volle in maniera pioneristica restaurare il diaconato permanente attuando così quanto previsto dal Concilio Vaticano II nel numero 29 della Lumen gentium, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa. Sono stati quarant'anni di grazia, di cammino e di crescita e anche di apprensione e di fatica. «Dopo un primo necessario periodo di formazione - ha ricordato Girola - ci sono state 39 ordinazioni in poco più di 5 anni, seguite da altre 68 nel decennio successivo; i ritmi sono calati nei due decenni successivi (rispettivamente 35 e 37 ordinazioni); l'ulteriore decennio è appena iniziato. Le testimonianze degli inizi ci dicono delle questioni pratiche da affrontare, come le indicazioni dei responsabili della formazione ai vari livelli; la definizione dei requisiti da chiedere agli aspiranti; i criteri di discernimento e di valutazione dell'idoneità degli aspiranti. E ben presto nacquero i primi interrogativi: le comunità accetteranno facilmente il ministero svolto da diaconi coniugati? I diaconi avranno tempo significativo da dedicare al servizio pastorale, dato che sono occupati nell'attività professionale? L'impegno pastorale gioverà alla famiglia del diacono, oppure sorgeranno tensioni tra i coniugi? Quale sarà la reazione dei figli: gradimento, indifferenza, malcontento o rifiuto? Per l'esercizio del proprio ministero il diacono disporrà della necessaria autorevolezza? L'attività del diacono s'integrerà in modo sereno con quella del parroco e dei presbiteri in genere?».
Nonostante tutto, le ordinazioni diaconali, in quarant'anni, nella diocesi di Torino sono state 179. Per quanto riguarda il cammino fatto, sempre il diacono Girola ha osservato che si è passati «[...] da una prima generazione di diaconi che, seguendo le indicazioni del Vaticano II, aveva netta la direzione del cammino da percorrere: Chiesa, Eucaristia e Carità formavano un trinomio programmatico che permetteva di avere una progettualità essenziale e chiara per congiungere dentro la comunità ecclesiale il ministero dei diaconi ai poveri; all'attuale generazione che gode di una formazione maggiormente istituzionalizzata e pensata e svolge servizi decisamente più diversificati: è sorta una diversa sensibilità diaconale che ha portato i diaconi ad allargare i loro orizzonti, senza per altro trascurare la diaconia verso i poveri, che forse rimane comunque il principale aspetto della loro presenza nella Chiesa». In questo cammino di crescita e di maturazione del diaconato nella diocesi di Torino non sono mancati i momenti di apprensione e di fatica, rendendo quasi profeti che le parole che a suo tempo aveva pronunciato il card. Anastasio Ballestrero: vedrete quanti problemi verranno fuori!
Il diacono Giorgio Agagliati, nel suo intervento, ha voluto leggere il presente del diaconato partendo innanzi tutto da un'analisi dei fenomeni e delle tendenze, esterne e interne, che direttamente o indirettamente lo riguardano: il prolungamento della vita lavorativa; il peggioramento attuale e prospettico delle condizioni economiche e sociali; il tendenziale abbassamento dell'età di ordinazione, non ancora tale da influire sulle statistiche, ma già visibile; le ordinazioni di diaconi con figli piccoli; la prospettiva di difficoltà e allungamento temporale per l'autonomia dei figli; la diluizione irreversibile dei riferimenti politici e la contemporanea maggiore importanza di una consapevolezza e partecipazione politica dei cristiani (v. richiami del Papa); la dimensione multi-etnica, multi-culturale e multi-religiosa della società; i new media e la conseguente moltiplicazione dei fronti, nonché la dispersione e incontrollabilità delle fonti e un più facile accesso alla pubblicazione di contenuti (rischio del "tutti profeti/predicatori online").
Si tratta, secondo Agagliati, di leggere i segni dei tempi come tali e non come fenomeni cui adeguarsi o da subire. Più precisamente, non si tratta di «pensare a come "adeguare" il diaconato permanente a fenomeni ineluttabili, ma [di] coglierli - senza forzare l'interpretazione - come modi in cui lo Spirito parla alla Chiesa e, quindi, come opportunità per far evolvere il diaconato verso la piena affermazione della propria identità, che è già chiaramente delineata sin dall'antichità ed è stata confermata e rafforzata dalla reintroduzione ad opera del Vaticano II». «L'evoluzione in atto - ha continuato Agagliati - rende sempre più concreta, anche nella nostra Diocesi, la definizione del diaconato come ministero "della soglia" tra società civile e Chiesa: un ministro ordinato che nella normalità della propria vita ha sia la dimensione familiare, lavorativa e di socialità dei laici, sia quella propriamente ministeriale nel triplice servizio della Parola, della liturgia, della carità. Si sta avverando la previsione di Giuseppe Dossetti che già nel 1966, l'anno successivo alla conclusione del Vaticano II, parlava "della introduzione di un diaconato molto largo, molto irraggiato, molto decentrato, che rappresenti veramente il punto terminale della inserzione dei carismi sacramentali nel tessuto concreto della comunità cristiana", da parte di "soggetti che vivono il più possibile nella condizione comune"».
Oggi ai diaconi si offre un'imperdibile occasione di riscoprire il cambiamento antologico che la sacra ordinazione opera in loro grazie al quale «[...] tutto il tempo del diacono è tempo ministeriale, non solo quello specificamente impiegato nei servizi ecclesiali. Il diacono così concepito - e anche questo era nella visione di Dossetti - può divenire importante elemento di rilancio dell'articolazione territoriale della Chiesa, là dove lo sradicamento e la mobilità tendono a privilegiare forme di appartenenza in cui il gruppo di riferimento si sostituisce al luogo».
Agagliati ha infine concluso che «proprio perché il fulcro delle urgenze e delle emergenze è la sfera economica, il diaconato non potrà essere sbilanciato sul fronte della carità e della liturgia (che restano, sia chiaro, imprescindibili), ma dovrà equilibratamente coltivare anche la dimensione dell'annuncio, essere competente "lettore" dei segni dei tempi alla luce del Vangelo in tutti i contesti in cui vive, essere sempre più formato all'accompagnamento spirituale delle persone che incontra».
Dopo i diaconi Gianfranco Girola e Giorgio Agagliati, ha preso la parola don Giuseppe Bellia (biblista della Facoltà teologica di Sicilia) per trattare il tema: Il diaconato permanente in Italia: analisi e prospettive. La sua prima considerazione è stata di ordine metodologico: nel disegnare la storia del diaconato in Italia non si può prescindere da due connotazioni, una spaziale ed una temporale. Don Bellia si è chiesto: c'è una storia del diaconato in Italia che caratterizza tutte le chiese? A questa domanda si può rispondere sì e no allo stesso tempo. Ci sono infatti, ancora oggi, alcune chiese locali che non hanno la figura del diaconato permanente e non ne sentono il bisogno; e chiese che ne hanno sentito il bisogno solo quando è venuto meno l'apporto presbiterale; ci sono chiese che hanno aperto al diaconato solo recentemente; e chiese che l'hanno fatto fin dai primi anni del suo ripristino ma, con il passare degli anni, hanno avuto pochissime ordinazioni o, addirittura, più nessuna.
Dopo l'intervento di don Giuseppe Bellia, ha preso la parola l'arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia. Il suo intervento era molto atteso perché, oltre a commemorare il quarantesimo anniversario dell'avvio del diaconato permanente in diocesi, ne avrebbe anche tracciato le linee di sviluppo per i prossimi anni.
Mons. Nosiglia, non ha mai fatto mistero della stima e dell'affetto paterno che nutre per i diaconi, e in ogni occasione si sforza di incoraggiarli e stimolarli a un servizio sempre più attento alle esigenze dei tempi. Per lui, commemorare il passato è necessario per capire chi siamo e da dove veniamo, ma adesso è ancor più necessario «[...] guardare avanti anche perché le sfide sono sempre più complesse e riguardano la Chiesa, la nuova evangelizzazione, la secolarizzazione imperante e le difficoltà nel credere da parte di tanti battezzati. I diaconi oggi sono chiamati a farsi carico di nuove forme di servizi e di impegni ma anche di una nuova forma di testimonianza forte del loro ministero che unisce insieme, per molti, il matrimonio e la famiglia con il sacramento dell'Ordine».
Un futuro, quello dei diaconi torinesi, che l'arcivescovo ritiene debba essere caratterizzato dal binomio "comunione e missione". E questo perché: «Diventare diaconi è accogliere una chiamata a uscire da se stessi, è accettare di venire espropriati, perché questa è la dinamica dell'amore. Un cammino che conduce alla pienezza dell'umanità di Cristo, secondo la nota convinzione dell'apostolo Paolo che dice: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Gal 2,20). È questa unione con Cristo che il diacono alimenta con una costante fede nutrita dalla Parola di Dio e dalla preghiera, da cui trae la forza di donarsi agli altri e ai poveri in particolare, quelli che mancano di beni essenziali per vivere dignitosamente e quelli che sono privi dei beni spirituali essenziali per la loro salvezza. Con una premura e uno stile tutto suo: quello di non pretendere di dare o trovare lui tutte le risposte ai bisogni, ma di sollecitare la comunità a conoscere e farsi carico delle persone, mediante un'opera di prossimità sempre più estesa tra i cristiani, nei luoghi di lavoro, di vita, di incontro. Inoltre, è suo compito aiutare altri fratelli e sorelle della comunità a mettersi in gioco per rispondere con generosità e formarsi a svolgere quei servizi necessari al bene di tutti».
In ultima analisi, il compito del diacono, in famiglia, in parrocchia, nell'ambiente di lavoro, nella società civile, è quello di essere «il custode evangelico della necessità indiscussa di imparare in ogni caso a servire i fratelli e ogni uomo al quale annuncia e testimonia Gesù Cristo. Non tanto come scelta opzionale o come atteggiamento volontaristico, ma come condizione essenziale, perché le relazioni diventino sempre più umane e quindi crescano nel Signore, sulla via della carità. È questo un compito che i diaconi sentono fortemente e che interessa tutta la comunità per farla crescere nella sua vera natura di popolo di servi del Signore, chiamato ad essere luce delle genti e sacramento di unità per tutto il genere umano». «È importante che ogni presbitero sia consapevole del dono grande di poter contare in parrocchia su un diacono permanente e ne valorizzi il ministero con la massima cura, seguendone altresì la vita spirituale e formativa per il bene della comunità. L'unione e la collaborazione corresponsabile tra i presbiteri e i diaconi diventa così il segno di una comunione ecclesiale di grande significato anche per tutti gli altri ministeri e carismi presenti nella comunità». Nell'ultima parte del suo intervento, l'Arcivescovo di Torino si è rivolto agli aspiranti diaconi, ricordando loro che prima di tutto è necessario parlare della propria intenzione di iniziare il cammino diaconale con la moglie, con i figli, con i presbiteri e verificare se effettivamente si è disponibili a relazionarsi con gli altri, a collaborare con umiltà e a lavorare insieme con tutti; a mettersi in gioco secondo criteri di gratuità e generosità, sapendo anche fare un passo indietro per lasciare il posto ad altri.
A conclusione del suo intervento, mons. Nosiglia ha lanciato un accorato appello a giovani e adulti, celibi o sposati che nelle comunità sono impegnati in vari servizi catechistici, caritativi e liturgici o che comunque sentono nel cuore il desiderio di consacrare la vita a Cristo e alla comunità: «prendete in seria considerazione tra le varie chiamate anche questa del diaconato permanente quale sbocco possibile della vostra vita cristiana. Avremo così a disposizione per la nostra Chiesa ministri preparati e servitori delle comunità ricchi di fede, di spirito di preghiera e di carità». Un augurio, quest'ultimo, che facciamo nostro e che dalle pagine della rivista Il diaconato in Italia estendiamo dalla diocesi di Torino alle diocesi d'Italia e del mondo intero.
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