Natale del Signore (Messa del giorno)

ANNO C - 25 dicembre 2012
Natale del Signore (Messa del giorno)

Is 52,7-10
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
LA FEDE APRE LE PORTE
ALLA SICURA SPERANZA

Natale, tempo di sentinelle: così potrebbe titolarsi una riflessione sul Natale che esca dalle convenzioni nelle quali la festa cristiana è stata ingabbiata dalle ferree leggi del mercato delle merci e dei sentimenti. Nonostante la sua coloritura guerresca, il termine "sentinelle" conserva un suo fascino e Giovanni Paolo II lo aveva intuito quando, nell'indimenticabile notte di Tor Vergata, spronò i giovani convenuti a Roma per la Gmg del 2000 a farsi "sentinelle del mattino".
Forse, se molti dei signori che hanno contribuito a portare il mondo sulla soglia di reiterate catastrofi avessero capito la loro vita come un "turno di guardia", il mondo oggi sarebbe diverso. Soprattutto, se ci fossero sentinelle capaci di prorompere in grida per l'arrivo di messaggeri che portano annunci di vita e di pace, di giustizia e di amore, le nostre "città" sarebbero meno desolate, le nostre strade meno buie, le nostre vite meno tristi. E "Natale" sarebbe, prima di tutto e davvero, tempo della consolazione di Dio.

Celebrare il Natale nell'anno della fede non significa forse ripartire proprio da lì? Una fede ideologica, una fede consegnata all'esteriorità di riti, religiosi o mondani poco importa, una fede a cui basta il presente non è forse una fede senza fiducia? Il problema del nostro stanco mondo contemporaneo è che ci è stata tolta la fiducia. Tutto insospettisce e tutti impauriscono, tutto atterrisce e tutti mettono in allarme. Per i giovani, gli anziani sono ormai una minaccia; per i genitori, i figli sono una preoccupazione; per i vecchi, i giovani sono una sconfitta; per i figli, i genitori sono un'incognita pesante; per i cittadini, i politici sono approfittatori.
In questo nostro continente, che è stato insignito del premio Nobel per la pace perché ha espulso le guerre dai suoi confini, ha fatto del welfare uno stile di vita, ha coltivato il sogno di costruire un'unità capace di non sopprimere le differenze, è da tempo ormai in atto una pesante e allo stesso tempo inafferrabile "guerra civile". Troppe sentinelle distratte o addormentate non intercettano più i messaggeri che annunciano la pace, non prorompono in grida di gioia. Da questo punto di vista, le nostre Chiese cristiane hanno enormi responsabilità.

Eppure, celebrano il Natale. Non a una sola voce e neppure nello stesso giorno, perché l'unità delle Chiese è ancora lontana. Soprattutto, non come momento in cui Dio riscatta il suo popolo, perché troppo spesso ancora colpevolizzano invece di sostenere, mortificano in- vece di incoraggiare, accusano invece di perdonare. Quali parole di consolazione, quali messaggi di speranza, quali incitamenti alla fiducia siamo capaci di far risuonare nelle nostre celebrazioni liturgiche?
Abbiamo bisogno di ritrovare la fiducia, quella del cuore e insieme della mente, quella che non può essere tacciata di ingenuità né, tanto meno, di pressappochismo. Abbiamo bisogno di un Natale che sia "evangelico", buona notizia che apre la mente e il cuore a una vita capace di cominciare sempre di nuovo, a una storia che, nella sua ambiguità e, spesso, atrocità, porta però in sé un sogno di speranza.
Forse, un Natale degno di questo nome sta tutto nelle parole semplici con cui Carlo Maria Martini ha chiuso la sua ultima intervista pubblica: non chiedere cosa la Chiesa deve fare per te, ma chiediti cosa tu puoi fare per la Chiesa. Per la Chiesa, ma anche per il mondo, per questo nostro Paese tenuto da troppo tempo sotto assedio da ladri e banditi, per chi abbiamo intorno, sano o malato, giovane o vecchio, giusto o ingiusto. Natale come momento in cui chiedersi cosa ciascuno di noi fa per rinascere a vita nuova e far rinascere a vita nuova. Natale come momento in cui riprendere il proprio "turno di guardia".

L'inizio del vangelo di Giovanni conferisce alla fede una prospettiva grandiosa: tutto ciò che esiste e tutto ciò che accade in cielo e sulla terra rivela la grandezza e la bontà dell'opera di Dio, riaccende la speranza perché assicura la vittoria del bene. Su tutto trionfa la luce. La Parola, il logos, ha creato l'universo, l'ha fatto passare dal caos al cosmo, dal disordine all'ordine. La sua luce splende fin dall'inizio su chiunque viene in questo mondo e la violenza delle tenebre e del male non potranno mai vincere sulla forza della luce vera.
La Parola sostiene ogni cosa perché è sapienza di Dio che ama tutto ciò che esiste e non respinge nulla di ciò che ha creato. La grandezza della sapienza divina supera ogni debolezza. E, piantando la sua tenda in mezzo agli uomini, Gesù rivela che la gloria di Dio altro non è se non l'amore per tutto ciò che vive. Nessuna fede è possibile senza speranza. Per questo la Parola, che è traduzione concreta ed efficace della sapienza di Dio, chiama ad accettare un'economia trascendente che, pur restando misteriosa, infonde speranza.

Soltanto chi è aperto alla speranza accetta di fare della propria vita un "turno di guardia". Non per difendere il mondo dai nemici, ma per intercettare i messaggi di consolazione e di pace e per intonare inni di festa nel giorno in cui il Figlio unigenito che è nel seno del Padre viene a rivelarci il volto di quel Dio che nessuno ha mai visto.

VITA PASTORALE N. 10/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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