Il diaconato in Italia n° 173
(marzo/aprile 2012)
IL PUNTO
I giovani ai tempi di Twitter
di Tonino Cantelmi
Il passaparola elettronico e la sua capacità di influenzare le opinioni trova forse una delle sue più evidenti espressioni in Twitter, che rappresenta il social network che più realizza il crowdsourcing, cioè lo sforzo collettivo di costruire una metodologia di collaborazione tra le persone, con inevitabili ricadute sulla credibilità dell'azione politica dei governi grazie alla possibilità di spostare il potere di influenzamento dalle gerarchie ai cittadini.
Quale democrazia oggi?
Questa azione può essere svolta in modo costruttivo e democratico, ma al tempo stesso Twitter e in generale i new media possono prestarsi ad essere utilizzati come potentissimi strumenti per distruggere, confondere o seminare il caos. Così le trending topics sviluppate dall'incontrollato ping pong dei cinguettii di 140 caratteri si trasformano in onde off fine rapide ed imprevedibili, che modificano il consenso dei cittadini, in una dialettica dentro-fuori (on fine - off line) infinita ed incontrollabile.
Tutto ciò avviene nell'epoca della globalizzazione, caratterizzata, tra l'altro, dalla fine dello Stato moderno e dalla separazione tra politica e potere: il potere è spalmato nel pianeta e non è più localizzato in un luogo definito, slittando di livello e sfuggendo al controllo dei cittadini. In questa separazione risiede l'origine della crisi della democrazia: i governi legittimamente votati e democraticamente eletti non hanno il potere di decidere e la globalizzazione non consente scelte locali.
Per questo Twitter e i new media potrebbero rappresentare una delle risposte alla crisi della democrazia nell'epoca postmoderna. In altri termini nell'era della dittatura della globalizzazione, le manifestazioni di piazze e le "rivoluzioni" dell'epoca predigitale appaiono risposte insufficienti e prive di efficacia: se il potere è delocalizzato non ci sono "palazzi del potere" da scardinare ed assaltare. E allora, forse, la formazione del consenso e l'influenzamento dell'opinione potrebbero ripartire dal basso e rifondare una democrazia partecipata grazie al ciarliero, rapido, sincopato e planetario cinguettare di Twitter.
Ma qual è l'estetica del mondo postmoderno tecnoliquido? Sostengo che la dimensione estetica prevalente, nella quale sembrerebbero crescere i nativi digitali, sia prevalsa da tre elementi: il kitsch, il camp e il gusto horribilis.
Nella seconda metà dell'Ottocento, quando i turisti americani volevano acquistare in Europa un quadro a poco prezzo, allora chiedevano uno sketch, uno schizzo. Da qui, secondo alcuni, sarebbe nato il temine kitsch, per indicare le esperienze estetiche di scarso valore, facili, celebrative, volte alla ricerca di un effetto rapido e appariscente.
Il kitsch è in ultima analisi una sorta di mas cult del bello, a tratti anche trash, volto a soddisfare narcisistici impulsi pseudoestetici. La dimensione narcisistica, propria del mondo tecnoliquido, sembra trovare ampia soddisfazione nella risposta estetica kitsch. L'altro fenomeno estetico è quello del camp, che consiste nel trasformare il serio in frivolo, giocando sull'ambiguità, sull'esagerazione, sulla raffinata volgarità e sull'eccentrico. L'androgino è certo uno delle più significative immagini della sensibilità camp, che intercetta bene il bisogno di ambiguità della postmodernità liquida.
E se il mondo tecnoliquido fosse anche attratto dalla bruttezza, da un gusto dell'orrido, dell'estetica del cyberpunk? Se cyborg, splatter, morti viventi, orrore, ricerca del diabolico, fossero le manifestazioni di una nuova e celebrativa estetica della bruttezza, volta a soddisfare il bisogno di "emozioni forti" della società post-moderna tecnoliquida? Il tema estetico dell'horribilis sembra in grado di intercettare invece il fenomeno del sensation seeking dell'epoca postmoderna.
Ecco, direi che il kitsch, il camp e il gusto dell'horribilis rappresentano le prevalenti dimensioni estetiche che soddisfano i bisogni dell'uomo postmoderno È in questo contesto estetico, narcisistico (kitsch), ambiguo (camp) e emotivo (horribilis) che crescono i bambini e gli adolescenti immersi nella tecnoliquidità.
L'esperienza estetica e il superamento della tecnoliquidità
Come è noto, Dostoevskij fa esclamare al protagonista dell'Idiota la famosa frase: «la bellezza salverà il mondo!» e,aggiungerei, potremmo dire che salverà i nativi digitali. Ma quale bellezza? Quella kitsch, camp o horribilis della tecnoliquidità? È anche vero che nei Fratelli Karamàzov Mitja non può fare a meno di osservare che la «bellezza è una cosa spaventosa e terribile [...] il cuore trova bellezza perfino [...] nell'ideale di Sodoma». È qui, nella bellezza terribile e paurosa, misteriosa e indecifrabile, è qui, dice Dmitrij, «che Satana lotterà con Dio e il loro campo di battaglia è il cuore dell'uomo».
Tuttavia ritengo che l'estetica tecnoliquida esprima in pieno il declino della bellezza, trasformata in spettacolo e consumata secondo modalità tecnocannibaliche, ridotta ad una esperienza autoreferenziale e ornamentale. In realtà esperire il bello richiede risorse: risorse emotive, cognitive, simboliche e persino spirituali. E allora quale bellezza salverà il mondo? A quale bellezza dobbiamo educare i nativi digitali? Come sostiene Claudia Caneva, ciò che è importante recuperare, dinanzi al mutismo spettrale delle forme artistiche tecnoliquide, è la dimensione etica e al tempo stesso enigmatica della bellezza, sia di quella naturale che di quella artistica. Le grottesche forme del kitsch, del camp e dell'horribilis possono essere superate dalla bellezza considerata come uno dei trascendentali in cui l'essere si esprime. Il compito della proposta spetta ad adulti coraggiosi, che siano in grado di recuperare l'immenso patrimonio di bellezza che il creato e l'arte hanno prodotto nei secoli.
Ma soprattutto occorre ritrovare il coraggio di proporre alle generazioni digitali la "ricerca" della bellezza e di svelarne il tesoro simbolico, oltre che percettivo, in essa contenuto. Se alla digital mind dei bambini e degli adolescenti sarà concesso di "esperire" il bello, allora anche i nativi digitali potranno "vedere l'invisibile", come alcuni dissero a proposito dell'opera di Kandisky e come potremmo dire a proposito di ogni autentica bellezza: cioè sarà possibile rimandare ad un "oltre" capace di restituire l'umanità ad ogni forma di digital mind.
Uno sguardo al futuro
L'intrecciarsi della rivoluzione digitale con il tema della liquidità appare come un abbraccio fatale tra due fenomeni profondamente complementari, capaci di sostenere una sorta di mutazione antropologica, che ho cercato di descrivere nei paragrafi precedenti e che trova il suo cortocircuito nell'impatto tra il sistema mente-cervello e la tecnologia digitale, disegnando così l'emergere di una generazione che ho definito "nativi digitali".
La tecnomediazione del vangelo, come modalità semplice di interazione con i nativi digitali, ha in sé un rischio: quello di assimilare alla liquidità l'annuncio evangelico, contaminandolo forse in modo fatale con la visione antropologica narcisistico-emotiva propria della rivoluzione digitale. Ovviamente questo non significa ignorare le enormi potenzialità comunicative della tecnologia digitale, ma piuttosto piegarle alle esigenze di un uso più strumentale che collusivo. Tuttavia rimane necessario individuare su quali pilastri rifondare una possibile trama che consenta di articolare risposte risananti ai bisogni dell'uomo, che i paradisi telematici prossimi venturi non potranno comunque colmare. In più circostanze, sollecitato a dare risposte a questo interrogativo, ho sostenuto che occorre puntare su tre processi irrinunciabili:
- la necessità di ricostruire percorsi narrativi dell'identità, che consiste nel dare la possibilità di elaborare trame narrative nelle quali connettere i tanti frammenti identitari dell'uomo liquido: questo significa che dopo l'impatto emotivo di ogni risposta-proposta occorre recuperare la fascinazione della narrazione di sé, del proprio gruppo e del mondo, come modalità propria per la costruzione dell'identità;
- la necessità di recuperare il gusto del bello: la tecnologia manifesta tutto e utilizza la percezione in modo esaustivo, il bello rimanda sempre a qualcos'altro e utilizza la percezione in modo simbolico e metaforico;
- la necessità, questa sì assoluta ed irrinunciabile, di accogliere l'altro nell'ambito di relazioni interpersonali sane e risananti, riscoprendo la potenzialità terapeutica della relazione umana.
Su questi tre punti a mio parere vanno ricostruiti mondi, anche telematici, oltre che reali, che declinino queste necessità nei luoghi, nel tempo e nell'organizzazione sociale.
Per continuare la lettura:
Z. Bauman, Il buio del postmoderno, Aliberti Editore, 2011.
C. Caneva, Bellezza e persona, Armando Editore 2008.
T. Cantelmi, L. Giardina Grifo, La mente virtuale, San Paolo Edizioni, 2003.
T. Cantelmi, F. Orlando, Psicologia del trading on fine, Centro Scientifico Editore, 2002.
T. Cantelmi, V. Carpino, Il tradimento on line, Franco Angeli Editore, 2005.
V. Caretti, Psicodinamica della Trance Dissociativa da videoterminale, in U. Eco, Storia della bellezza, Bompiani editore 2006.
U. Eco, Storia della bruttezza, Bompiani editore 2006.
M.R. Parsi, T. Cantelmi, L'immaginario prigioniero, Mondadori, 2009.
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