Domenica di Pasqua
At 10,34a.37-43
Col 3,1-4 [1Cor 5,6b-8]
Gv 20,1-9
L'EVENTO CHE NON È
POSSIBILE TRALASCIARE
La morte ha reso Gesù, come ogni altro uomo, un semplice oggetto. Dal momento del suo decesso, il suo cadavere è divenuto destinatario delle cure altrui. Tutto è compiuto. Il Figlio ha reso gloria al Padre tramite il proprio innalzamento. Viene deposto, al termine della sua agonia, in un sepolcro. La sua vicenda è conclusa. Eppure il racconto non si ferma e narra di un «primo giorno della settimana» (v. 1). Giovanni usa il numero cardinale "uno" al posto dell'ordinale "primo", esattamente come in Genesi 1. In quel testo, il primo giorno della settimana è il giorno in cui è creata la luce ed è separata, per sempre, dalla tenebra. Dio vide che la luce era cosa buona. Eppure, in questo primo giorno della settimana è ancora buio. Dal primo giorno della creazione la luce deve convivere con la tenebra. Ma qui c'è ancora tenebra perché Adamo è tornato alla terra dopo aver reso lo Spirito (Gv 19,30). D'altronde ogni figlio di Adamo non è forse destinato a tornare terra, a confondersi con la terra da cui è stato tratto? Per questo, c'è ancora buio nel mondo. La notte succede al giorno perché la morte succede alla vita. Non v'è luce piena e duratura. Aspettiamo un giorno senza tramonto, giorno ottavo, primo dopo il sabato che è il giorno settimo.
L'evangelista non poteva non evocare la creazione dell'universo perché la Pasqua è la nuova creazione. Maria di Magdala cammina al confine tra due mondi e ancora non lo sa perché ancora c'è tenebra. Tutto questo ha impedito alla donna di celebrare la Pasqua giudaica. Giovanni omette dal suo racconto la più importante festa celebrata dagli ebrei. Il racconto della sepoltura si chiude con il venerdì per riprendere nel «giorno uno dopo il sabato».
Il momento liturgico centrale è come relegato dentro a una parentesi. Quello che conta avviene prima e avviene dopo. Non durante la festa. Questo schema non è, per certi versi, lontano da quanto accade nelle grandi feste cristiane. L'evento è come tra parentesi, inghiottito da preparativi spesso totalmente profani e dall'assenza del lavoro che permette svago e turismo.
La festa non è niente per questa donna che piange la scomparsa dell'amato maestro. Israele è uscito dal mare, mentre l'Egitto vi è rimasto sommerso. Ma che cosa poteva festeggiare Maria se un giusto, un profeta, era rimasto sommerso dall'odio e dalla morte? La creazione attendeva il giorno ottavo. Israele attendeva il Messia perché la liberazione fosse piena e definitiva.
Non c'è festa, né Pasqua che possa interessare il cuore dell'uomo fino a quando la morte restituisce ogni figlio di Adamo alla terra.
Quell'anno la Pasqua era un sabato (Gv 19,31). Cristo dorme nel sepolcro nel giorno in cui a Israele era comandato il riposo e l'astensione da ogni lavoro servile. Ma come potrebbe riposare l'uomo a cui ogni giorno che passa sottrae vita, vita da usare e da gustare? L'uomo non avrà mai riposo fino a quando l'unico definitivo riposo sarà la tomba. Il riposo dell'uomo è Dio, come il riposo di Dio è l'uomo. Questo è il senso del sabato, giorno in cui Israele si dedica allo sposo YHWH. Il passaggio di Dio per liberare il suo popolo doveva conoscere un compimento, perché anche il popolo giungesse nel riposo di Dio.
Invece, il nostro brano è un puzzle di corse dal sepolcro ai discepoli e dai discepoli al sepolcro. Certamente, l'ipotesi della Maddalena è inquietante: il furto del cadavere di Gesù. A questo ci si può opporre. Ma già la morte ha sottratto Gesù a coloro che lo amavano. Il dramma non è trafugare un corpo, ma trafugare la vita. Non c'è pausa, non c'è sosta. Il brano trova riposo solo al v. 8, quando viene menzionata la fede del discepolo amato. Ma servono molte tappe successive: prima Maria vede la pietra ribaltata (v. 1). Poi il discepolo amato vedrà le bende piegate (v. 5). Infine Pietro vedrà le bende e il sudario riposto in un luogo a parte (v. 7).
Si tratta di una visione sempre più approfondita ma ancora lontana dal vedere di Dio che contemplò la luce come cosa buona e l'uomo come cosa molto buona. C'è ancora tenebra fino a che non sorge la luce della fede. Il discepolo amato "vide e credette". L'ingresso nel sepolcro è cifra di un ingresso ben più difficile e importante che il discepolo compie. Nella fede, infatti, egli entra nelle Scritture. Non è possibile decifrarle sino a che l'uomo non considera l'opera che Dio ha compiuto nel giorno ottavo, creando una luce senza tramonto, una vita che non conosce fine.
Allo stesso modo non è possibile comprendere l'opera del giorno ottavo senza le Scritture e senza quella promessa di cui la risurrezione è pieno compimento. Tutto allora finì perché tutto in Cristo potesse ricominciare. Comprendere le Scritture, allora, non è certo un atto intellettuale. Significa entrare nella logica di Dio, nelle sue vie e nei suoi pensieri: Cristo doveva (v. 9) risuscitare dai morti. Senza questa definitiva vittoria, tutto rimane sospeso: il cammino di Maria, la corsa dei discepoli, l'alternarsi di luce e tenebra. Gesù doveva sconfiggere la morte perché la creazione giungesse al riposo sospirato e le promesse divine acquisissero un senso per l'uomo.
VITA PASTORALE N. 3/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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