Il diaconato in Italia n° 179
(marzo/aprile 2013)
EDITORIALE
Il servo sofferente edifica la Chiesa
di Giuseppe Bellia
Fin da principio i canti del Servo sofferente si sono prestati a una imponente e fruttuosa lettura cristologica che rischiava di enfatizzare l'aspetto sacrificale e messianico dilatando la sua esemplare esistenza oltre i confini della moralità ordinaria. Ancora oggi la gran parte dei commenti si muovono in questo orizzonte ermeneutico. Ma da ultimo qualche autorevole voce di dissenso ha cominciato a contestare questa linea interpretativa. Certo, il metodo storico-critico, attraverso comparazioni, esclusioni, adattamenti, ampliamenti e glosse redazionali, ha permesso di individuare gli apparentamenti e le probabili tradizioni originarie consentendo così una ricostruzione ipotetica della lezione primaria giudicata idonea per raggiungere il vero messaggio dell'autore/redattore. Una lettura cristologica per quanto coscienziosa deve sempre tener presente il fatto che un testo non è mai contenuto e compreso da una sola interpretazione, lasciando spazio ad altre legittime e forse più sintetiche e coinvolgenti letture (v. l'interpretazione di stampo post-critico di Walter Brueggeman). Si vuole cioè leggere Isaia e il carme del Servo sofferente come profezia per la Chiesa di oggi chiamata non a celebrare e ingessare i suoi martiri ma a lasciarsi provocare dalla insolita martyria profetica di testimoni di Cristo nel nostro tempo, come padre Pino Puglisi.
Il punto di partenza è che tutta la vicenda del libro di Isaia ruota attorno alle pretese teologiche, politiche e, alla fine, ideologiche della città di Gerusalemme. Dalla promessa di assistenza incondizionata fatta a Davide e alla sua discendenza (2Sam 7,15-16), alla solenne assicurazione fatta da Dio a Salomone di abitare per sempre nel tempio da lui eretto (1Re 8,12-13), confermate dal salvataggio miracoloso della città nel 701 a. C. davanti alla minaccia devastatrice dell'esercito assiro di Sennacherib (2Re 19,32-37 e Is 37,33-38), si era venuto a creare nell'immaginario collettivo del popolo della Giudea l'idea di una città imprendibile, destinata a essere preservata dai capricci della storia. Il libro di Isaia ci racconta di una città presentata in tre distinte situazioni storiche e religiose che nel passaggio dal proto al deutero Isaia registra una cesura profonda e inspiegabile. Ecco le immagini vivide e toccanti che raffigurano il fallimento della Gerusalemme davidica: «È rimasta sola la figlia di Sion come una capanna in una vigna, come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata. Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto, già saremmo come Sòdoma, simili a Gomorra» (Is 1,8-9). Così il primo Isaia racconta la parabola discendente di una città descritta nel suo progressivo declino politico e religioso cui viene incontro nel capitolo 40 un inspiegabile e perentorio aiuto del cielo. Il profeta della consolazione divina ha parole nuove che invitano alla speranza: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati» (Is 40.1-2).
Parole di conforto che diventano nel terzo Isaia un preciso discorso di fiducia e di incoraggiamento che culmina con la visione di una nuova Gerusalemme: «Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio» (Is 65,17-18). Immaginazione profetica che descrive una città nuova, restaurata, divenuta madre gioiosa di figli posta come segno di speranza per tutti i popoli: «Poiché così dice il Signore: Ecco io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati» (Is 66,12-13). Da queste brevi citazioni emerge con chiarezza un quadro d'insieme che vede, dopo il giudizio severo dato sulla città di Davide all'inizio, un insperato rovesciamento di sorti operato da Dio, seguito da una premurosa e tenera conferma che diviene un sicuro orizzonte di speranza nel finale del libro. A questo punto è facile cogliere al centro della complessiva storia di Gerusalemme un salto, un vuoto di accadimenti, una vera cesura narrativa la cui profondità è commisurata alla triste realtà storica della distruzione e del successivo esilio.
Appare qui evidente la buona mano del redattore finale che con un atto poietico di indubbio valore artistico permette di abbracciare l'intera vicenda storica della città santa vista però in netta antitesi con le pretese ideologiche di immunità della propaganda politica e delle consuetudini liturgiche templari che insistevano a misconoscere la triste esperienza di un crollo sociale, di una disfatta umana che era stata risolta dall'esterno per un preciso intervento divino. Una pervicace opera di contestazione dunque che richiedeva al lettore di uscire dalla ripetitività di una ideologia religiosa superata dai fatti che poneva nel contempo la domanda sulle reali cause di rinascita e sulle effettive forze di rinnovamento di un tessuto urbano distrutto e inservibile, come ancora un secolo dopo lo descriverà Neemia, lo scriba ricostruttore.
La riedificazione avviene per un singolare evento messianico deciso dalla insondabile volontà divina che utilizza la sofferenza di un misterioso servo come lievito di trasformazione e di risurrezione per un intero popolo. La speranza irrompe dall'alto, viene dall'esterno del sistema immerso in tenebre e ombre di morte, viene come risposta di Dio al lamento dell'uomo, al grido del credente che sa che non c'è chi possa dargli consolazione. Non a caso il termine «evangelo» si incontra per la prima volta in modo compiuto proprio in preparazione al portale d'ingresso del quarto canto, perché si parla di un «messaggero di pace», del «messaggero che arreca buone notizie» che «dice a Sion il tuo Dio regna» (Is 52,7). Il travaglio del servo mite e innocente interpella l'onore di Dio, la sua giustizia e fa luce sul reale progetto divino che mira a togliere dall'afflizione tutta l'umanità. È questa la ragione per cui non sembra lineare ed esaustiva una lettura cristologica diretta dei canti del servo che, nell'economia narrativa del redattore finale, assolvono un ruolo strumentale rispetto al progetto più ampio della ricostruzione della città di Gerusalemme, vista nelle pagine del Nuovo Testamento come la sposa preziosa dell'Agnello che splendida discende dal cielo pronta per le nozze (Ap 19,7; 21,2). Non una lettura quindi in parallelo tra i due Testamenti, ma una concezione cristologica convergente più unitaria ed estesa che abbraccia il destino della città dell'uomo che Dio, il Padre, vuole ricostruita e florida, ieri come oggi.
Non si vuole qui tracciare, per scopo attualizzante, il percorso ricostruttivo della nuova Gerusalemme che nelle pagine neotestamentarie culminano nella visione apocalittica del veggente di Patmos, ma come non ricordare il pianto di Gesù sulla città santa che segnala una frattura disastrosa nella storia della città, analoga a quella conosciuta dal deutero Isaia? Per approfondire il senso di questa rinascita messianica si devono prendere in considerazione accanto al ruolo del "servo sofferente", le azioni di quanti operano per realizzare la ricostruzione della città nuova. La riedificazione, nella tradizione profetica, è un'opera storica e ideale, personale e insieme collettiva, materiale e spirituale, frutto di un sentire etico che spinge singoli e comunità a fare scelte coraggiose, compiendo azioni concrete giorno dopo giorno nel silenzio della ferialità. Come la rinascita di Gerusalemme è legata all'opera storica di Ciro, di un non ebreo, di un pagano proclamato messia, allo stesso modo la ricostruzione della città terrena necessita di attori umani concreti e responsabili che mettono in atto una serie di comportamenti conseguenti.
Cogliere il senso pedagogico ed esemplare della testimonianza data dal servo sofferente permette di ricomprendere come tutte le scelte sociali e politiche compiute per la riedificazione del tessuto urbano disgregato sono in definitiva un atto di obbedienza di tipo messianico che asseconda la realizzazione del disegno di condivisione e di solidarietà voluto da Dio per il suo popolo. Il Regno di Dio, infatti, è dentro l'uomo e perciò è alla portata di ogni uomo e con il sacrificio del Figlio/servo si viene a configurare come luogo testimoniale di fraternità.
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