Immacolata concezione della B.V. Maria

ANNO C - 8 dicembre 2012
Immacolata concezione della B.V. Maria

Gen 3,9-15.20
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38
L'INIMICIAZIA TRA LA
DONNA E IL SERPENTE

Siamo abituati a una lettura cristologica e mariologica del monito che Dio rivolge al serpente dopo la caduta originaria dell'uomo e della donna. La tradizione patristica l'ha infatti interpretato come "protovangelo" e quella simbolico-artistica ha sovrapposto ad esso l'immagine della donna vestita di sole dell'Apocalisse. Coglierne il valore di parola che ha a che fare con la nostra vita, prima ancora che con la salvezza delle nostre anime, può forse aiutare a entrare nel significato di una festa, l'Immacolata concezione, difficile da spiegare.
Essa rischia infatti di rimanere schiacciata tra un accentuato astrattismo dogmatico e il valore aggiunto che le conferisce una pratica religiosa ad alto tasso di partecipazione popolare. Da una parte, infatti, c'è la più umana delle azioni, il concepimento, che, secondo il pronunciamento dogmatico, nel caso di Maria viene sottratto da Dio stesso, una tantum, alla condanna che lo collega alla caduta originaria; dall'altra, c'è l'incessante ricorso orante a una figura di donna che ha acquisito ormai consistenza teologica in sé e si offre alla venerazione dei fedeli sola, senza portare in braccio suo Figlio.

All'interno del racconto genesiaco, invece, l'inimicizia tra la donna e l'animale costretto a strisciare ha un significato diverso. Se si vuole rispettare il testo, il nome che Adamo dà alla donna non è "Eva", come siamo stati abituati a pensare da una traduzione che lascia intendere che si tratti di "una" donna specifica, dotata di nome e quindi di identità storica, ma è "Vita", cioè madre di tutti i viventi. Adamo riconosce che solo attraverso colei che è carne della sua carne gli è possibile la trasmissione della vita. Solo all'interno di una stessa specie e solo passando per il corpo delle donne, è possibile la procreazione. Come fatto biologico, certo. Anche, però, come fatto teologico, perché per la fede di Israele venire alla vita dal corpo delle donne significa essere chiamati al rapporto con Dio. Il più comune dei misteri, la procreazione, non ha valore solo in sé stesso, perché partecipa di un'altra chiamata alla vita, la creazione, cioè il rapporto con Dio.
Il mistero, luminoso e tremendo, l'unico assolutamente precluso ai maschi perché si svolge tutto dentro il corpo delle donne, è il mistero della nascita della vita. I maschi possono constatarlo, possono "chiamarlo", ma non possono viverlo: tutti coloro che vedono la luce sono "nati di donna". Si tratta di un potere immenso, di cui nessun maschio, neppure prometeico, ha potuto mai appropriarsi. Si tratta però anche di un potere che, come tutto ciò che vive, contiene in sé una minaccia. C'è un'insidia che accompagna il miracolo della vita e, di conseguenza, il miracolo della creazione, un'inimicizia strutturale, limitata ma permanente, in grado di attentare alla vita, di tenerla sotto scacco, anche se non di vincerla. La vita, infatti, vince comunque.
Si tratta di un messaggio di una bellezza straordinaria che chiede di lasciare da parte le visioni lugubri che una certa teologia del peccato originale ha portato con sé. "Vita" è segnata dalla minaccia, ma genera viventi capaci di schiacciare la testa a colui che già Dio stesso ha maledetto. Per questo, allora, Paolo può guardare i credenti come coloro che sono "santi e immacolati" fin dalla creazione del mondo, come coloro che sono predestinati alla vittoria: in ciò che siamo c'è la promessa di ciò che saremo, alla fine, quando Vita avrà vinto in modo definitivo su ogni insidia, su ogni inimicizia.

Rimanendo in questa linea, il racconto dell'annuncio dell'angelo a Maria viene liberato da un'insistenza univoca sulla dimensione fisiologica della sua concezione verginale. In termini biblici, il miracolo che accompagna ogni concepimento umano è che esso è, sì, funzionale alla generazione e alla sopravvivenza della specie, come per tutti gli esseri viventi, ma è funzionale, soprattutto, alla comunione con Dio: la "Vita" è generazione, ma è anche creazione. Il mistero della vita non si esaurisce nello straordinario miracolo che va dal concepimento alla nascita, perché tutto ciò che vive e respira, ma anche tutto ciò che si muove nell'universo, tutto è ricondotto dal caos all'ordine grazie alla parola creatrice di Dio.
In tanti si lambiccano il cervello per cercare di mettere insieme la materia, con la sua autonomia, e Dio, con la sua volontà. Quando una stampa sensazionalistica parla del "bosone di Higgs" come della "particella di Dio", rasenta il ridicolo. Tutt'altro che ingenui, i racconti biblici sulle origini sia del mondo che del Messia svelano che la tessitura teologica non comporta mai confusione di livelli né, tanto meno, indebite identificazioni tra procreazione e creazione e restituisce all'umano la tensione, ad esso teologicamente propria, tra natura e alleanza, tra dato biologico e relazione con Dio.

Il concepimento del Messia da parte di colei che "non conosce uomo" porta al suo punto estremo di rottura il monofisismo. Per quanto riguarda il Messia, certo, ma anche per quanto riguarda la vita di tutti gli esseri umani: in Maria, che riconosce che nel suo corpo avviene l'opera di Dio, la prospettiva sulla vita cambia radicalmente. Venire alla "Vita" non significa soltanto essere procreati secondo le leggi della carne, ma essere creati per l'alleanza con Dio. E questa è buona notizia.

VITA PASTORALE N. 10/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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