Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 9/2024)
ANNO B – 27 ottobre 2024
XXX Domenica del Tempo ordinario
Geremia 31,7-9 • Salmo 125 • Ebrei 5,1-6 • Marco 10,46-52
(Visualizza i brani delle Letture)
XXX Domenica del Tempo ordinario
Geremia 31,7-9 • Salmo 125 • Ebrei 5,1-6 • Marco 10,46-52
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IL GRIDO PIÙ FORTE
Lungo la strada Bartimeo non vedeva e non era visto, per questo insieme alla vista aveva perso ogni speranza e ogni fiducia nell'aiuto degli altri. «Sentendo che era Gesù di Nazaret», ma Bartimeo, come molto spesso chi è cieco, accresce il senso dell'udito e sviluppa una grande capacità di ascolto e, per così dire, "sente Gesù".
Se vedesse gli correrebbe incontro, ma non potendo resta seduto ai margini della strada, e dopo l'udito utilizza la parola, gridando: «Figlio di David, Gesù, abbi pietà di me». È un grido di aiuto che nasce da una disperazione, consapevole che Gesù è l'ultima possibilità che gli resta per uscire dalla sua cecità e dall'emarginazione tanto sociale e quanto religiosa.
Seduto a mendicare lungo la strada, Bartimeo incarna infatti la figura dell'emarginato, di chi è costretto non solo dalla sua malattia ma soprattutto dalla mentalità della gente a stare relegato ai margini. Per questo «molti lo rimproveravano perché tacesse». A un uomo al quale già manca la vista negano anche la parola perché, in quanto ammalato e dunque impuro, è considerato una persona indegna di accostarsi al Rabbi che passa.
Questa gente non vuole sentire il grido dei poveri, li tollera ai margini della strada a condizione che restino zitti. È ritenuto un grido che non è degno di essere preso in considerazione. «Ma egli gridava ancora più forte», più tentavano di zittirlo e più lui grida ancora forte, perché Bartimeo vuole farsi sentire da Gesù. Il grido del cieco è il gemito di chi anela alla vita, è la parola di colui al quale è repressa la parola, è la preghiera di colui al quale è negata ogni supplica, è la fede di colui al quale è impedito sperare.
È il grido che fa vedere il cieco: «Gesù si fermò e disse: chiamatelo!». L'Invocato invoca la sua presenza. «Su, coraggio, alzati, ti chiama!», gli dicono, e quella folla che prima gli negava la parola ora lo chiama, prima lo rimproverava ora gli dice "coraggio". Lui che gridando forte aveva chiamato Gesù, ora è chiamato da Gesù. «Ed egli gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne verso Gesù»; con il gesto di gettare via il mantello si libera da tutti i pesi, gli impedimenti interiori ed esteriori, e ancora cieco va, corre verso la luce. La chiamata lo rende capace di fare quello che prima gli era impossibile: andare verso Gesù.
«Va', la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo». È la fede che gli ha fatto vedere e non il vedere che gli ha fatto credere. In quel forte grido rivolto a Gesù che passava era la fede che urlava la domanda di vita, di luce, di salvezza.
La fede è sempre il grido "più forte", più forte di ogni condizione, di ogni malattia, di ogni resistenza, di ogni limite, di ogni impedimento, di ogni barriera. Sì, la fede è una liberazione dal buio della cecità, è un aprire gli occhi alla vita, è tornare a vedere, è un altro vedere. «E lo seguiva lungo la strada», colui che era stato il «cieco seduto lungo la strada a mendicare» - questa fissità era la conseguenza della sua condizione e del suo handicap -, ora che è guarito riprende a muoversi e a camminare. La fede è una dinamica, non immobilizza ma fa rialzare e rimette in cammino alla sequela del Signore.
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