XIII domenica del tempo ordinario
Sap 1,13-15;2,23-24
2Cor 8,7.9.13-15
Mc 5,21-43
LA FEDE È TOCCO,
INTIMITÀ E SEQUELA
Con il cap. 5 troviamo ancora dei segni compiuti da Gesù. Tuttavia, non siamo alle prese con brevi racconti di guarigioni simili a quelli già incontrati nei capp. 1 e 2. Marco ci offre narrazioni più distese, dove acquista enfasi particolarmente la fede di coloro che avvicinano Gesù. Nell'odierna pagina, i due miracoli vengono narrati anche con particolare abilità da Marco. Qui l'evangelista utilizza una delle sue tecniche letterarie preferite, il racconto a incastro: la risuscitazione della figlia di Giairo è come sospesa e rallentata dall'incontro di Gesù con l'emorroissa inserito esattamente al centro della trama precedente. I due segni si illuminano e rischiarano a vicenda comunicando con grande forza l'idea della fede come percorso individuale, non fenomeno di massa. Gesù infatti è sempre circondato da grande folla e premuto da ogni parte, lungo tutto il brano. Tanti sono con lui, fanno strada con lui e godono della sua presenza. Ma credere non coincide con un semplice stare accanto al Maestro. Lo mostra con chiarezza la donna sofferente da dodici anni che si avvicina a Gesù per toccarlo. Marco sottolinea il travaglio della malattia e l'inutilità del ricorso ai medici. Essa è più povera e malata che mai. Comprenderemo poi il dettaglio dei dodici anni e anche il senso particolare della sua malattia.
L'emorroissa è protagonista dell'unico miracolo involontario compiuto da Gesù nei vangeli. È come se la donna "rubasse" la forza del Cristo all'insaputa dello stesso con un semplice tocco del mantello. Questo, infatti, è il suo modo di avvicinarsi a Gesù. È difficile immaginare un contatto più vago e indiretto. Solo un lembo di stoffa è il tramite che lega la donna al suo guaritore. Il v. 28 ci introduce però nell'animo della donna e all'interno del suo, ragionamento. Essa ha una convinzione granitica. È sufficiente appena sfiorare il Cristo perché la salvezza di cui egli è segno possa contagiare anche lei. L'emorroissa è come l'artefice esclusiva della propria guarigione. È sommamente attiva davanti a un Gesù che potrebbe anche essere un oggetto inanimato e assolverebbe comunque alla propria funzione. Come già accennato, qui è in gioco la fede e la sua natura, al punto tale da portare quasi in secondo piano l'iniziativa di colui che è il salvatore. Tutto sembra deciso piuttosto dal salvato. La scena si sviluppa rasentando la comicità. Forse proprio sorridendo i discepoli avranno risposto all'incomprensibile domanda di Gesù. Come può chiedere «Chi mi ha toccato il mantello?» in mezzo a una folla che lo preme da ogni parte (vv. 30-31)? Eppure la fede è solo un tocco ma dal sapore unico e inconfondibile. Esistono molti modi di toccare Gesù. Chissà quante decine di persone lo avranno fatto in quei frangenti senza trarre alcun beneficio. Solo una donna, sfiorandone il mantello, ha cambiato radicalmente la propria vita. Dio può fare per noi solo ciò che noi stessi crediamo possa fare. La nostra fede è la misura del desiderio che abbiamo di Dio. Se a Lui presentiamo un piccolo spazio, come potrebbe riempirci di ogni bene? Il cuore umano può dilatarsi a dismisura e arrivare a concepire l'impossibile. È ciò che realizza l'emorroissa.
Gesù cercherà il suo volto e la donna giungerà a vedere quello del suo Salvatore. È la traiettoria completa dell'incontro: non solo toccare il Maestro, ma conoscerlo faccia a faccia. Gesù accoglie la verità della donna e chiama tale verità con il nome di "fede" (v. 34). Quella fede ha salvato l'emorroissa. Ora può andare in pace guarita dal proprio male. Non solo è salva. Ha ritrovato un "padre", come si evince dalle parole di Gesù: "figlia". In fondo, anche lei è figlia, come la giovane ragazza che Giairo ha appena perduto, nonostante il tentativo di chiamare il guaritore di Nazareth. Quando infatti il fuoco della narrazione torna sul padre e sulla figlia malata, dalla casa di lui giunge la notizia terribile del decesso. Ormai Gesù sembra fuori gioco. La malattia, non la morte, è il campo del suo dominio. È inutile infastidire il Maestro (v. 35).
Tuttavia è proprio Gesù a confortare Giairo, invitandolo a non temere e a custodire semplicemente la propria fede (v. 36). Di nuovo ritorna lo stesso termine, di nuovo in un contesto di solitudine e isolamento. Il padre si ritrova con una figlia ormai morta, un gran trambusto davanti a casa e un uomo che rimprovera chi piange e fa strepito perché, in realtà, la ragazza non sarebbe morta ma semplicemente addormentata. La derisione che ne segue ci offre la misura della solitudine che è la fede: sperare contro ogni speranza. Davanti al mostro inattaccabile, davanti alle fauci che divorano ogni vita cosa ancora è possibile fare? Dalla folla, entrando nella stanza della ragazza, passiamo a un gruppo di pochi intimi. Ci possiamo chiedere perché Gesù abbia rinunciato a un pubblico più vasto per un gesto straordinario come una risuscitazione. La risposta riposa ancora nella natura della fede la quale non è solo causa che apre alla potenza di Dio, ma anche premessa perché possiamo vedere e comprendere la sua opera nel mondo.
VITA PASTORALE N. 5/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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