Il diaconato in Italia n° 172
(gennaio/febbraio 2012)
TESTIMONIANZE
Tra i reclusi di una Casa Circondariale
di Sebastiano Mazzara
In questo numero, che affronta tematiche estremamente vicine alla complessità che viviamo, intendiamo proporre una tema di testimonianze dei nostri diaconi. La prima è di un diacono della diocesi di Napoli: è una testimonianza asciutta, quasi scarna, lontana da ogni stereotipo, apre uno squarcio, sembra un appello. Chiede di avere cura.
Mi chiamo Sebastiano e sono un diacono della diocesi di Napoli. Da circa quattro anni, tra i vari impegni ministeriali, opero anche come assistente volontario nella Casa Circondariale di Secondigliano, facendo colloqui e catechesi con i detenuti. Questa esperienza mi arricchisce sia spiritualmente che moralmente perché mi permette di vivere con essi il senso di abbandono e di rifiuto della comunità.
Premetto che chiunque commetta un reato contro la società, è giusto che trascorra un periodo di "riflessione" sull'errore commesso, il mio compito è quello di aiutare ed accompagnare la persona a prendere coscienza di ciò che ha fatto, valorizzando in questa fase il rispetto della dignità della persona, senza perdere la propria identità. Ho avuto modo di conoscere vari tipi di persone che sono detenute per diversi reati e di frequentare vari reparti della Casa Circondariale dall'infermeria centrale al CDT.
In questo periodo seguo i reclusi del settore "T2", questo settore ospita tutti coloro che durante il periodo di reclusione devono vivere un periodo di isolamento. Questi detenuti dialogano con pochissime persone selezionate, pertanto mi ritrovo a condividere le loro esperienze, le loro situazioni familiari e soprattutto a riflettere sul perché si ritrovano reclusi. Tra le tante esperienze di vita sento il dovere morale di raccontarne una.
Un giorno conobbi un giovane di circa venticinque anni, recluso perché stava scontando una condanna per rapina a mano armata più una pena per spaccio di stupefacenti. Parlando con lui del perché l'uomo arrivi a compiere un tale gesto, mettendo a repentaglio la vita di un altro essere umano, ha iniziato a raccontarmi la storia della sua infanzia. All'età di sei anni, mentre tutti i bambini venivano accompagnati a scuola dai genitori con il loro zainetto nuovo, lui nello zainetto insieme ai quaderni aveva la droga, era un "corriere". Col passare del tempo, il suo zainetto cominciò a contenere armi: i suoi unici amici erano spacciatori, tossicodipendenti, prostitute e rapinatori. Di lì a poco abbandonò la scuola fino ad arrivare a trascorrere i suoi migliori anni nella casa circondariale.
Ho voluto raccontare questa esperienza in quanto ritengo che la famiglia e l'istruzione siano elementi fondamentali per la crescita e la formazione delle persone, senza di esse l'uomo può divenire facile strumento nelle mani di coloro che non vogliono che gli uomini crescano e diventino consapevoli della loro libertà, e poiché la libertà la si conquista con la conoscenza, impegniamoci tutti affinché i bambini abbiano la possibilità di crescere in una società che ponga al primo posto la "cultura del bene comune". Concludo condividendo con voi un pensiero del teologo David Maria Turoldo: «Non c'è salvezza per l'uomo se prima non si salva il bambino».
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