ANNO B - 21 giugno 2009
XII domenica del tempo ordinario
Gb 38,1.8-11
2Cor 5,14-17
Mc 4,35-41
XII domenica del tempo ordinario
Gb 38,1.8-11
2Cor 5,14-17
Mc 4,35-41
CREDERE È SFUGGIRE
AL SENSO DI ABBANDONO
Con l'odierno vangelo riprende la lettura continua di Marco. L'episodio narrato chiude il capitolo quarto, consacrato alle parabole del Regno, primo vero saggio della predicazione di Gesù, più volte citata per la sua autorevolezza nuova, mai però riferita per esteso. Il Regno è stato presentato come un Mistero inevidente. Solo un terreno su quattro accoglie il buon seme della Parola (4,8). È un seme piccolo, come il chicco di senape (4,30-32). Ma cresce da sé, sia che il contadino dorma, sia che vegli. Il modo lui stesso non lo sa (4,26-29). Il Regno domanda la fede che percepisce una presenza che sfugge, che agisce nel silenzio e nel buio per quanto sembri inattiva e sterile.
Non c'è miglior episodio per commentare e comprendere la dinamica del Regno di quello che vede Gesù salire sulla barca con i propri discepoli e ivi addormentarsi. Essi lo prendono «così com'è». L'annotazione sembra superflua ma allude probabilmente alla grande stanchezza del Maestro, reduce da una giornata molto impegnativa. Essi non fanno salire il Gesù che forse vorrebbero, ma un uomo che non ha più forze e deve quindi riposare seppure la barca non rappresenti forse il luogo più idoneo. Colui che ha guarito, predicato, accolto, esortato ora diviene come assente e come morto. Dorme, come viene detto al v. 38, dopo aver descritto la gran tempesta che si leva. Non siamo lontani dal seme protagonista dei versetti precedenti che sparisce nel grembo della terra.
Ma c'è di più. Il comportamento di Gesù non è solo inutile alla situazione concreta in cui i discepoli vengono a trovarsi. È inspiegabile. Potremmo dire che è prevedibile che il Signore scelga di non manifestarsi al bisogno, quasi che fosse un Dio tappabuchi. Ma è piuttosto strano il contesto in cui riposa. Non possiamo immaginare che i Dodici avessero chissà quale imbarcazione. Senza lanciarci in improbabili ricostruzioni, è possibile comunque affermare che la situazione fosse tutt'altro che favorevole al sonno, dentro a una barca in balia delle onde, carica di uomini agitati e impauriti. Il dettaglio meno comprensibile del testo è questo. Il lettore, al risveglio di Gesù, già intuisce che egli agirà per sanare la situazione. Ma non riesce a comprendere il sonno quieto interrotto solo dalla pungente domanda dei Dodici. Anche questa silente epifania di Gesù, il suo sonno, va inteso alla luce delle parabole del Regno. L'agricoltore può riposare tranquillo davanti all'azione segreta ma costante del seme. Il seme merita una fiducia incondizionata, anche quando la terra è completamente priva di segni di vita. Sappiamo quanto il sonno sia legato alla nostra tranquillità. Scompare immediatamente, anche in situazioni ideali, se il cuore è agitato da una tempesta di emozioni. Non è così per Gesù. Sulla barca, in mezzo alle onde, egli è fra le braccia del Padre. Gesù dormiente è una eccezionale icona della fede, dell'abbandono che consente di vincere il panico e l'angoscia.
Anticipando il seguito del testo, potremmo dire che la tempesta è il riflesso dell'animo dei Dodici, tanto quanto il mare in bonaccia lo è del cuore di Cristo. Il vento scuote i discepoli come muove le onde del mare. Allo stesso modo, la calma sovrana di Gesù e la "bonaccia" del suo animo si estenderanno all'intero specchio d'acqua. Il lago di Tiberiade, d'altronde, è ben meno minaccioso di quell'abisso che inghiottirà il Cristo tenendolo prigioniero per tre giorni e tre notti. Colui che riposa sulla barca è il medesimo che dormirà nel proprio sepolcro di nuovo e sempre come fra le braccia del Padre. L'amore di Dio è una realtà affidabile. Diversamente, come spiegheremmo il sonno di Gesù? Per questo la sua passività ci interpella e ci provoca non meno del suo prodigioso intervento. Riposare nella tempesta non è un miracolo da meno che placare un lago tormentato dalle onde. Proprio la fede è quanto manca con drammatica evidenza nell'accusatoria domanda dei discepoli. Essa ha già una risposta negativa: il sonno di Gesù. Egli dorme perché, in fondo, non ha a cuore la sorte dei propri seguaci. Non merita che si creda in lui. Questo è lo sfondo di tante nostre preghiere in cui interpelliamo vigorosamente un Dio estraneo e dormiente perché finalmente si occupi, a malincuore, della nostra sorte.
Proprio la fede, invece, è l'antidoto al senso di abbandono che ci prende. Anche di fronte alla morte è possibile riposare confidenti. La Pasqua di Gesù ci conduce precisamente qui. È il senso della doppia domanda con cui il Maestro replica ai discepoli. La loro, ma anche le sue domande, non avranno risposta. Tuttavia, anche Gesù domanda affermando. L'incertezza dei discepoli è mancanza di fede, per questo hanno paura.
Il contrario della paura nella Bibbia non è il coraggio ma la fede nella presenza e nell'azione di una forza che non vengono da me. Solo alla fine del brano affiora la domanda vera sulla bocca dei Dodici, quella preziosa e indispensabile, quella che motiva il loro discepolato. Non è più una domanda che accusa, ma una che mette in cammino.
Non c'è miglior episodio per commentare e comprendere la dinamica del Regno di quello che vede Gesù salire sulla barca con i propri discepoli e ivi addormentarsi. Essi lo prendono «così com'è». L'annotazione sembra superflua ma allude probabilmente alla grande stanchezza del Maestro, reduce da una giornata molto impegnativa. Essi non fanno salire il Gesù che forse vorrebbero, ma un uomo che non ha più forze e deve quindi riposare seppure la barca non rappresenti forse il luogo più idoneo. Colui che ha guarito, predicato, accolto, esortato ora diviene come assente e come morto. Dorme, come viene detto al v. 38, dopo aver descritto la gran tempesta che si leva. Non siamo lontani dal seme protagonista dei versetti precedenti che sparisce nel grembo della terra.
Ma c'è di più. Il comportamento di Gesù non è solo inutile alla situazione concreta in cui i discepoli vengono a trovarsi. È inspiegabile. Potremmo dire che è prevedibile che il Signore scelga di non manifestarsi al bisogno, quasi che fosse un Dio tappabuchi. Ma è piuttosto strano il contesto in cui riposa. Non possiamo immaginare che i Dodici avessero chissà quale imbarcazione. Senza lanciarci in improbabili ricostruzioni, è possibile comunque affermare che la situazione fosse tutt'altro che favorevole al sonno, dentro a una barca in balia delle onde, carica di uomini agitati e impauriti. Il dettaglio meno comprensibile del testo è questo. Il lettore, al risveglio di Gesù, già intuisce che egli agirà per sanare la situazione. Ma non riesce a comprendere il sonno quieto interrotto solo dalla pungente domanda dei Dodici. Anche questa silente epifania di Gesù, il suo sonno, va inteso alla luce delle parabole del Regno. L'agricoltore può riposare tranquillo davanti all'azione segreta ma costante del seme. Il seme merita una fiducia incondizionata, anche quando la terra è completamente priva di segni di vita. Sappiamo quanto il sonno sia legato alla nostra tranquillità. Scompare immediatamente, anche in situazioni ideali, se il cuore è agitato da una tempesta di emozioni. Non è così per Gesù. Sulla barca, in mezzo alle onde, egli è fra le braccia del Padre. Gesù dormiente è una eccezionale icona della fede, dell'abbandono che consente di vincere il panico e l'angoscia.
Anticipando il seguito del testo, potremmo dire che la tempesta è il riflesso dell'animo dei Dodici, tanto quanto il mare in bonaccia lo è del cuore di Cristo. Il vento scuote i discepoli come muove le onde del mare. Allo stesso modo, la calma sovrana di Gesù e la "bonaccia" del suo animo si estenderanno all'intero specchio d'acqua. Il lago di Tiberiade, d'altronde, è ben meno minaccioso di quell'abisso che inghiottirà il Cristo tenendolo prigioniero per tre giorni e tre notti. Colui che riposa sulla barca è il medesimo che dormirà nel proprio sepolcro di nuovo e sempre come fra le braccia del Padre. L'amore di Dio è una realtà affidabile. Diversamente, come spiegheremmo il sonno di Gesù? Per questo la sua passività ci interpella e ci provoca non meno del suo prodigioso intervento. Riposare nella tempesta non è un miracolo da meno che placare un lago tormentato dalle onde. Proprio la fede è quanto manca con drammatica evidenza nell'accusatoria domanda dei discepoli. Essa ha già una risposta negativa: il sonno di Gesù. Egli dorme perché, in fondo, non ha a cuore la sorte dei propri seguaci. Non merita che si creda in lui. Questo è lo sfondo di tante nostre preghiere in cui interpelliamo vigorosamente un Dio estraneo e dormiente perché finalmente si occupi, a malincuore, della nostra sorte.
Proprio la fede, invece, è l'antidoto al senso di abbandono che ci prende. Anche di fronte alla morte è possibile riposare confidenti. La Pasqua di Gesù ci conduce precisamente qui. È il senso della doppia domanda con cui il Maestro replica ai discepoli. La loro, ma anche le sue domande, non avranno risposta. Tuttavia, anche Gesù domanda affermando. L'incertezza dei discepoli è mancanza di fede, per questo hanno paura.
Il contrario della paura nella Bibbia non è il coraggio ma la fede nella presenza e nell'azione di una forza che non vengono da me. Solo alla fine del brano affiora la domanda vera sulla bocca dei Dodici, quella preziosa e indispensabile, quella che motiva il loro discepolato. Non è più una domanda che accusa, ma una che mette in cammino.
VITA PASTORALE N. 5/2009 (commento di Claudio Arletti, parroco di Maranello)
torna su
torna all'indice
home