Il diaconato in Italia n° 178
(gennaio/febbraio 2013)
CONTRIBUTO
Come una sinfonia. Ripensare l'ascolto a partire dal Verbo
di Domenico Concolino
Presentiamo la prima parte di questa sapida riflessione sull'identità teologica del Verbo: la Parola di Dio coincide tout court con le Sacre Scritture? Il primato dell'occhio si impone persino durante la celebrazione eucaristica, quando seguiamo "sul foglietto" le letture e sembra che tutto si risolva in quell'atto.
Cosa intendiamo con il termine "Parola di Dio"?
Quando poniamo la domanda intorno alla identità globale della Parola di Dio chiedendoci "che cos'é la parola di Dio" spontaneamente e nella maggior parte dei casi, il popolo cristiano la identifica con la sacra Scrittura1. Per molti, la parola di Dio coinciderebbe semplicemente con la Bibbia, con quel particolare testo scritto ed ispirato che prolunga la presenza dei pensieri di Dio nel mondo e nella storia e che perciò possono essere raggiunti attraverso una lettura (lectio) ed una sua spiegazione (esegesi) da parte della Chiesa. In questa prospettiva però ci troveremmo davanti ad un fenomeno tipicamente letterario e tutto ciò che il credente è chiamato a fare è guardare, leggere, un verbo scritto ricercando un'insieme di nozioni.
Alla stregua di ogni altro libro antico, la fede si condenserebbe solamente nella ricerca di un significato racchiuso in uno scritto. Tutto qui. In questo quadro la Parola di Dio sarebbe indagata con la vista e non ex auditu (Rm 10,14) e con ciò ogni diligente lettore volgerebbe la sua attenzione soprattutto a ciò che è avvenuto nel passato. La parola letta evidenzierebbe tutta la sua dimensione informativa e nozionistica ma ancora sarebbe lontana dal suo aspetto performativo cioè l'accogliere ciò che oggi Dio vuole dirci. In un bellissimo passaggio della Dei Verbum, viene evidenziato questo aspetto attuale del Verbum Dei: «Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza» (DV 8,3).
La costituzione dogmatica sulla rivelazione e ancor più esplicitamente l'Esortazione post sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI, ci hanno consegnato una prospettiva ampia ed attuale .del Verbo di Dio, che non ci fa guardare solamente agli inizi del dialogo tra Dio e l'uomo (ha parlato in passato) ma ampliando una visione "materialista" e "documentale" della Parola hanno esplicitato nei concetto di rivelazione anche la dimensione sacramentale e pneumatica del Verbo di Dio (non cessa di parlare con la sposa). Così possiamo dire che il Padre per l'azione efficace dello Spirito mediante il Vangelo annunciato dalla Chiesa e nella Chiesa, realizza la sua presenza nei cuori dei credenti comunicando la sua vita.
In questa luce l'intero cristianesimo risulta reinterpretato. Benedetto XVI a riguardo dice sinteticamente: «Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una "buona notizia" - una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo "informativo", ma "performativo". Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (Spe salvi, 2).
Io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi! (Gal 4,19)
La Dei Verbum ha introdotto nel cammino della Chiesa un allargamento degli orizzonti riguardo al concetto di Parola di Dio, infatti nel suo solenne incipit che recita: «Dei verbum religiose audiens et ridenter proclamans» è contenuta in nuce questa prospettiva ampia che ci mostra una visione di Chiesa e di Parola ancora molto lontana da essere adeguatamente recepita nella vita della chiesa. La Chiesa appare implicata nel Verbo di Dio, potremmo dire con un'immagine plastica essa come il lievito e la pasta, da una parte appare come Creatura Verbi cioè frutto della Parola di Dio intesa in senso pieno e globale (Dei verbum religiose audiens = DV 1), dall'altra essa stessa è Madre e donatrice della parola che salva (ridenter proclamans, DV 1) 2. La Parola, allora non è posseduta come un oggetto, ma eccede la Chiesa perché coincide con la persona stessa del Verbo risorto, ma allo stesso tempo la implica perché è chiamata da Cristo ad essere sua fedele serva e dispensatrice (cf. Mc 16,15; Mt 19,20) 3.
L'ascolto del Verbo di Dio non risiede perciò primariamente in un sapere statico e formale, un sapere che si trova alle nostre spalle, ma si realizza e si attua invece in una relazione vivente con la Parola di Dio, una parola che ci raggiunge «lì dove sono posti i carismi del Signore», primariamente udita nella liturgia e nella predicazione apostolica. Solo dinanzi ad una Parola vivente (cf. prefazio II del tempo ordinario) che sacramentalmente si dona nella Chiesa la nostra vita può realisticamente cambiare, convertendosi ad essa rinnovandosi interiormente. Dunque, la Dei Verbum presenta la rivelazione di Dio come la presenza attuale del Cristo risorto che nello Spirito Santo parla alla sua Chiesa in diversi modi4. È il Cristo risorto che si lascia raggiungere dalla fede dei credenti attraverso una relazione con una persona viva che ci precede e ci accompagna ed allo stesso tempo suscita un sapere di tipo dottrinale che si cristallizza in un deposito5.
Questa tendenza trova un fondamento nel rinnovamento del concetto di rivelazione che si attuò all'ultimo Concilio e che si tradusse in modo evidente nel rifiuto del De Fontibus e nella redazione della Dei Verbum. Proprio nella Dei Verbum la Parola di Dio non coincide con la Scrittura.
Il biblista, ora cardinale Albert Vanhoye, nel suo commento al concetto di rivelazione della Dei Verbum, ha attirato l'attenzione sulla differenza fondamentale di parola e scrittura, dichiarando come proprio questa assenza di distinzione risulta essere uno degli aspetti insoddisfacenti della recezione del documento sulla rivelazione nella vita della Chiesa6. Non era infatti nell'intenzione dei padri identificare Dei Verbum e Verbum scriptum poiché ciò avrebbe relegato l'intera rivelazione alla stregua di un fatto passato senza nessun reale aggancio con la vita della Chiesa nel tempo. Paradossalmente invece, ricorda sempre padre Vanhoye, il concilio quando parla di sacra Scrittura la intende legata all'atto del parlare di Dio; essa è locutio Dei, per questo anche il Libro sacro è visto, non nel suo stato finale come un testo ormai staccato dal suo autore, ma al contrario, nel suo sorgere, come un testo unito allo Spirito Santo e da esso mantenuto vivo dalla Chiesa. Il libro sacro è atto vivente di Dio e trova la sua significazione nel momento in cui è messo per iscritto.
La parola di Dio è perciò vive in una unità non frantumabile che si instaura tra Dio, lo Spirito, la Chiesa, lo scritto, l'annuncio, ed infine il cuore dell'uomo. Così la tendenza alla non identificazione tra Rivelazione e Libro è centrale nel pensiero cattolico sul Verbo di Dio, essa viene ribadita più volte sia nei testi di preparazione e di celebrazione del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, come pure nell'esortazione Apostolica post-sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI. Si tratta in definitiva di affermare una visione sacramentale della Parola di Dio in tutta la sua ampiezza e differenziazione. Questa a sua volta rimanda ad una visione profondamente patristica dell'incontro tra Dio e l'uomo, dove la verità della sacra Scrittura è letta in rapporto analogico con il mistero dell'Incarnazione del Verbo e della sua permanenza nel mondo e nella storia degli uomini7.
La fede come atto sinfonico di ascolto del "Dio che rivela"
Una delle caratteristiche principali distinzioni sulla identità teologica della "Parola di Dio" che la Dei Verbum ha evidenziato, e la Verbum Domini ha ulteriormente esplicitato, è la sua irriducibile dimensione analogica, l'analogia Verbi, appunto. Detto più semplicemente: sotto il termine "Parola di Dio" raggruppiamo ed intendiamo cose diverse e perciò non sempre con lo stesso concetto intendiamo l'identica cosa.
Benedetto XVI osserva: «Si è giustamente parlato di una sinfonia della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: "un canto a più voci"», (Verbum Domini, n. 7) . .la Scrittura infatti non è tutta la Parola e tuttavia non è da essa distaccata. Scrittura sacra e Parola di Dio restano però implicati8. Ora questa analogia Verbi rimanda a sua volta ad un altro concetto ugualmente fondamentale che interessa l'identità teologica della parola di Dio è cioè quello della sua sacramentalità. La Verbum Domini al n. 56 ne parla in questi termini: «La Parola di Dio si rende percepibile alla fede attraverso il "segno" di parole e di gesti umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli stesso si presenta a noi».
L'intelligenza profonda del mistero dell'incarnazione ha così prodotto una ulteriore elaborazione dottrinale, che ci appare dogmaticamente pregnante ed al tempo stesso profondamente pastorale: Dio è presente nel Verbo suo mediante lo Spirito Santo, poiché la sua Parola non è una realtà a lui estranea, ma al contrario è creduta strettamente unita a lui e dipendente. Il Padre si dona tutto nel suo Logos (cf. Gv 1,18). La Parola del Padre, «Parola uscito dal silenzio» (Ireneo di Lione), diventando carne nel grembo verginale di Maria, da invisibile ed eterno è divenuto visibile e storico. Proprio questa realtà globale dell'incarnazione ci consente di pensare la Parola di Dio come strumento per conoscere ed amare Dio. La prima lettera di Giovanni ci offre questa grandiosa visione d'insieme.
«Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1Gv 1,1).
La profonda intelligenza del mistero dell'Incarnazione giustifica così una visione sacramentale del Verbo di Dio, e questa a sua volta apre il credente ad un atto di fede consapevole e fruttuoso. La fides ex auditu appare qui in una luce più ampia poiché la parola di Dio udita è ora quella inabitata dallo Spirito Santo9. Spesso infatti la Parola è vista semplicemente nella sua dimensione più esterna, informativa, completamente distaccata da Cristo e dalla Chiesa, dimenticando che in analogia con il mistero della incarnazione, proprio in "quella carne" si fa presente il Risorto e proprio mediante una voce umana viene percepita la sua presenza viva.
L'eccedenza della Parola, che già il vangelo di san Giovanni attesta10, rispetto al suo darsi nella storia, deve essere mantenuta appunto affinché questa visione sacramentale sia davvero reale e pastoralmente significante. Inoltre, rivediamo qui anche la finalità precisa della utilità della sacra Scrittura (cf. 2Tm 3,17), la quale, vista dalla parte di Dio è opera dello Spirito Santo e permette che il messaggio del Cristo sia testimoniato e conosciuto in ogni tempo ed in ogni luogo; ma visto dalla parte dell'uomo, rappresenta un'apertura, un luogo di incontro tra il Verbo di Dio ed il nostro cuore. Così ci risulta più chiaro perché la religione cristiana può definirsi religione della Parola e non religione del libro, poiché si tratta di una parola vivente donata nello Spirito Santo e da Lui animata mediante la Chiesa. Parola che a motivo della sua eccedenza rispetto alla scrittura non vive solamente nel cuore dell'uomo diventandone idolatricamente un possesso, ma è anche attestata al di fuori di noi, come uno specchio entro cui Dio e la sua verità si donano e si mostrano continuamente (cf. DV 7). La Parola resta perciò sempre di Dio pur essendo detta dagli uomini. In questo orizzonte di pensiero è necessario più che mai indicare con cura ed indagare diligentemente i "luoghi" entro cui il Verbo del Padre ha scelto di comunicarsi a noi e conseguentemente può essere raggiunto per fede da ogni uomo in ogni tempo.
Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo (Is 26,17-18)
Non bisogna dimenticare, infatti, che la preoccupazione pastorale dell'ultimo concilio, spinse i padri ad esprime, nella conclusione della Dei Verbum, al numero 26, la grande speranza riguardo ai frutti di un rinnovato amore per l'ascolto della parola di Dio. I padri interpretando parallelamente il mistero della Parola con quello dell'eucaristia affermano: «In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri "la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata", e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico (assidua frequentatione mysterii eucaristici) si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione per la parola di Dio (veneratione verbi Dei), che "permane in eterno"».
La collocazione della Bibbia all'interno del dialogo tra Dio e l'uomo è un'acquisizione molto interessante della concezione conciliare del Verbo di Dio. La Bibbia è il libro della Chiesa e non ha vita indipendente. È infatti proprio di Dio, il Padre Onnipotente, raggiungere ed abitare ogni cuore mediante il Verbo suo. Egli non arresta il suo cammino all'interno di un libro, ma lo utilizza come via e spazio di incontro per ogni uomo di buona volontà11. L'antica pratica della Lectio divina è in questo senso una esplicitazione di questo atteggiamento di ricerca di Dio e di fede dell'uomo.
La fede allora è un atto sinfonico. È un atto che si lega al Dio che parla rivelando se stesso in una molteplice e differenziata «parola» (cf. Eb 1,1) al cui centro splende il «sole di giustizia» (Mal 3,20) il Cristo Risorto che si fa presente e parla oggi nello Spirito Santo mediante il suo corpo ecclesiale.
Note
1. Su questo vedi più diffusamente: D. Hercsik, L'importanza della 'Parola' per la teologia fondamentale, in C. Aparicio Valls - S. Piè-Ninot, Commento alla Verbum Domini, Gregorian & Biblica Press, Roma 2011, p. 161-170.
2. Cf. L. Scheffczyk, La Chiesa. Aspetti della crisi postconciliare e corretta interpretazione del Vaticano II, Jaca Book, Milano 1998, p. 29-39.
3. Cf. W. Kasper, Il dogma sotto la parola di Dio, Queriniana Brescia 1968, p. 99-114.
4. Su questo vedi: G. O'Coliins, Rivelazione tra passato e presente, in R. Latorurelle (ed.), Vaticano II: Bilancio e Prospettive, venticinque anni dopo (1962-1987), Assisi 1987, p. 126-135.
5. Su questo cf. J. Wicks, Introduzione al metodo teologico, Piemme, Casale Monferrato, 1994, p.28-29.
6. Cf. A. Vanhoye, La parola di Dio nella vita della Chiesa. La recezione della "Dei Verbum", in R. Fisichella (a cura di), Il concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, Cinisello Balsamo 2000, p. 29.
7. La prospettiva era già presente in: Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Commissione Biblica, "Di tutto cuore", 6, in Osservatore Romano, 25 aprile 1993.
8. Sul significato teologico di questa differenza ed implicazione cf. A. Vanhoye, La parola, op. cit., p. 30.
9. Su questa importante connessione tra Verbo di Dio, Pneuma e predicazione ecclesiale vedi i primi due capitoli che trattano sia della teologia della parola di Dio nel nuovo testamento e sia della implicazione tra la parola di Dio e parola umana in: H. Schlier, La fine del tempo, Paideia, Brescia 1971, p. 19-41.
10. In due passaggi del Vangelo di Giovanni viene rappresentata questa eccedenza del rivelazione del Verbo personale rispetto alla sua testimonianza scritta ed ispirata: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31); e ancora: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,24-25).
11. Su questo mi permetto di rinviare a: D. Concolino, De Verbo dei incarnato: Incarnazione e teologia della Parola, in Lateranum, 75 (2009/2) 439-463.
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