Per «molti» o per «tutti»?


Il diaconato in Italia n° 174
(maggio/giugno 2012)

APPROFONDIMENTO


Per «molti» o per «tutti»?
di Silvio Barbagaglia

Siamo un po' spaesati di fronte alla nuova querelle: il sacrificio di Cristo è stato per molti o per tutti? Proponiamo la prima parte dello studio di Barbaglia per fare luce sui termini del discorso. Sul sito dell'Associazione Culturale Diocesana www.lanuovaregaldi.it potete trovare la versione digitale con i riferimenti in lingua greca e l'apparato critico-bibliografico.

I testi di riferimento relativi alle parole di Gesù all'ultima cena contengono le parole dalle quali le liturgie delle chiese orientali ed occidentali hanno plasmato nella storia il testo della formula di consacrazione sul pane e sul vino, nel contesto delle preghiere eucaristiche. Le valutazioni che seguiranno saranno rivolte, in specie, al problema della traduzione in lingua moderna delle formule di consacrazione della Chiesa latina, nel Messale Romano e nel Messale Ambrosiano.

Matteo 26,26-29 «Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: "Prendete, mangiate: questo è il mio corpo". Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d'ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio"» (CEI 2008).

Marco 74,22-25 «E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio"» (CEI 2008).

Luca 22,74-20 «Quando venne l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: "Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio". E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio". Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me". E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi"» (CEI 2008).

1Corinti 17,23-30 «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti» (CEI 2008).

La controversa interpretazione
È nota «a molti ma non a tutti» (!) la volontà di papa Benedetto XVI - attraverso la Pontificia Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti - di condurre le Conferenze episcopali di tutto il mondo a rivedere la traduzione in lingua moderna dell'espressione «per voi e per tutti»; si tratta, come è risaputo, della formula di consacrazione sul calice. Il Missale Romanum, riformato da papa Paolo VI, riporta nel testo latino la formula tradizionale del canone romano: «pro vobis et pro multis»; il confronto e il problema testuale si colloca dunque al livello delle traduzioni in lingua moderna e non nella editio typica. Papa Benedetto XVI ha dedicato a questo aspetto una sezione nel capitolo V («L'ultima cena») del suo secondo volume su Gesù di Nazaret. In esso, J. Ratzinger ha già sostenuto la tesi per la migliore interpretazione del testo evangelico e liturgico secondo la versione tradizionale «pro multis». Va inoltre detto che pochi mesi dopo la sua elezione al soglio pontificio, nel luglio 2005, avviò una consultazione presso le conferenze episcopali del mondo esattamente su questo aspetto e il Cardinale Francis Arinze, Presidente della Pontificia Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il18 ottobre 2006 ebbe a inviare a tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali una lettera nella quale chiedeva di avviare una riforma della traduzione nei messali in lingua moderna per le parole «per tutti».
Così si esprimeva il Cardinale Arinze sei anni or sono a conclusione di quella lettera: «Le Conferenze episcopali di quei paesi in cui la formula "per tutti" o il relativo equivalente è attualmente in uso sono quindi invitate a intraprendere la catechesi necessaria ai fedeli su questa materia nei prossimi uno o due anni (cors. nostro) per prepararli all'introduzione di una traduzione precisa in lingua nazionale della formula pro multis (per esempio, "for many", "per molti", ecc.) nella prossima traduzione del Messale Romano che i vescovi e la Santa Sede approveranno per l'uso in quei paesi». Ultimamente, papa Benedetto XVI è ritornato su tali aspetti a lui molto cari in quanto vanno a qualificare il significato del momento celebrativo dell'Eucaristia. La resistenza al cambiamento, è noto, è data dalla comprensione linguistica della differenza semantica, nel linguaggio quotidiano, tra «molti» e «tutti». Mentre «tutti» rappresenta la completezza, molti ne rappresenta solo una parte. E la questione entro cui si gioca il conflitto, la crux interpretum, sta nel volere da una parte restituire la letterarietà alla formula di consacrazione dell'espressione greca «perí/upér pollón» e poi latina «pro multis» e, dall'altra, non lasciare intendere che il sacrificio di Cristo in croce sia solo per alcuni (molti) e non per tutti, affermazione che andrebbe contro la stessa fede della Chiesa. Il dibattito avviato è interessato a capire se l'espressione «per molti» possa significare, contestualmente, «per tutti» in senso inclusivo, come se fosse «per i molti», cioè «per le moltitudini», oppure debba essere inteso in senso restrittivo, solo «per molti» ma non «per tutti». Va anche detto che la versione francese del Messale ha risolto il problema con una via mediana, indicando la formulazione «pour vous e pour la moltitude»; così pure la versione polacca conserva la formula «per voi e per molti».
Prima di affrontare la questione nei suoi termini di senso occorre raccogliere gli elementi fondamentali che emergono dal dato evangelico e paolino. Le parole sul pane: solo Lc 22,19 e 1Cor 11,24 rendono esplicita la destinazione del dono del corpo di Cristo «per voi»: «questo è il mio corpo (dato) per voi»; gli evangelisti Matteo e Marco nel riportare le parole sul pane non segnalano alcuna destinazione esplicita («Prendete (mangiate): questo è il mio corpo»), anche se implicitamente la sottendono. Le parole sul frutto della vite/calice: è noto invece che gli evangelisti Matteo e Marco sulle parole relative al frutto della vite/calice mutano destinazione con una formula di difficile comprensione: «per molti» oppure, come parte dell'esegesi l'ha intesa, «per tutti»! (cf. Mt 26,28 oppure Mc 14,24). Tali espressioni, lo ribadiamo, sono riportate unicamente in relazione alle parole sul calice/frutto della vite e non sul pane, che invece prevede nel testo, come abbiamo detto, un'unica destinazione - «per voi» - focalizzata in modo esplicito da Luca e Paolo.
Quel che appare, per le parole sul frutto della vite/calice - ed è anche la scelta della formula di consacrazione - è la differenza di destinazione tra Matteo e Marco, da una parte e Luca, dall'altra. I primi includono implicitamente il «voi» dei discepoli entro i «molti» della destinazione del «sangue versato», i secondi, Luca e Paolo (in modo implicito) focalizzano la destinazione solo ai presenti. Un primo dato problematico, da questa semplice disamina, è che le parole sul pane/corpo sono riferite unicamente al «voi» dei discepoli, e Luca e Paolo continuano la stessa destinazione al «voi» dei discepoli, Giuda compreso - occorre ricordarlo - anche per le parole sul frutto della vite/sangue. Solo Matteo e Marco, paiono rivolgersi anche ad altri, oltre i presenti al banchetto pasquale con Gesù, «per voi e per molti»! La discussione si è concentrata quasi unicamente sulle parole relative al calice e al significato del «versare il sangue per...»: tale espressione viene comunemente intesa in riferimento alla morte di Cristo che Gesù annuncerebbe la sera precedente durante il pasto pasquale. Mt 26,28, infatti, aggiunge «per la remissione dei peccati», collegando la morte di Cristo all'espiazione stessa dei peccati con il suo sangue. Così, almeno, secondo la posizione tradizionale nell'intendere il significato dell'espressione sul calice di vino.
La formula liturgica della consacrazione del calice riunisce in sé, già nell'antico canone romano, i due insiemi di destinazione delle parole di Gesù: in Matteo e Marco «per molti/per tutti» e in Luca (e implicitamente in Paolo) «per voi ». L'avere assemblato le distinte destinazioni del gesto di Gesù («per voi e per molti/tutti») comporta una variazione non indifferente rispetto al senso originario dei contesti di destinazione del messaggio. Il presente contributo vuole segnalare il fatto che l'accostamento nella formula liturgica della consacrazione di destinatari diversi delle parole sul calice «per voi e per molti/tutti», mette in atto una nuova redazione delle parole di Gesù che, così espresse, non si trovano direttamente in nessuna testimonianza evangelica; si tratta, invero, di una forma concordistica di accumulo delle due redazioni distinte.
Pertanto, viene qui avanzata l'ipotesi che la crux interpretum che ruota attorno alla discussione sulla traduzione più fedele alle parole di Gesù «per voi e per molti/tutti» fonda il proprio nodo problematico nella redazione liturgica piuttosto che nell'interpretazione corretta del testo biblico. Questa è l'ipotesi che ci avviamo ad esplorare per giungere ad una chiarificazione e a un tentativo di risoluzione della problematica. È noto che varie parole o espressioni delle formule della consacrazione nelle tradizioni cristiane occidentali e orientali sono composizioni concordistiche tra le quattro testimonianze canoniche dell'ultima cena di Gesù, ma quella sulla destinazione delle parole sul calice, «per molti» oppure «per tutti» è la più rilevante e la più discussa. D'altra parte, va anche sottolineato che la versione in lingua italiana delle parole sul pane ha aperto qualche discussione non indifferente. Infatti, si afferma: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi», espressione assente dai testi biblici e nella versione latina dell'editio typica che si attiene invece al dettato scritturistico: «Hoc est enim corpus meum, quod pro vobis tradetur». Tale variazione in lingua italiana vuole evidenziare così la prospettiva sacrificale per le parole rivolte al pane accanto e oltre a quelle biblicamente attestate sul calice.

L'influenza dell'esegesi biblica
A partire dagli anni '50 dello scorso secolo è invalsa la teoria secondo la quale, alla luce del testo di Is 52,13-53,12, il quarto carme del Servo del Signore, l'espressione «per molti» dovesse essere compresa nel senso di «mondo delle moltitudini cioè dei popoli», a motivo del fatto che la lingua ebraica non conosce un aggettivo che indichi «tutti», ma soltanto un sostantivo maschile che delimita più complessivamente «la totalità». Il capofila di tale posizione fu l'esegeta tedesco Joachim Jeremias che ebbe ad ipotizzare il valore «inclusivo» dell'aggettivo o pronome «molti» estendendo al testo greco il significato originario del termine nella lingua ebraica e aramaica, equiparandolo alla semantica dell'aggettivo «tutti». Punto di forza di tale posizione è anche il delicato passo che sta alla base della teologia sul peccato originale di Rm 5,12-21 dove l'autore pare usare in senso sinonimico, intercambiabili tra loro, i termini «molti» e «tutti».
Entrata però in crisi la stagione di quel consenso, papa Benedetto XVI afferma che oggi la posizione più attestata del problema, all'opposto, è quella di non interpretare le parole sul calice in relazione stretta a Is 52,13-53,12 bensì di leggere l'espressione nella forma letterale: «per molti», ed essendo senza articolo, non andrebbe intesa neppure «per i molti, per la o le moltitudini», come invece J. Jeremias aveva cercato di mostrare. Ascoltiamo come papa Ratzinger riassume la questione: «Ma che cosa significa "versato per molti"? Nella sua opera fondamentale Die Abendmahlsworte Jesu (1935), Joachim Jeremias ha cercato di mostrare che la parola "molti" nei racconti sull'istituzione sarebbe un semitismo e che quindi dovrebbe essere letta non a partire dal significato della parola greca, ma in base ai corrispondenti testi veterotestamentarii. Egli cerca di dimostrare che la parola «molti» nell'Antico Testamento significa "la totalità" e quindi in realtà sarebbe da tradurre con "tutti". Questa tesi si è allora presto affermata ed è divenuta una comune convinzione teologica. In base ad essa, nelle parole della consacrazione, il "molti" è stato tradotto in diverse lingue con "tutti". «Versato per voi e per tutti», così in vari paesi i fedeli durante la Celebrazione eucaristica sentono oggi le parole di Gesù».
«Nel frattempo, però, questo consenso tra gli esegeti si è nuovamente frantumato. L'opinione prevalente tende oggi verso la spiegazione che «molti» in Isaia 53 e anche in altri punti, pur significando una totalità, non possa essere semplicemente equiparato con "tutti". Orientandosi al linguaggio di Qumran, si suppone ora prevalentemente che "molti" in Isaia e in Gesù significhi la "totalità" di Israele. Solo col passaggio del Vangelo ai pagani si sarebbe reso evidente l'orizzonte universale della morte di Gesù e della sua espiazione, che comprende ugualmente Giudei e pagani». In specie Is 52,14-15: «Come molti si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo -, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito» e Is 53,12-13: «Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli». Il fatto che la lingua greca utilizzi normalmente, in contesti diversi, «tutti» oppure «molti» per esprimere ora l'idea della totalità ora l'idea della pluralità conduce a riflettere sulla relazione nell'uso dei due termini. A ben vedere, la soluzione della problematica non va ricercata nella semantica dei singoli termini in gioco, bensì entro una semantica complessiva e sistemica, prima biblica e poi liturgica.

Un approccio sistemico ai termini in gioco
Come spesso accade nelle dispute teologiche, esegetiche e, in questo contesto, liturgiche la ristretta focalizzazione del dibattito attorno ad una parola o ad una frase sottende una prospettiva metodologica non sempre congrua alla chiarificazione della problematica. In altre parole, è corretto dibattere la questione «per molti o per tutti» soffermandosi sul mero significato che ha nel testo di Matteo e Marco questo termine greco? E, conseguentemente, riportare il significato lì identificato nella comprensione della formula di consacrazione sul calice?
Crediamo di no. Pensiamo piuttosto che, ancor prima di domandarsi se «molti» significhi una dimensione minore di «tutti» oppure significhi la stessa cosa, occorre riflettere sul sistema semantico presupposto dall'uso dei termini nella triangolazione tra pensiero, linguaggio e realtà. E, in secondo luogo, riportare l'esito di un'epistemologia relativa al funzionamento dei termini in gioco nella valutazione linguistica contestuale, biblica prima e liturgica poi.
In Mt 26,27b è Gesù stesso nel discorso diretto ad affermare: «Bevete da esso (calice) tutti», mentre in Mc 14,23b-24a è il narratore che dice: «e bevvero da esso (calice) tutti e disse loro...». Pertanto nello stesso contesto delle parole sul calice, l'aggettivo con funzione di pronome «tutti» assume il significato di «voi tutti» (Mt) oppure «tutti loro» (Mc), a motivo del verbo alla seconda oppure terza persona plurale. Nell'uno e nell'altro caso l'insieme di persone destinatarie delle parole, contenute nel pronome «tutti» corrisponde al gruppo dei Dodici, il gruppo dei discepoli! Luca e Paolo invece non sottolineano il comando di prendere e bere, bensì pongono al centro direttamente il calice che viene connotato con le parole dell'alleanza nuova. Pertanto il gruppo non è coinvolto nel comando esplicito e l'aggettivo con funzione di pronome «tutti» non compare.
Appare paradossale che il dibattito sul senso di «molti» inteso o non identificato con la grandezza «tutti» non sottolinei per nulla il fatto che lo stesso identico aggettivo con funzione pronominale «tutti» compaia poche parole prima di «molti»! Questo dato comporta il fatto che se nelle parole di Gesù di destinazione sul calice in Matteo e in Marco l'espressione fosse stata per ipotesi: «per tutti» in luogo di «per molti», in Mc l'espressione sarebbe stata intesa così: «E bevvero da esso tutti (sott.: essi) e disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, quello versato per tutti (sott.: loro)"» e in Matteo ancor più chiara: «Bevete da esso tutti (sott.: voi): questo infatti è il mio sangue dell'alleanza, quello versato per tutti (sott.: voi) per la remissione dei peccati». Pertanto, paradossalmente, se Matteo e Marco avessero posto in luogo di polloi, (molti) il pronome pantes (tutti) il significato sarebbe stato identico al testo di Luca che afferma esplicitamente: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, versato per voi». La scelta di documentare invece con il pronome «molti» i destinatari del dono del sangue di Cristo, richiede una maggiore attenzione nell'analisi.
Nella lettera inviata dal Cardinal Francis Arinze ai Presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali di tutto il mondo, datata Roma 17 ottobre 2006 a nome della Pontificia Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti si afferma: «Ci sono, tuttavia, molti argomenti a favore di una traduzione più precisa della formula tradizionale pro multis: i Vangeli Sinottici (Mt 26,28; Mc 14,24) fanno specifico riferimento ai «molti» per i quali il Signore offre il sacrificio. E questa espressione è stata messa in risalto da alcuni esegeti in relazione alle parole del profeta Isaia (53,11-12). Sarebbe stato del tutto possibile nei testi evangelici dire «per tutti» (per esempio, cf. Lc 12,41); invece, la formula data nel racconto dell'istituzione è "per molti", e queste parole sono state tradotte fedelmente così nella maggior parte delle versioni bibliche moderne».
È evidente in queste parole del Cardinal Francis Arinze come la riflessione esegetica si concentri solo sul termine stesso, dandogli un valore semantico contrario al senso che avrebbe prodotto qualora fosse stato utilizzato. Lo ripetiamo: se Matteo e Marco avessero collocato nel loro testo l'espressione «per tutti» invece di «per molti», avrebbero inteso dire soltanto «per tutti voi/per tutti loro=i discepoli presenti alla cena». La scelta del pronome «per molti» amplia invece il raggio di destinazione dell'annuncio di Gesù. Il fondamento di detta deduzione è posto nel fatto che l'aggettivo «tutti» è per sua natura «sistemico», e varia rispetto al sistema di riferimento, connotando differentemente la dimensione della totalità. Circoscrivendo la parte, la totalità viene definita in un insieme delimitato. Per esemplificare: tutti voi, esclude gli altri, tutti gli altri rispetto a voi, esclude voi... e gli esempi possono essere infiniti. Ma in questi casi e in esempi analoghi l'aggettivo «tutti» definisce una totalità che è contenuta unicamente entro il sistema di riferimento. L'aggettivo «tutti» ha una struttura delimitata.
È facile infatti cadere in inganno, perché la presunzione di fondo è che «tutti» significhi comunque la totalità in assoluto, quando invece determina sempre e unicamente una totalità relativa. Ad esempio, il valore semantico dell'espressione «per tutti», pensata nel dibattito in oggetto e intesa come «umanità salvata e redenta dalla croce di Cristo, pagani ed ebrei», è inclusiva o esclusiva rispetto a tutta la creazione e alle creature di tutta la creazione? E dunque se la totalità dell'evento della morte di Cristo include tutta la creazione, redente dovrebbero essere tutte le creature, tutti gli esseri animati («Uomini e bestie tu salvi, Signore» Sal 35,7)? E l'espressione «per la remissione dei peccati» determina o non determina i destinatari dell'azione ivi evocata? È facile rendersi conto quanto l'uso dell'aggettivo «tutto/tutti» sia rischioso, soprattutto se applicato entro preoccupazioni teologiche che sovente necessitano di «assoluti». Il pensiero biblico, che colloca preferenzialmente le affermazioni in un reticolo di relazioni, fa uso plurimo di «tutti» e di «molti» riconoscendo ai termini una reciproca relatività. Paradossalmente, l'aggettivo «tutti» apparentemente più capace di onnicomprensione, per esistere e significare qualcosa necessita della definizione del sistema di riferimento. È «assoluto» nel senso di inclusivo rispetto al sistema, ma è «relativo» rispetto ad altri sistemi di riferimento. «Tutti voi» e «tutti noi»: tutti voi è assoluto e inclusivo del voi, ma è relativo ed esclusivo rispetto al noi e viceversa.
Invece l'aggettivo «molti» ha i tratti dell'in-definito, posto nella linea dell'abbondanza; è un insieme aperto che, nella ricezione comune, sembra paradossalmente essere minore rispetto al «tutti», ma è il termine che salvaguarda l'apertura del sistema di riferimento, collocandolo nella sfera, potremmo dire, dell'«in-definito maggiorato». L'analogo della relazione tra i termini in gioco, sul fronte biblico-numerologico, sta nel rapporto di significato tra il numero sette e il numero mille. Mentre il sette nella riflessione biblica denota l'idea di totalità, di completezza, il mille connota invece l'idea della moltitudine; il sette appartiene alla logica del «de-finito», il mille, appartiene alla logica dell'«in-definito» che non corrisponde neppure all'«in-finito». Il mille, potremmo dire, è un numero ex parte Dei che dice la moltitudine, la cui de-finizione è posseduta da Dio ma non dall'uomo. Quasi a dire che la «definizione» del «per molti» non sta dalla parte dei sistemi calcolati umanamente (per cui sarebbe possibile l'assoluto «per tutti»), bensì dalla parte delle cose conosciute solo da Dio (ad es. Sal 90,4: «poiché mille anni ai tuoi occhi sono come il dì di ieri che è passato, e come la veglia nella notte»; oppure Ap 7 nella relazione tra i 144.000, nel rapporto numerico tra il 12 e il 1000 e la «molta folla» che nessun uomo poteva calcolare in Ap 7,9). In sintesi, «molti» o «tutti» nell'incrocio delle parti? A ben vedere, sì. In quanto, ciò che nel linguaggio comune è inteso come maggiore (tutti) di fatto, nel contesto di Matteo e Marco, corrisponderebbe al solo gruppo dei Dodici, mentre ciò che è inteso nel linguaggio comune come minore (molti), di fatto, nel contesto di Matteo e Marco permette invece di ampliare il raggio di destinazione oltre il gruppo dei Dodici, con estensione «in-definita». Potrà sembrare paradossale, ma il funzionamento semantico del testo biblico va in tale direzione.


(S. Barbaglia è docente di Intr. all'A. e N. T. ed Esegesi presso lo Studentato teologico San Gaudenzio e l'ISSR, Novara; e delegato vescovile per la Pastorale della Cultura, del Progetto culturale CEI e per l'Ecumenismo e il Dialogo interreligioso)


Alcuni riferimenti
J. Jeremias, «polloi», in: GLNT, vol. X, coll. 1329-1354; Id. Le parole dell'ultima cena, ed. it. a cura di F. Ronchi, Biblioteca di cultura religiosa 23, Brescia, Paideia 1973.
J. Ratzinger, Gesù di Nazaret. Seconda Parte. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Ed. italiana a cura di P. Azzaro, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana 2011.



----------
torna su
torna all'indice
home