Gesù Cristo, Re dell'universo
XXXIV Domenica del Tempo ordinario (B)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 10/2024)


ANNO B – 24 novembre 2024
Gesù Cristo, Re dell'universo - XXXIV Dom. del T.O.

Daniele 7,13-14 • Salmo 92 • Apocalisse 1,5-8 • Giovanni 18,33-37
(Visualizza i brani delle Letture)


«IO SONO RE»

«Io sono re», confessa Gesù davanti a Pilato, ed è per questa parola che, in obbedienza al Vangelo della festa che conclude l'anno liturgico, confessiamo Gesù Cristo re dell'universo. Questo significa che noi cristiani dobbiamo trovare solo nel Vangelo e in nient'altro le ragioni per confessare Cristo re. Lo confessiamo re come lui, Cristo, si è confessato re, non con altri significati e soprattutto non per altri scopi.
Gesù è stato prima di tutto re di sé stesso. Il suo regno ha avuto inizio da lui, dalla sua persona. La legge del suo regno è quella verità di cui Cristo si è fatto testimone e che gli ha fatto dire a Pilato: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità». Una verità di cui Cristo si fa martire al fine di far suo il potere disarmato della verità. «Rimetti la spada nel fodero»(Gv18,11), ordina a Pietro, perché la regalità che Cristo esercita è quel potere che non può essere difeso con la violenza. «Nessuno mi toglie la vita, ma io la depongo da me stesso» (Gv 10,18); uno è re di sé stesso quando nessuno può toglierli la ragione per cui vivere e la ragione per cui è disposto a dare la vita.
È re di sé stesso chi non fa degli altri dei sudditi, ma vuole attorno a sé uomini liberi che alla fine può chiamare "amici". È re di sé stesso chi per amore compie gesti da schiavo e si china a lavare i piedi di altri. È re di sé stesso chi nell'ora decisiva è capace anche di rinunciare alla totale sovranità su di sé e dire nella libertà: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). È re di sé stesso chi ha la nobiltà di spirito di chiamare amico colui che lo sta tradendo con un bacio. È re di sé stesso chi sa trasformare il suo patibolo di morte in talamo di nozze, in trono di gloria, in altare di offerta. Se un uomo è re di sé stesso allora è re dell'universo.
E tuttavia è ancora il Vangelo a chiederci di non spiritualizzare la regalità di Cristo. Spiritualizzarla è grave quanto militarizzarla, come nella storia è avvenuto. Gesù a Pilato dice: «Il mio regno non è di questo mondo». Certo, non è di questo mondo e tuttavia è in questo mondo e per questo mondo. Confessando «Io sono re» Gesù dichiara la sua appartenenza ai processi con cui l'umanità si trasforma e cresce. Il regno di Cristo è al cuore della storia umana. La verità del Vangelo sta al centro dell'umanità e della storia. Pilato e con lui i capi dei sacerdoti, i pretòri come i sinedri di tutti i tempi sanno bene che quello di Gesù «non è un messaggio spirituale per le sfere intime dell'esistenza, ma è un messaggio pubblico, storico, che attraversa le istituzioni sacre e profane con una contestazione che non sarà esaurita se non alla fine dei tempi» (Ernesto Balducci).
Cristo re ha testimoniato la verità che è possibile istaurare un rapporto tra gli uomini e tra i popoli senza la minaccia di spada, guerra, violenza, dominio, ingiustizia. A Pilato Gesù ricorda di non aver armi, eserciti, crociati. La Chiesa le ha avute, Cristo mai! Ecco la diversità del suo regno.
Il Vangelo sta al cuore del mondo come una verità sconfitta, perché Cristo regna al cuore della storia come un re crocifisso. Solo se è sconfitta è la nostra verità. Solo se è crocifisso è il nostro re


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