XXIV Domenica del Tempo ordinario
Is 50,5-9a
Gc 2,14-18
Mc 8,27-35
DI GESÙ NON È FACILE
Tutto il vangelo di Marco è scandito, potremmo dire, in due tempi. Ai due tempi della rivelazione piena del mistero del Regno corrispondono due gruppi: la folla e i discepoli. Entrambi faticheranno nel cogliere l'identità di Gesù. I secondi, tuttavia, hanno un reale vantaggio: la condivisione del quotidiano con il Maestro, un ascolto continuato e non frammentato, un'osservazione privilegiata della sua persona. Già dal cap. 4, che ha per tema il regno di Dio e la sua crescita. Gesù afferma chiaramente come a loro sia stato consegnato tale mistero, mentre per "quelli di fuori" tutto avviene in parabole (Mc 4,11).
Episodio rivelatore dei due tempi e dei due gruppi è quello che immediatamente precede il nostro brano. Un cieco viene stranamente guarito in due fasi, quasi che Gesù non fosse più il taumaturgo ammirato e cercato per la sua grande capacità di sanare gli infermi. In un primo momento l'uomo non vede altro che alberi che camminano (Mc 8,24). Solo dopo un secondo intervento vede chiaramente e a distanza ogni cosa (Mc 8,25). Il cieco, inoltre, è condotto in disparte e a lui il Maestro ingiungerà di non rientrare nel villaggio.
Pare che esista un problema costituito dalla folla, secondo gruppo, incapace di giungere alla verità, vittima piuttosto dell'opinione. Per questo il cieco è guarito in disparte e in disparte dovrà restare. Il cammino dei Dodici, in questo senso, è un percorso di uscita progressiva dall'opinione per giungere alla verità. Il secondo vangelo non è certo tenero con i loro fraintendimenti e le loro incomprensioni. Tuttavia, a loro è stato dato di più e a loro Cristo domanda di più.
I due tempi del nostro brano sono rappresentati precisamente dalla doppia domanda che Gesù formula ai suoi. L'ambientazione non è casuale. Siamo nei pressi di una città simbolo del potere che domina sull'uomo pretendendo totale riconoscimento. Ai Dodici Gesù domanda precisamente quale grado di riconoscimento abbia raggiunto la folla. Chi dicono "gli uomini", genericamente intesi, che egli sia (v. 27)? La risposta dei discepoli mostra bene quanto si parlasse di Gesù tentando di afferrare il nucleo della sua identità. Le tre risposte raccolte hanno un dato in comune: incasellano Gesù nell'alveo del già conosciuto. Nulla di nuovo sarebbe in lui, se non la riedizione di personaggi del passato. Nulla di nuovo e, dunque, nulla di definitivo. Per quanto Giovanni Battista, Elia o uno dei profeti fossero giganti dell'esperienza religiosa e amici di YHWH, tuttavia Dio era ancora lontano dal compiere la sua promessa inviando il Messia. Gesù non replica alle opinioni della folla.
Come un cieco che inizi a vedere e scambi uomini per alberi, così è della gente. Non ci si può attendere tanto di più. Se la prima domanda ha quasi un senso statistico, la seconda muta completamente orizzonte. Rivolgendo la stessa domanda ai suoi, Gesù non compie un secondo sondaggio, ma chiede conto di una relazione, della vita spesa insieme. Dalla risposta dipende, in fondo, tutto: le motivazioni dei Dodici, l'efficacia del rapporto con il Maestro, la possibilità di un futuro.
È come se in una coppia, uno chiedesse all'altra che cosa pensa del matrimonio come condizione di vita e poi, in un secondo momento, domandasse al partner di sposarlo. Siamo fuori dalle opinioni. Entriamo nel campo delle scelte vitali dell'esistenza. Il nostro discepolato non compirà mai un salto di qualità senza questo scatto. Oggi tanti sono attratti ancora dal fenomeno cristiano, dalla persona di Gesù, dalle opere sociali compiute dalla comunità cristiana. Ma la fede è altro.
La secca risposta di Pietro (v. 29) non è solo una affermazione esatta. È il termine di una attesa dilatatasi lungo otto secoli per il popolo di Israele. La risposta che offre il primo degli apostoli trascina con sé non solo la mente, ma anche il cuore e la vita. Se Gesù è il Messia promesso dal Padre, la vita non è più la stessa. Ecco i due tempi della fede: la curiosità che indaga per poi lasciare il passo all'affidamento totale. Capiamo allora perché Gesù intimi il silenzio. Non si tratta qui di divulgare la giusta versione o diffondere semplicemente la verità. Serve un cammino che disponga il cuore a lasciare altre certezze per sposarne una sola, come decisiva per la vita.
Qui i Dodici non sono meno distanti dalla folla. Pietro ha compreso l'identità messianica di Gesù. Non ha però capito quale contenuto il Signore voglia dare alla figura del Messia. L'apostolo vorrebbe controllare le scelte del Maestro per pilotarne l'esito. Ci sono situazioni che non si addicono all'Inviato escatologico di Dio, quali appunto la sofferenza, la riprovazione pubblica e la morte. Proprio là invece Gesù giocherà il proprio messianismo. Il gruppo dei Dodici è chiamato a una conversione totale. È chiamato a pensare secondo Dio (v. 33). Il rischio è che gli apostoli non seguano Gesù ma si frappongano fra lui e il Padre. Questo è il senso letterale dell'imperativo con cui il Signore riprende Pietro: «Torna dietro di me, Satana» (v. 33). La sequela è questo: non è il raggiungimento di una meta. È l'adesione incondizionata a Colui che è la Via e in se stesso è Verità e Vita.
VITA PASTORALE N. 8/2009
(commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)